La magnifica nicchia
Articolo pubblicato sul numero 100 di Aspenia
Il Belpaese, osservato dalla Luna, misurato e pesato rispetto al mondo, appare per quel che è: una nicchia. Un pezzo di terra speciale, di forma particolare, piccolo ma non abbastanza da non essere notato, significativo nel proprio spazio, non simile a nessuno e differente da tutti.
Potrebbe sembrare una diminutio: chi dice nicchia in genere pensa “piccolo”; chi sente pronunciare “nicchia” lo traduce in “marginale”. Insomma, dare al Belpaese della “nicchia” potrebbe apparire uno schiaffo all’orgoglio patrio, la mortificazione di ogni possibile aspirazione alla grandeur, sia essa intesa in un orizzonte globale o anche, più modestamente, solo euro-mediterraneo. Invece così non è, anzi. Riconoscere le qualità della nicchia dentro il posizionamento internazionale raggiunto dall’economia italiana nella sua storia recente, assunta la nicchia nella propria caratterizzazione autentica, significa infatti leggere il paese nelle sue forze più genuine e distintive. Proprio quelle forze grazie alle quali un’economia dai fondamentali naturali deboli, come la nostra, ha saputo invece affermarsi e crescere, al di là di ogni razionale aspettativa, nella scacchiera competitiva mondiale.
Proviamo perciò a condurre una riflessione sul profilo e i fondamenti della nicchia italiana, nella convinzione che la parentesi storica in cui l’Italia repubblicana è arrivata ai vertici dell’economia planetaria rischi di chiudersi se non saremo capaci di rinnovare, integrare e adeguare alla contemporaneità, proprio quelle leve su cui si è fondata la (ci si consenta il neologismo) “nicchitudine” del paese.
La tesi di fondo di questo contributo è che il futuro italiano, insomma, passerà per la capacità di riproporci come interpreti, autentici e unici, innanzitutto della nostra forza tradizionale, decisamente specifica e, per molti aspetti, infungibile. Nelle prossime pagine esploreremo, snocciolando i tasselli costitutivi del concetto economico di nicchia, i punti caratteristici e di forza del Belpaese nello scenario economico internazionale, alla luce di questi caratteri:
- l’interstizio, cioè lo spazio competitivo occupato dalla nicchia;
- la ridotta dimensione relativa della nicchia, una grandezza asimmetrica rispetto al valore che invece è capace di esprimere;
- la specialità di cui la nicchia si fa latrice e interprete autentica;
- la non perfetta sostituibilità della nicchia grazie alla propria identità;
- l’audience della nicchia, “per molti ma non per tutti” e d’aspirazione.
Leggere l’Italia in corrispondenza di ciascuno dei summenzionati caratteri, consente di acquisire la consapevolezza che riconoscersi come “nicchia” non è una diminutio ma vale a definire le molte qualità del suo potenziale. Un potenziale che ha sostenuto in modo decisivo la crescita materiale italiana, che ha alimentato – e, in un processo di causazione circolare, si è anche nutrito – di valori distintivi positivi (il bello e ben fatto, la dolce vita, il buon cibo, eccetera) e che non va dato né per scontato, né per eterno – come invece, purtroppo, sembra alle volte essere considerato. Nel finale, infatti, ragioneremo proprio sul tema della sostenibilità di quella che a noi piace definire “formula economica del paese”: date le nostre caratteristiche, dato ciò che accade nel mondo, riuscirà l’Italia a essere ancora quella “magnifica nicchia” che è stata finora?
IL CAMPIONE DELL’INTERSTIZIO. Negli studi economici – segnatamente quelli che si occupano di osservare i settori, le loro strutture e le scelte competitive delle imprese che li popolano – la nicchia rappresenta una porzione di spazio competitivo detto interstiziale. La parola è visuale e immaginifica: in uno spazio occupato da grandi masse, nicchia è ciò che si infila laddove queste masse non si posizionano, che a esse si giustappone; nicchia è ciò che copre gli spazi minori lasciati vuoti da altri. In sostanza, una nicchia si colloca in una posizione ai margini del mainstream, ovvero da qualunque entità (volumi, acquirenti, audience, eccetera) che sia quantificabile come “di massa” e qualificabile come “generica”.
Qualche esempio aiuterà a meglio focalizzare l’idea, tenendo presente che ciò che si dice “di nicchia” può essere un prodotto, un brand, un mercato e, laddove vi sia identificazione fra impresa e brand, un’impresa. Prodotti di nicchia sono: il Brunello di Montalcino, gli alimenti gluten free, i dischi in vinile, i cosmetici che non testano sugli animali. Brand di nicchia (italiani) sono: la Vespa Piaggio, la 500, gli scafi Riva, Eataly, Cucinelli, la Scuola Holden, Mondo, Technogym.
Il Belpaese gode di un posizionamento interstiziale di tutto riguardo in molti dei territori di confronto internazionale nei quali è presente. Nella geopolitica, ad esempio, l’Italia è forte quando sa interpretare un ruolo connettivo, occupando uno spazio non sovrapposto a quello delle grandi potenze a confronto, ma fra loro intermedio, trait d’union fra tutte. Nell’economia, l’Italia è forte grazie alle molte imprese di minore dimensione che sanno acquisire posizionamenti sorprendenti, collocandosi in aree di offerta trascurate dai grandi conglomerati globali (e ormai, apolidi), oppure con produzioni molto specifiche, ad alto grado di personalizzazione e perciò marginali rispetto ai grandi volumi di massa; oppure, ancora, nell’alto di gamma, per definizione vocato ai volumi minori ad alto valore aggiunto. Nella produzione culturale l’Italia non è più, da secoli, generatore del mainstream, ma di questa ricchezza passata sa rendersi ancora interprete unica e di valore, riadattando ai canoni della contemporaneità i testi del passato. Si pensi, ad esempio, al filo rosso che lega Caruso, Pavarotti, Bocelli e Il Volo all’antica tradizione del “bel canto” e dell’opera.
LA “PICCOLA” ITALIA VALE PIÙ DI QUANTO PESA. L’idea che nicchia equivalga a “piccolo” è (parzialmente) inesatta, perlomeno laddove il termine sia inteso in senso assoluto. Lo spazio di nicchia è certo “più piccolo” degli altri ma questo non deve indurre a considerarlo insignificante. Al contrario, la qualità di quello spazio quantitativamente inferiore è sovente speciale, superiore agli altri. In ogni caso, quel piccolo spazio è fortemente significativo e caratterizzato. L’architettura insegna: lì la nicchia è una porzione di un tutto (una parete) di maggiori dimensioni (esistono nicchie alte anche tre metri, così come nicchie di appena pochi centimetri). Nella nicchia, tuttavia, a dispetto delle dimensioni inferiori, trovano spazio dei contenuti pregiati (es. una bella statua) che impreziosiscono il tutto. La dimensione ridotta, insomma, è una caratteristica dell’interstizio ma il suo valore e capacità di arricchire il tutto è considerevole a dispetto delle dimensioni ridotte.
La popolazione italiana è piccola rispetto a quella mondiale (lo 0,75%) e così la porzione di territorio occupato dallo stivale (lo 0,20%) ma la sua significatività è considerevole, anche in senso quantitativo. Una recente ricerca IPSOS (“Be Italy”, giugno 2021) condotta su 19 paesi con diversi metodi di rilevazione integrati, fotografa in modo netto tutto ciò: l’Italia è il terzo paese più conosciuto al mondo; quello più desiderato per turismo; il quarto per sostenibilità, grazie alla propria qualità della vita. E ancora, è un paese leader mondiale in circa duecento categorie di prodotto (Fondazione Edison, 2017); depositario del maggior numero di siti meritevoli di tutela UNESCO (UNESCO, 2022); prima al mondo per produzioni agroalimentari e vinicole di qualità certificata e garantita (ISMEA-Qualivita, 2022); in prima linea nella space economy (Symbola, 2022). Tutto questo, in sostanza, è quotidianamente generato da una quota risibile della popolazione mondiale, in una piccola penisola piena di montagne e perciò con luoghi di difficile connessione reciproca.
UN POSTO SPECIALE. La nicchia è un quid speciale. Ben lo sanno i player dell’alimentare, che qualificano come “specialità alimentari” quei prodotti dotati di caratteristiche intrinseche particolari, capaci di renderli differenti dal mainstream, con una identità forte, ben chiara e riconosciuta (un esempio per tutti, i cosiddetti “prodotti tipici”). La specialità è in effetti una precisa caratteristica organica della nicchia, forse la principale, certo la più preziosa.
Essere speciali significa essere qualificati da uno o più attributi non comuni a tutti, fuori cioè dal mainstream del contesto di riferimento. Seguendo il filo del nostro ragionamento, significa che ci si posiziona in uno spazio interstiziale fra le grandi masse e si caratterizza quella porzione di spazio con degli elementi distintivi – uno o più aspetti, cioè, che rendano immediatamente identificabili, riconoscibili e comprensibili come differenti.
Technogym ben si presta a esemplificare il senso della specialità come caso di mercato business to business: l’allestimento della palestra di un hotel con attrezzature dell’impresa emiliana è una precisa scelta, quasi obbligata se la struttura è di categoria lusso o alto di gamma, che si fonda su un design fortemente riconoscibile e gratificante, che sostiene dei prodotti tecnicamente performanti e concepiti secondo una visione phygital dell’allenamento. Esistono molte altre marche di attrezzature ma nessuna realmente alternativa, con pari soddisfazione di prestazioni, connotato simbolico ed estetico. I prodotti Technogym saltano agli occhi, sono immediatamente identificabili e la loro promessa di prestazione non ha pari sul mercato.
Che l’Italia sia pienamente dotata dei requisiti di specialità è quasi banale dirlo. È, infatti, questo della specialità, un attributo del quale il Belpaese appare essere pienamente consapevole. Lo dimostrano, ad esempio, la frequenza d’uso dell’espressione “… che tutto il mondo ci invidia”, oppure la campagna istituzionale “The extraordinary commonplace”, lanciata nel 2015 dall’ICE e dal ministero dello Sviluppo economico, facilmente reperibile in rete, nella quale si fissano, con un sapiente uso della semiotica, i connotati di valore dell’italianità e si affermano, giocando sui luoghi comuni, alcuni primati nazionali – nella farmaceutica e nella robotica, per fare solo due esempi. Del resto, l’investimento anche emotivo, che il paese sta portando avanti da anni sul proprio country of origin effect, è tanto sentito ed elevato da aver addirittura assunto il rango di brand ministeriale – il “ministero delle Imprese e del Made in Italy” di recente istituzione.
O ITALIA O NULLA. La specialità porta con sé una connotazione identitaria forte, nettamente distintiva rispetto a quelle dei potenziali sostitutivi. È un’identità talmente marcata da isolare la nicchia da tutti gli altri: si pensi, ad esempio, al connotato fortemente evocativo e distintivo di Eataly, sin dal nome, rispetto a ogni altra insegna distributiva, italiana o internazionale che sia. La specialità dota la nicchia di una capacità unica di generare quei benefici che ne caratterizzano l’essenza, indipendentemente che si tratti di elementi di natura tecnico-funzionale (ad esempio il design della Vespa reso mediante una scocca di metallo), o simbolica (ad esempio il racconto che rende i capi Cucinelli assolutamente inimitabili).
Grazie a questa capacità di essere speciale, la nicchia offre a chi la presidia una condizione di isolamento competitivo, una sorta di piccolo monopolio, insomma, che contempla la presenza di un solo soggetto proprio in virtù del sostanziale annullamento delle ragioni di succedaneità con altre offerte. Non conta, vogliamo sottolinearlo, che le altre offerte possano avere una qualità intrinseca anche superiore: è il percepito verificabile di unicità che isola la nicchia da tutto il resto.
In questo ambito la natura di nicchia del Belpaese appare addirittura solare, tanto è forte, profonda e riconosciuta. Si pensi all’offerta di visione ed esperienze uniche che l’Italia offre agli stranieri: le città d’arte, numerose come in nessun altro luogo, ricche di elementi iconici plurimi – architettonici (il Colosseo), esperienziali (il Palio di Siena), artistici (i Musei Vaticani); le dotazioni naturali pure (le Dolomiti) e la varietà paesaggistica, intesa in senso antropico-naturale – in pochi chilometri si passa dalle colline toscane alle coste pugliesi, dai canali veneziani alle vette alpine; la specificità dell’Italian lifestyle (forse più noto, meglio codificato e appetito dagli stranieri che da noi italiani). Ma vale anche, in tal senso, il patrimonio di attributi non positivi coi quali il Belpaese si presenta all’immaginario collettivo mondiale: dalla mafia, alla cultura familiare “mammacentrica”, dall’inefficienza all’endemica inaffidabilità e via dicendo.
In buona sostanza, la compresenza di una straordinaria varietà di attributi, materiali e non, fanno dell’Italia un posto che, proprio se considerato in chiave olistica, non ha pari, non è sostituibile con nessun altro. Non necessariamente migliore, si badi, ma unico certamente.
PER MOLTI, NON PER TUTTI. Guardando a chi è interessato e attratto da un qualsiasi quid di nicchia, lo sguardo va in su, verso un’area sospesa fra il “per pochi” e il “per molti ma non per tutti”. La nicchia sembra ricercare, in altri termini, una sorta di carattere elitario nella propria audience di riferimento, scremando la massa, puntando a divenire un riferimento solo per alcuni, magari anche molti, ma non per l’universo. Si badi che qui usiamo volutamente questi termini non economici, per segnare una distanza rispetto all’idea che alla nicchia si associ necessariamente un prezzo elevato. L’acquisto di una Vespa, per capirci, è una scelta di nicchia ma non perché il prezzo della Vespa sia accessibile a pochi, quanto perché pochi sono attratti dalla forte promessa identitaria e distintiva di quel brand. In parole povere, insomma, l’idea vulgata che qualcosa sia di nicchia perché di prezzo elevato, è sbagliata e non qualificante quel qualcosa come nicchia. Che poi, nella realtà delle cose, molto spesso le offerte di nicchia siano posizionate a livello premium o luxury, è un frequente dato di fatto che, però, ha altre ragioni e non è un carattere necessario della nicchia medesima.
L’attrattività di una nicchia è dunque prettamente simmetrica rispetto ai suoi caratteri di specialità: è esattamente ciò che rende speciale la nicchia ad attrarre l’attenzione e smuovere il desiderio. È ciò che differenzia e distingue una nicchia dal mainstream ad avere valore agli occhi di chi vi si rivolge. Ne consegue che, se quel carattere speciale viene meno, o si indebolisce anche solo relativamente, l’impatto sull’interesse verso la nicchia è potenzialmente esiziale.
Ciò posto, comprendiamo perciò che l’Italia sa essere divisiva: c’è chi la ama e chi non l’apprezza – giudizi di merito entrambi dagli accenti forti, spesso definitivi, raramente negoziabili. C’è chi ci compra una casa o vi passa sempre le vacanze estive ma non si sogna di investirvi nemmeno un euro, (anche se gli euro in questione non sono i propri). C’è chi ne adora le specialità e vi si rivolge ogniqualvolta possa farlo. E poi c’è l’Economist, che titola la copertina “Welcome to Britaly” per stigmatizzare una deriva politica che condurrebbe il centro dell’ex impero britannico a un inevitabile intasamento dei servizi pubblici, basse crescita e produttività -esattamente lo status italiano, a parere della rivista.
PERCHÉ LA NICCHIA CONTINUI A ESSERE MAGNIFICA. Magnifica è stata la capacità del paese di aggiungere un valore intangibile alle cose ordinarie – cibi, bevande, vestiti, arredi – trasformandole qui, come da nessun’altra parte, in qualcosa di più. Magnifica la capacità di incastonare storia, tradizioni, abitudini, genius loci in un’identità unica e non imitabile.
Tutto merito degli italiani? Parrebbe di no. Non è stato tutto merito italiano se il paese è la magnifica nicchia che è e non sarà tutta colpa degli stranieri se non lo sarà più in futuro (se non lo sarà più, beninteso). Vediamo qualche caso emblematico.
Che lo stivale fosse un Belpaese ce lo indicarono i ricchi gaudenti nordeuropei protagonisti del Grand Tour. Poi, con tutta calma, l’italiano si è attrezzato per sfruttarlo economicamente, questo Belpaese; ma è ancora decisamente più bravo a lasciare che attori stranieri usino il territorio per condurvi, con proprie imprese, masse di turisti e trarne cospicui denari, che a farlo lui. Che il nostro cibo e stile alimentare si chiamassero “dieta mediterranea” e tutto questo fosse sano e, forse, alla base di una certa longevità delle persone, ce lo disse un medico nordamericano, non certo i brand di manufatti a base di grano, olive e uva (la celebre “triade mediterranea”). Alle volte sono stati dei difetti caratteriali a fungere da innesco di grandi successi italiani: l’invidia fra vicini e conterranei, per esempio, che ha scatenato delle vere e proprie gare a chi fosse capace di far meglio. Chi conosce i distretti industriali e agricoli e sa leggerli oltre la retorica, sa bene quanto la rivalità fra persone abbia generato eccezionali casi di successo. Un altro difetto benefico è stato quell’atavica attrazione dell’italiano verso ciò che è fuori confine. Questa ha modellato la ormai “mitica” figura dell’imprenditore con la valigetta, pronto a girare il mondo per acquisire commesse. Poi, però, ci sono gli italiani, quelli che in questo particolare pezzo di Europa hanno fatto di campagne e colline dei paesaggi, di sperduti villaggi rurali degli splendidi borghi, dei cibi di sempre i prodotti a indicazione geografica, che hanno trasformato i mobili in design, dove gli industriali tessili si sono fatti stilisti e così via.
Tutto questo fino a ieri. Oggi che il paese è invecchiato, che il suo spirito economico sembra più ispirato dalla rendita che dal profitto, che la pratica global-liberista ha abbattuto le barriere alla circolazione delle persone e dei capitali, è lecito domandarsi se la magnifica nicchia sia una condizione sostenibile o meno nel tempo che verrà.
Probabile che dipenderà da molte piccole e grandi sfide: quella di allargare lo spettro del magnifico savoir faire italiano a produzioni non tradizionali -come, ad esempio già avviene nel farmaceutico; quella di indirizzare le successioni imprenditoriali alla rigenerazione delle fonti di valore – come nel caso di Illy, Rana e Della Valle, per fare tre esempi fra i molti possibili; quella di consolidare la specifica identità italiana in modo nuovo, senza nostalgie e passatismo ma con quella tensione all’eccellere che ne è da sempre parte sostanziale.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 100 di Aspenia