international analysis and commentary

La prospettiva dei Verdi sul futuro della Germania

2,256

La domanda sul prossimo governo tedesco non sembra essere se sarà verde, ma quanto. I sondaggi delle ultime settimane hanno prospettato un sorpasso: il partito dei Grünen viene stimato al 25/26%, mentre la Union CDU-CSU sarebbe scesa al 23/25%. Ci sono però anche sondaggi in cui la CDU-CSU è già tornata al primo posto, con un vantaggio tra 1 e 3 punti percentuali. A pochi mesi dalle elezioni del 26 settembre, niente è davvero deciso. Ma è già molto significativo notare la differenza con l’inizio del 2021, quando tutti i sondaggi davano ancora la CDU saldamente in testa, sopra al 35%.

 

La fine del Rally ’round the flag merkeliano

Già poco più di un anno fa, nel marzo 2020, i Grünen si erano in realtà avvicinati molto alla CDU-CSU secondo alcune stime: Verdi al 24%, CDU-CSU al 26%. In quel momento i cristiano-democratici erano infatti in aperta crisi: le dimissioni della Presidente Annegret Kramp-Karrenbauer avevano sancito il fallimento plateale di una successione morbida ad Angela Merkel. Poi, però, è arrivato il cigno nerissimo della pandemia. In poche settimane il governo ha riconquistato consenso e l’effetto Rally ’round the flag, che si verifica quando in momenti di grave crisi l’opinione pubblica si stringe attorno ai suoi leader qualunque essi siano, ha premiato soprattutto la Cancelliera e il suo partito.

Nel giugno 2020, quando la Germania era il solo grande paese europeo davvero scampato alla prima ondata di Covid, la CDU-CSU raggiungeva il suo apogeo, con il 40% dei consensi nei sondaggi. I Verdi, al contrario, toccavano in quel momento il 15% (dati Forsa). A partire dal novembre 2020, però, con le crescenti difficoltà del governo nel contenere la seconda/terza ondata di Covid e, in seguito, con la lentezza tedesca nella campagna vaccinale, l’ampio consenso per i cristiano-democratici ha cominciato a erodersi. Erosione di cui hanno beneficiato, verso il centro, proprio i Grünen e, verso destra, i liberal-liberisti di FDP.

A questa dinamica si è sovrapposta anche la perdita progressiva per la CDU di quei potenziali voti che erano legati unicamente alla figura di Angela Merkel. Voti di un elettorato che non è invece sembrato entusiasta della scelta di Armin Laschet come nuovo Presidente CDU e che, soprattutto, sembra ancora meno convinto della sua nomina, lo scorso 20 aprile, a candidato Cancelliere della Union. Proprio il contemporaneo annuncio dei candidati dei due maggiori partiti tedeschi, Laschet per la CDU-CSU e Annalena Baerbock per i Grünen, ha così dato il via all’attuale sorpasso verde. Un sorpasso che, per certi versi, era quindi già in preparazione prima della pandemia, ma che si è solo concretizzato nell’ultimo mese.

Armin Laschet e Angela Merkel a Essen, nella regione Renania Settentrionale-Westfalia, di cui Laschet è Presidente

 

La scommessa politica su Baerbock

Attualmente Annalena Baerbock può beneficiare di un fortissimo hype mediatico, non solo in Germania, ma anche sulla stampa internazionale, inclusa quella statunitense. L’apprezzamento diffuso per la Kanzlerkandidatin verde ha sancito definitivamente la vidimazione internazionale dei Grünen. La quarantenne Baerbock, preferita dal suo partito al co-leader Robert Habeck, si è subito imposta come opzione innovativa dopo 16 anni di merkelismo e, al tempo stesso, si sta anche presentando come declinazione attualizzata, ambientalista e ultra-contemporanea della stessa Angela Merkel. Il privilegio comunicativo di Baerbock è oggi proprio questo: potersi posizionare come erede rassicurante delle qualità politiche di Merkel e, contemporaneamente, lanciarsi come innovatrice disruptive rispetto a quanto del merkelismo non piace (o non serve) più.

Il brand di Baerbock è destinato a funzionare molto bene nelle aree metropolitane, letteralmente assetate di innovazione ecologica e digitale, ma tentenna ancora molto nei piccoli centri, nelle aree rurali e, soprattutto, incontra un’opposizione ideologico-culturale nei Länder tedesco-orientali (a partire da Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia). Quello che però è già certo è che nessuno considera più i Grünen un partito anti-sistema, come avveniva ancora fino a cinque anni fa. Non solo perché oggi i Verdi governano in coalizione in ben 11 Bundesländer su 16, ma anche perché, come ha sancito proprio la scelta della Kanzlerkandidatin, il partito è ormai ampiamente in mano alla nuova generazione dei cosiddetti realos. Per realos si intende la corrente realista e pragmatica del partito, che per anni si è scontra con i fundis, i duri e puri dell’idealismo ambientalista. Una corrente, quella dei realos, oggi ancora più aperta e pronta al compromesso politico sul breve-medio periodo, allo scopo però di attivare un’agenda sul lungo periodo e, di fatto, affermarsi come classe dirigente eco-manageriale della Germania del nuovo Green Deal.

Annalena Baerbock, leader del partito dei Verdi/Alleanza 90

 

Il programma dei Verdi alla prova del governo

Gli attuali sondaggi suggeriscono che l’opzione più probabile per la formazione del prossimo governo tedesco resti comunque un’alleanza Verde-Nera tra Verdi e CDU-CSU. Proprio su quest’alleanza si regge oggi il governo dell’Austria, dove però i Verdi sono in posizione di debolezza. L’interrogativo decisivo è appunto con quali gerarchie: con un cancellierato verde o di nuovo in mano alla CDU? Vista l’attuale volatilità dei sondaggi, tuttavia, non vanno escluse altre opzioni per il prossimo esecutivo: una Ampelkoalition (Verdi, SPD, FDP), una Jamaika-Koalition (CDU-CSU, Verdi, FDP), o persino un’alleanza “Rot-Rot-Grün” tutta di sinistra (con i Verdi in testa, più SPD e Linke). Un’enorme avanzata dei Grünen nelle prossime settimane potrebbe infine fare ipotizzare anche una coalizione dei Verdi con la sola SPD, andando a replicare (con gerarchie inverse) i governi Schröder (1998-2005).

A livello regionale i Verdi hanno già esperienza con ciascuna delle opzioni di coalizione fin qui citate. Ovviamente a livello nazionale, però, la scelta dell’alleato sarebbe ben più decisiva per l’applicazione del programma del partito liberal-ambientalista. Intitolata “Deutschland. Alles ist drin” (“Germania, dentro c’è tutto”), la bozza di programma dei Grünen conferma un doppio e abile approccio: da una parte rassicurazioni su una rivoluzione “di velluto”, dall’altra progetti disruptive sul piano dell’organizzazione economico-sociale.

Una delle svolte strutturali del programma dei Verdi è sicuramente la volontà di abbandonare la schwarze Null, il pareggio di bilancio. Il governo Merkel aveva già scelto di fare più debito per affrontare la pandemia, ma per i Verdi bisogna ora direttamente modificare la Legge Fondamentale tedesca e permettere così un investimento di 500 miliardi nei prossimi 10 anni, allo scopo di finanziare massicciamente la “trasformazione socio-ecologica” del paese. Ovviamente, in un’alleanza con la CDU-CSU (o con la FDP), il tema del debito sarebbe un primo oggetto di conflitto. Investimenti massicci sono però necessari per un programma come quello dei Grünen, che vuole contemporaneamente accelerare il più possibile la transizione energetica ma rafforzare anche uno stato sociale che non faccia ricadere su cittadini e consumatori i costi della stessa transizione. E’ un’impostazione considerata oggi irrinunciabile, visto che anche i Verdi tedeschi ricordano bene come la violenta protesta francese dei Gilets Jaunes sia originariamente nata proprio da una riforma ambientale calcolata male, che scaricava i costi sul ceto medio-basso.

Fino a poche settimane fa l’obiettivo tedesco di riduzione dei gas serra era del -55% rispetto al 1990, ma dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale Federale (che ha giudicato il valore insufficiente e quindi una violazione dei diritti delle generazioni future), il governo vuole ora arrivare ora al -65% entro il 2030. I Verdi, però, chiedono nel loro programma ugualmente di più: raggiungere già il -70% entro i prossimi 9 anni. Non solo: dove oggi la “carbon tax” nel settore energetico e in quello del traffico prevede 25 euro da pagare per ogni tonnellata di CO2 emessa, i Grünen vogliono un veloce aumento a 60 euro a tonnellata entro il 2023.

L’abbandono dell’energia a carbone, invece, attualmente previsto per il 2038, andrebbe anticipato al 2030. Questo passaggio, spiega la bozza di programma dei Verdi, dovrà favorire insieme l’aumento e la diffusione dell’uso di fotovoltaico ed energia eolica e lo sfruttamento dell’idrogeno verde come vettore nella produzione di energia (ma solo per i settori industriali ad alto dispendio energetico). Sempre per il 2030 i Verdi prevedono anche l’immatricolazione di sole auto a emissioni zero. Una svolta, quest’ultima, che potrà avere un impatto enorme sul trainante settore dell’automotive tedesco, con un passaggio alla e-mobility che, favorendo anche l’automazione, potrebbe portare alla perdita di fino a 400mila posti di lavoro.

Al calo di occupazione nel settore auto, i Verdi vogliono però rispondere con un boom lavorativo nel settore della stessa energia alternativa e nella digitalizzazione (da nutrire il più possibile con fondi e sgravi fiscali). Alla temporanea ricaduta dei costi sulla benzina o dell’energia sui consumatori, i Verdi promettono di rispondere con rimborsi mirati, così come con lo stesso allargamento del welfare. Provvedimenti di riorganizzazione dell’azione sociale statale che i Verdi vogliono finanziare anche con un aumento della tassazione per redditi e rendite più alti: 1% di patrimoniale sopra i 2 milioni di euro pro capite, aumenti per i redditi superiori ai 100 mila euro, aumento fino al 48% (dall’attuale 42%) della tassazione dei redditi superiori a 250 mila euro. Contemporaneamente, il programma dei Grünen dichiara di voler diminuire la pressione fiscale sul ceto medio-basso, aumentare il minimo salariale dall’attuale 9.40 euro a 12 euro l’ora, eliminare specifiche differenze tra sanità pubblica e privata e riformare il discusso sistema di sussidio Hartz IV (verso un modello che eserciti meno controllo burocratico su chi riceve gli aiuti di stato).

Quello dei Verdi sarà quindi un programma di transizione energetica accelerata, che sposta verso sinistra l’asse dell’economia sociale di mercato tedesca, ma promette di farlo allo scopo di salvaguardare la coesione sociale in un periodo-ponte necessario a raggiungere l’obiettivo di fare della Germania avanguardia di un neo-produttivismo green. Di conseguenza, quello dei Verdi è anche un programma che si dovrà profondamente affidare al ruolo dello stato, non solo come investitore, ma anche come gestore-imprenditore di un’articolata, difficile e intrecciata fase di transizione. Un programma, in ultima analisi, che non bisogna quindi solo saper scrivere, ma anche mettere più o meno in atto in tutta la sua complessità.

 

Nodi sociali e geopolitici

Sul loro programma i Verdi, considerando il già citato realismo del partito, saranno comunque aperti a fare compromessi, contrattando con il prossimo o i prossimi alleati di coalizione e, anche, con le varie parti sociali.

Sul piano dell’incontro tra mondo produttivo e transizione energetica, lo scenario è inevitabilmente ambivalente. Le grandi industrie automobilistiche stanno già puntando da tempo sulla e-mobility (e su un passaggio decisivo come la produzione in-house delle batterie per auto elettriche), mentre un tradizionale sondaggio tra i decisionmaker della Germania mostra come quest’anno anche i top-manager tedeschi puntino per la prima volta apertamente su un governo nero-verde. Al tempo stesso, l’automotive e altri settori industriali esprimono comunque differenze di ritmo rispetto all’accelerazione perseguita dai Grünen. Lo stesso sondaggio tra i decisionmaker si esprimeva sull’opzione nero-verde, cioè su una coalizione a maggioranza CDU-CSU, mentre l’opzione di un governo verde-nero (a maggioranza dei Verdi) è sentita come più problematica.

In questo senso ha anche un ruolo cruciale la natura geopolitica della riorganizzazione che i Verdi vogliono applicare alle geometrie commerciali dell’import-export tedesco. Il programma dei Verdi prevede di vincolare i rapporti commerciali non solo al rispetto degli standard ecologici, ma anche a quelli lavorativi e dei diritti umani e civili. Nella bozza di programma è previsto, per le aziende con più di mille dipendenti, di rispettare ciascuno di questi standard su tutta la catena produttiva. Da tale approccio deriva ad esempio il rifiuto dei Verdi dell’accordo EU-Mercosur con i paesi dell’America Latina oppure il significativo veto posto sul Nord Stream 2, descritto come anti-ecologico e definito come dannoso per la geopolitica energetica e la geostrategia tedesche.

Ovviamente, il punto più discusso della geopolitica commerciale dei Grünen sarà poi la Cina, a oggi primo partner commerciale tedesco per interscambio complessivo. Sia nella bozza di programma che nelle varie dichiarazioni di Annalena Baerbock, i Verdi annunciano un chiaro cambio di approccio verso Pechino, promettendo una linea ben più intransigente rispetto a quella di Angela Merkel. Ed è probabilmente soprattutto al rapporto con la Cina che fa quindi riferimento la dura critica recentemente espressa in merito ai Grünen dalla BDI, la Confindustria tedesca, che ha dichiarato: “Nella politica commerciale, le idee dei Verdi per gli accordi internazionali portano all’isolamento (…). I Verdi non riconoscono quanto il popolo tedesco ed europeo traggano beneficio dalle esportazioni, dai mercati aperti e da catene di approvvigionamento funzionanti”.

A queste accuse Baerbock ha indirettamente risposto che “come europei non possiamo chiuderci completamente alla Cina. È un mercato troppo grande per farlo”. Ma Baerbock ha comunque confermato che i Verdi puntano a diminuire la dipendenza della Germania dall’export verso la Cina e, più in generale, a rafforzare invece un asse transatlantico fatto di standard tanto politico-liberali quanto ecologici, all’interno di quella che viene definita da Baerbock una transatlantische Allianz für Klimaneutralität (alleanza transatlantica per la neutralità climatica). Un approccio che può non piacere ad alcuni settori finanziari e industriali tedeschi e ai loro referenti politici, ma che intanto sta attirando l’attenzione di Washington. Se per decenni il partito atlantista per eccellenza è stato infatti la CDU-CSU, oggi i Verdi sembrano in grado di superare i cristiano-democratici in quanto ad atlantismo, soprattutto considerando i rapporti con un’amministrazione come quella Biden-Harris.

 

Altri quattro mesi di incertezza

Cosa succederà prima delle elezioni? La CDU di Laschet potrebbe ancora recuperare molti voti, ora che la campagna vaccinale tedesca sta avanzando a pieno ritmo. I Verdi temono invece segretamente l’effetto Schulz del 2017, quando l’hype mediatico del candidato SPD si sgonfiò velocemente. Al tempo stesso, nessuno crede davvero che i Grünen non giocheranno un ruolo fondamentale nel post-merkelismo tedesco. Un governo verde in alleanza con la CDU-CSU dovrà risolvere sincreticamente tutte le suddette contraddizioni sulla svolta energetica e, anche, sulla geopolitica commerciale. La presenza in coalizione dei cristiano-democratici o di un partito come FDP potrà inoltre rendere più complesso lo slancio europeista dei Verdi su temi come la mutualizzazione finanziaria nell’UE. Sul fronte dell’europeismo, i Verdi potrebbero invece trovare sostegno da una coalizione con la SPD. In un’alleanza di sola sinistra, tuttavia, i Grünen avrebbero grossi problemi sul dossier Russia con un alleato come la Linke.

Il gioco delle future coalizioni resta oggi molto incerto, così come l’esito delle stesse elezioni. Un’incertezza che, comunque, è già una svolta epocale per lo scenario politico e geopolitico della Germania.