La Francia al bivio: la campagna presidenziale e il quadro europeo
Domenica 27 novembre si apriranno le urne per il ballottaggio delle primarie per il candidato presidenziale della destra (tradizionale) francese, che hanno visto al primo turno (domenica 20) un afflusso eccezionale: più di quattro milioni di persone. Il vincitore, visto che l’estrema debolezza della sinistra fa pensare che nessun suo candidato arriverà al ballottaggio, e salvo novità imprevedibili, se la giocherà contro Marine Le Pen alle elezioni del maggio prossimo.
I programmi di poltica economica dei due candidati, Alain Juppé e François Fillon, sono abbastanza simili e si possono definire “liberali”: diminuzione delle tasse, compresa la patrimoniale reintrodotta da Hollande, drastica riduzione della spesa pubblica e del numero dei funzionari, liberalizzazioni, abolizione delle famigerate 35 ore. Tuttavia differiscono sia nella portata, sia nei tempi di applicazione: più radicali per Fillon, più pragmatici per Juppé.
Sulle principali questioni che assillano i francesi, il terrorismo, l’immigrazione, l’islam militante, l’identità nazionale, le misure concrete non sono molto lontane, ma i toni del messaggio sono diversi. Di forte chiusura, per certi versi non lontani dalle posizioni del Front National, quelli di Fillon; più inclusivi quelli di Juppé.
Più lontane sono invece le posizioni in politica estera ed europea, temi che in verità hanno occupato poco spazio nel dibattito elettorale. Juppé si non si è espresso molto in materia, ma lascia pensare che si iscriva nella continuità della politica estera ed europea dei moderati francesi.
Fillon si può invece definire un gollista tradizionale. È decisamente nazionalista, velatamente anti-americano e partigiano di una netta apertura alla Russia di Vladimir Putin con l’abolizione delle sanzioni, apparentemente senza condizioni. Nel Medio Oriente propone di aprire a Bashar al-Assad con l’obiettivo di concentrare tutte le forze contro l’ISIS, ma non spiega cosa la Francia farebbe verso i suoi tradizionali alleati sunniti (Qatar e Arabia Saudita) con cui ha da sempre rapporti privilegiati. Il programma di Fillon è anche esplicitamente protezionista, per esempio con la proposta che qualsiasi futuro accordo commerciale negoziato dall’UE dovrà essere approvato per via referendaria; in pratica significa che l’UE non concluderà più alcun accordo.
Per quanto riguarda l’Europa, Fillon vorrebbe preservare Schengen, propone misure ambiziose per il controllo delle frontiere esterne e preconizza una politica di accoglienza molto restrittiva. Vorrebbe ricentrare l’azione della UE sull’area euro e propone una progressiva armonizzazione fiscale premessa per una mutualizzazione del debito e la creazione di un “tesoro europeo”. Non manca nemmeno la proposta di attenuare l’indipendenza della BCE. Queste misure in apparenza ambiziose sono affidate interamente a liberi accordi fra governi, prevedono l’emarginazione della Commissione e la creazione di un non meglio definito “direttorio europeo”.
In ogni elezione, i cittadini valutano i programmi, ma ancor più le personalità. In questo caso, entrambi i candidati hanno una lunga carriera politica e sono stati più volte ministri e primi ministri: Juppé con Jacques Chirac, Fillon con Nicolas Sarkozy. Juppé, più anziano, si è voluto definire come il candidato moderato capace di riunire attorno a sé il più gran numero di francesi. Fillon è l’uomo più giovane e più energico che, secondo la migliore tradizione (o forse mitologia) gollista, vuole essere eletto sulla base di un programma radicale che poi applicherà senza compromessi. Al primo turno delle primarie, l’elettorato conservatore, smentendo clamorosamente le previsioni, ha dato una netta preferenza a Fillon, creando un divario che forse sarà impossibile da colmare al secondo turno.
Le ragioni di questo risultato inaspettato sono complesse. Probabilmente ha giocato la volontà di escludere comunque Sarkozy, giunto terzo. Non ne ha beneficiato però il candidato più sbilanciato verso il centro e anche la sinistra; sembra un paradosso, ma lo stile di Fillon è indubitabilmente “sarkozista”. Numerosi elettori socialisti hanno del resto votato per Juppé al primo turno. Per consolidare la sua posizione, Fillon ha anche contato sulla sua immagine di cattolico praticante, giocando sull’avversione di quel mondo al laicismo prevalente nella società, emersa negli ultimi anni ad esempio nel contrasto alla legge sul matrimonio gay.
Partendo dal presupposto che il 27 novembre si deciderà chi affronterà Marine Le Pen al secondo turno delle presidenziali, sorge spontanea la domanda di chi fra i due contendenti ha più probabilità di batterla. Nel 2002 e in uno scenario analogo, Chirac vinse con una valanga di consensi soprattutto grazie alla massiccia mobilitazione degli elettori socialisti; il “riflesso repubblicano” del 2002 non è questa volta scontato. Da questo punto di vista, il candidato che ha più possibilità di attirare voti socialisti e moderati è Juppé. Per Fillon sarà più complicato. Lui punterà sulla diga all’estremismo, ma l’avversaria cercherà di influenzare l’elettorato di sinistra attaccandolo sul programma economico thatcheriano. È plausibile pensare che alla fine Fillon prevarrà, ma se dovesse accadere con una maggioranza esigua, per Marine sarebbe già una mezza vittoria da sfruttare nelle successive elezioni legislative.
La scadenza elettorale francese è cruciale non solo per la Francia ma per l’avvenire dell’Europa; che conclusioni dobbiamo trarre da tutto ciò? Per prima cosa, possiamo rallegrarci che dalle primarie della destra e del centro uscirà un candidato con ogni probabilità capace di battere Marine Le Pen e dissipare così l’incubo più grave. Possiamo anche rallegrarci di sapere che non si tratterà di Sarkozy.
Aver dissipato l’incubo non vuole ancora dire che avremo una Francia capace di ritornare a giocare un ruolo motore in Europa. La condizione perché questo avvenga dipende soprattutto dalla capacità del nuovo Presidente di raddrizzare l’economia e rassicurare i cittadini sulla sicurezza e l’identità nazionale. La Francia è in condizioni drammatiche, in preda a gravi tensioni etniche e malessere sociale; tradizionalmente statalista, non si è mai vista proporre programmi “liberali” così ambiziosi. Metà del paese è consapevole della necesiità delle riforme, ma l’altra metà le rifiuta con intransigenza. Persino la modesta riforma del mercato del lavoro proposta da François Hollande si è scontrata con una reazione sociale di estrema violenza. Molto dipenderà dal risultato delle elezioni legislative che seguiranno quelle presidenziali.
Dal punto di vista delle cancellerie europee, e di Berlino – che resterà in tutti i casi l’interlocutore privilegiato – il tifo per Juppé è evidente, visto che le convergenze sono numerose. Tuttavia, con l’abituale pragmatismo, Angela Merkel si preparerà anche alla vittoria di Fillon. È prevedibile che farà di tutto perché il suo programma di riforme economiche abbia successo. La sintonia si arresta però qui. Le idee di Fillon in materia di immigrazione sono più radicali di quelle della Cancelliera, anche se su quel terreno è possibile un’intesa. È invece probabile che la Germania reagirà negativamente alle proposte sull’avvenire dell’UE, in primo luogo per quanto riguarda il protezionismo e l’indipendenza della BCE. Anche la svolta istituzionale proposta da Fillon non sarà ben accolta; non perché i tedeschi diventeranno improvvisamente federalisti. La loro principale preoccupazione sarà piuttosto quella di tenere insieme l’intera Unione senza scosse eccessive; l’idea di una costruzione basata su regole giuridiche vincolanti e valide per tutti è alla base della loro politica europea.
C’è un punto su cui le divisioni rischiano di apparire subito. Nel programma di Fillon c’è parecchio “trumpismo”, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con la Russia, anche se molto dipenderà da ciò che Donald Trump deciderà effettivamente di fare. Nel programma di Fillon sorprende però che la proposta di ricentrare la politica europea sull’eurozona, l’idea del direttorio e l’apertura verso la Russia, indicano un totale disinteresse per i paesi dell’est. L’apertura a Putin è formulata senza condizioni e non tiene conto né del futuro dell’Ucraina, né della sicurezza dei baltici e degli altri paesi dell’est. Questo aspetto sembra essere assente sia nei calcoli di Trump, sia in quelli di Fillon, mentre è invece una costante peoccupazione tedesca. Fillon nel suo programma parla molto di difesa europea, soprattutto in funzione di un possibile disimpegno americano, e chiede giustamente agli altri partner una maggiore partecipazione agli sforzi francesi di combattere il terrorismo nel Sahel. Tuttavia, come sarebbe concepibile una maggiore cooperazione in campo militare senza una visione comune sul problema prioritario della sicurezza dei nostri confini orientali?
Come potrebbe reagire la Germania a un appeasement verso Mosca senza contropartite pilotato da Washington e Parigi? Anche se rieletta, la Merkel sarebbe stata sconfitta sui due slanci idealisti del suo cancellierato: l’apertura verso i rifugiati e la volontà di difendere la democrazia e assicurare la sicurezza ai suoi confini orientali. Sentendosi isolata, una reazione possibile sarebbe quella di accontentarsi della messa in sicurezza dell’euro e ripiegare su se stessa, rinunciando a ogni ambizione europea e alla tentazione di giocare un ruolo attivo sul piano internazionale.
La Germania potrebbe tornare a quello che sa fare meglio: essere una grande Svizzera, esportare (anche verso la Russia) e occuparsi della propria coesione interna. Molte voci si leverebbero per proporre questa svolta. In questo modo le elezioni francesi avrebbero evitato la vittoria della destra più estrema, ma il pericolo di disgregazione dell’Unione sarebbe sempre presente.