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La politica estera russa alla prova dei fatti

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La Russia si è sempre mossa come un pendolo fra Oriente e Occidente, fra impeti slavofili e ritorni occidentalisti, a livello culturale prima ancora che politico. Come scrisse Pëtr Čaadaev nelle sue Lettere filosofiche, “la Russia appartiene più alla geografia che alla storia”, proprio per indicare non senza pessimismo che il paese vive a cavallo di due mondi. E’ per questo che a periodi di apertura verso un occidente sinonimo di apertura e liberalismo sono seguiti e seguono momenti in cui si rivolge lo sguardo a oriente, quando non si ripiega del tutto su se stessi.

Il comune denominatore di queste due tendenze può essere ritrovato nel cosiddetto patriottismo al kvas (kvaznoi patriotizm), per indicare un sentimento che affonda le sue radici nel profondo della stessa terra dalla quale vengono il pane e l’acqua con i quali è fatto il kvas, tipica bevanda russa. Un orgoglio nazionale che suggella il legame profondo che c’è con le radici dell’anima russa, e che caratterizza la capacità di resistenza dei russi alle pressioni esterne.

Questo offre una chiave di lettura sulla parabola politica di Vladimir Putin, l’uomo che da vent’anni rappresenta la Russia nel mondo, e della Russia stessa. Alfiere di un percorso “europeo” per Mosca nel 1999, nel 2019 il suo sguardo è rivolto a oriente. Con il consenso popolare a costituire il vero termometro del suo operato, più che le dinamiche della politica estera. Come dimostrano le proteste di piazza che hanno caratterizzato l’estate scorsa, le più grandi dal 2011-2012, non saranno le (dis)avventure internazionali a disarcionare Putin, ammesso questo sia un evento possibile.

Vladimir Putin di fronte a una mappa murale della Russia

 

Più probabile che ciò accada per le manifestazioni e il dissenso della piazza, che pure dimostrano una inevitabile, fisiologica evoluzione della politica russa à la russe. Le oltre 5000 consultazioni locali di questa estate, Crimea inclusa, hanno infatti dimostrato che si può negare “legalmente” ai candidati indipendenti di partecipare alle elezioni, invalidandone la candidatura contestando ad esempio la validità della raccolta firme. Anche se gli attivisti sono stati capaci di continuare a manifestare il proprio dissenso, anche grazie a una vivace mobilitazione online che si coniuga con la capacità di intercettare offline i problemi quotidiani.

Infatti, alle elezioni locali di inizio settembre alla Duma di Mosca, il partito di Putin, Russia Unita, ha sì mantenuto la maggioranza del consiglio, ma l’opposizione è passata dal 12,5% al 44%. Un dato importante, anche a livello simbolico, che potrebbe incoraggiare molti elettori disillusi a tornare alle urne per cercare alternative all’attuale blocco di potere. Allo stesso tempo, il passaggio elettorale moscovita (ferma restando la diversità della situazione politico-sociale della Capitale da quella del resto del Paese) potrebbe portare a un dialogo più costruttivo fra maggioranza e opposizione, almeno a livello municipale.

 

Le linee guida della diplomazia

Dall’introduzione delle sanzioni internazionali nel 2014 lo spostamento a oriente del baricentro di politica estera rientra quindi non solo nel naturale corso della storia russa, ma anche in un riallineamento strategico che è stato poi fotografato dalle stesse linee guida della politica estera (Foreign Policy Concept) pubblicate dal Cremlino, un documento adottato nel novembre 2016. Le indicazioni espresse si poggiano su due presupposti: lo status della Russia come uno dei centri di influenza del mondo moderno e il rafforzamento del ruolo del paese nello spazio informativo globale.

Il primo punto, oltre ad accarezzare l’orgoglio nazionale, mette nero su bianco che Mosca è interessata a recitare un ruolo di primo piano sulle questioni di politica internazionale – dalla Siria al Venezuela; il secondo punto può essere visto come un complemento, riferendosi sia allo spazio digitale che a quello tradizionale. Ad esempio, nel Concept è espressamente detto che il governo dovrà aumentare i finanziamenti al canale televisivo Russia Today, istituito nel 2005 per essere la voce della Russia nel mondo, in vista dell’apertura di una sua versione in lingua francese. Tuttavia, è evidente che questa affermazione presta il fianco alle critiche occidentali in merito alla propaganda e alle interferenze mediatiche negli affari di politica interna di diversi paesi.

 

La politica estera post-2014 fra economia ed energia

Con l’introduzione di sanzioni internazionali seguite all’annessione della Crimea, il consolidato dialogo della Russia con Europa e Stati Uniti del primo decennio del 2000 ha subito un brusco raffreddamento. Le ripercussioni sulle relazioni economiche con i partner europei e sulle politiche di sicurezza con gli Stati Uniti sono culminate nella decisione di febbraio di porre fine al Trattato sulle armi nucleari a medio raggio (INF).

Le restrizioni commerciali avrebbero dovuto piegare l’economia russa, secondo la logica che ha ispirato le sanzioni, ma alla prova dei fatti le conseguenze economiche sono state percepite molto di più dai paesi europei, fra cui l’Italia, che non da Mosca. Osservare l’andamento del prodotto interno lordo è interessante, soprattutto per un’economia fortemente condizionata dai prezzi dell’energia. Il Pil russo nel 2013 crebbe nell’1,8%, e del 2,25% nel 2018, con una tendenza addirittura inversamente proporzionale ai prezzi del petrolio (una delle principali fonti di reddito per la Russia), che cinque-sei anni fa oscillavano fra gli 85 e i 90 dollari al barile, mentre l’anno scorso si sono tenuti nella fascia fra i 60 e i 70, fino a scendere sotto i 60 nel 2019.

Infatti, come ha scritto il di agosto scorso, l’impatto delle restrizioni finanziarie è stato solo uno degli aspetti che ha contribuito a far scendere il valore del rublo rispetto al dollaro. Se nel 2015 la Russia ha sofferto l’impatto delle sanzioni, negli anni successivi il tessuto economico ha dimostrato flessibilità e capacità di assorbire il colpo, anche grazie alla stabilità macroeconomica ottenuta con l’aiuto dell’operato della responsabile della Banca centrale, Elvira Nabiullin: fiscalità contenuta, libera fluttuazione del rublo e contenimento dell’inflazione, che nel 2018 è stata in media del 2,8%. Sempre da un punto di vista macroeconomico, la valuta forte che la Russia incassa dalla vendita di materie prime sui mercati globali si rivela fondamentale per mantenere stabilità e accumulare riserve su larga scala.

E’ anche interessante notare l’evoluzione del comportamento dell’azienda Gazprom nel post-2014, partecipata a maggioranza dallo Stato e considerata il braccio del Cremlino. In realtà, le scelte di Gazprom sono state dettate più da interessi commerciali che non da indicazioni di politica estera, come ha fatto notare Danila Bochkarev, senior fellow all’East West Institute di Bruxelles. La necessità di mantenere una posizione competitiva sul mercato ha portato Gazprom ad allinearsi alle regole europee, arrivando a impegnarsi nel maggio 2017 con la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, alla vendita di gas a prezzi di mercato in Europa centrale e orientale.

 

Fra Europa e Asia

Il fallito putsch dell’agosto 1991 è indicato come la spallata decisiva, quantomeno sul piano simbolico, che portò alla dissoluzione dell’URSS e alla nascita della Federazione Russa dopo pochi mesi E un altro agosto, quello del 1999, potrà essere ricordato come la data simbolica dell’avvento al potere di Vladimir Putin, l’uomo che da semisconosciuto primo ministro sarebbe poi diventato presidente al posto di El’cin e avrebbe guidato la Russia per i successivi vent’anni.

L’ex agente del KGB Putin è riuscito a garantire l’unità interna di ciò che restava dell’impero sovietico grazie alla “verticale del potere” (vertikal’ vlasti) e a un diffuso benessere, ma anche a restituire orgoglio a una nazione ferita e a riportarla al ruolo di grande potenza. È interessante notare come Putin abbia iniziato il suo percorso politico con il desiderio di “portare” la Russia in Europa, per allargare i confini del continente da Lisbona a Vladivostok. Non trovò però la calda accoglienza promessa a parole.

L’allargamento della NATO, l’avvento del terrorismo islamico, le crisi ucraine con l’escalation del confronto geopolitico con gli Stati Uniti, sono alcune delle tappe che hanno determinato l’attuale posizione della Russia sullo scenario internazionale. C’è comunque da credere che il pendolo, come insegna la storia russa, tornerà a spostarsi verso occidente.

Più che a convenienze e istinti geopolitici, però, forse è più corretto spiegare il posizionamento internazionale della Russia con l’idea di due anime in un corpo solo, così come le raffigura lo stemma dell’aquila a due teste e un solo corpo che oggi è sulla bandiera russa, così come ieri lo era su quella zarista.