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La crisi distopica della Russia

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 Il trio Putin-Medvedev-Lavrov – se questo è ciò che resta della leadership russa – sembra intento a ricostruire davvero una versione rimpicciolita e aggiornata dell’URSS, ma con esiti diversi da quelli desiderati. Sul piano interno alla Federazione Russa, la “mobilitazione parziale”, annunciata il 21 settembre per rafforzare quantitativamente la presenza militare in terra ucraina, ha coinciso con un’ulteriore stretta autoritaria, ma anche con fenomeni di dissenso diffuso e fughe di massa dal Paese. Situazioni che ricordano i giorni fatali in cui fu eretto il Muro di Berlino – chi può, scappa (in quel caso tedeschi, oggi russi). Del resto, l’emorragia di professionisti e giovani era iniziata ben prima della mobilitazione militare, come attestano i numeri. In sostanza, il regime con questa nuova iniziativa si è imposto una “auto-sanzione”: fuga di forza lavoro, di cervelli, di contribuenti, e creazione in un colpo solo di un contingente di esuli ostili.

Un cartellone a Luhansk, città del Donbass controllata dai separatisti filo-russi, dice “Crediamo nel nostro esercito e nella nostra vittoria”.

 

Sul piano esterno, intanto, i referendum-farsa in parte del Donbass fanno tornare alla mente la logica della Mutual Assured Destruction che fu tipica delle fasi più acute della Guerra fredda, non solo nel senso tecnico legato alle armi nucleari: nel tentativo ormai disperato di compensare la sua debolezza militare convenzionale in Ucraina, Putin ha deciso di proclamare l’annessione di territori che in realtà ha praticamente devastato e che non è in grado di controllare con i suoi soldati.

La razionalità di questo gesto apparentemente irrazionale non sta soltanto nella teorica possibilità di difendere quelle porzioni di terra ucraina con ogni mezzo (perfino con armi nucleari), ma anche nell’aver legato il destino della Russia (attraverso questa versione nuova della sua integrità territoriale) a un obiettivo specifico, cioè appunto l’occupazione del Donbass. In sostanza, proprio come nella deterrenza nucleare, Mosca cerca di presentare ai suoi avversari due sole alternative: vittoria russa o annientamento reciproco; non si può (teoricamente) tornare indietro, perché la sopravvivenza stessa del regime dipende a questo punto dalla difesa a oltranza delle conquiste territoriali che restano dopo la controffensiva ucraina dell’estate.

 

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Fin qui, la visione che Putin cerca di proiettare verso il resto del mondo; i relativi pericoli sono serissimi e non vanno certo sottovalutati, ma la realtà è in parte diversa. A cominciare da un dato storico, cioè il collasso dell’URSS nel 1991 – avvenuto nonostante il sistema MAD e il possesso di armi nucleari, e proprio attraverso un rapido sfaldamento anche territoriale dell’impero sovietico. Come sappiamo, la Storia non si ripete mai esattamente, ma tende a fare rima. In altre parole, non dobbiamo cadere nella trappola di ritenere che una potenza nucleare sia in qualche modo immune da sconvolgimenti politici, e militarmente invulnerabile. Nei fatti, la natura stessa dello strumento nucleare lo rende difficile da usare, anche perché (soprattutto in territori contigui ai propri) ha molte caratteristiche in comune con un terrorista che indossi una cintura esplosiva – è cioè un’arma suicida.

Un secondo aspetto che ci riporta al passato sovietico (sempre in dimensioni ridotte) è l’utilizzo “orwelliano” delle dichiarazioni ufficiali per proclamare forme di “verità” in contraddizione tra loro, perché il concetto stesso di verità è al servizio della propaganda. In occasione della cerimonia per l’annessione dei quattro territori ucraini in cui l’esercito russo ha organizzato i cosiddetti referendum, il 30 settembre, Vladimir Putin ha proposto un non meglio precisato processo negoziale… come se un’annessione che la comunità internazionale considera illegale potesse essere la base di un compromesso. Si tratta, molto semplicemente, di una visione distopica sganciata dalla realtà. In effetti, Mosca ha davvero bisogno di un negoziato a questo punto, visto che sarebbe l’unico modo di salvare qualcosa delle conquiste territoriali della primavera che militarmente non riesce più a difendere da inizio settembre.

Per tornare al terribile scenario delle armi nucleari tattiche, si può notare una situazione perfino peggiore rispetto agli anni dell’URSS, nel senso che oggi la leadership russa brandisce l’opzione nucleare con assai maggiore superficialità. Viene così proiettata verso il resto del mondo l’immagine di un gruppo dirigente terrorizzato che ricorre a sua volta all’arma del terrore. Sembra essere saltato il controllo della comunicazione strategica: hanno minacciato lo scenario nucleare non soltanto Dmitry Medvedev, che quantomeno ha una carica ufficiale come Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza, ma perfino Ramzan Kadyrov, che è Governatore della Repubblica di Cecenia – cioè occupa una carica locale in un territorio più piccolo di quello del Veneto, con tutto il rispetto per il Veneto. E’ chiaro insomma che gli stessi obiettivi dichiarati del governo russo sono diventati sempre più erratici, passando dalla “denazificazione” dell’Ucraina alla liberazione del Donbass alla conquista di tutta la costa del Mar Nero, fino a uno scontro epocale con l’Occidente.

 

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Stante che Mosca non sembra affatto disponibile a sedersi a un tavolo delle trattative con Kiev perché vorrebbe negoziare con gli USA, e che il Presidente Zelensky non ha comunque alcuna intenzione di farlo al momento, c’è anche da domandarsi per il futuro: con quale incarnazione della leadership russa dovrebbe semmai negoziare l’Occidente? Si sta in effetti profilando un problema nuovo nel rapportarsi con la Russia, cioè quello della personalità multipla, ai limiti della schizofrenia. Basti guardare agli appelli di tipo religioso/messianico lanciati dal Patriarca ortodosso Kirill (“Patriarca di Mosca e di tutte le Russie”) per spingere i cittadini ad arruolarsi invece che scappare oltreconfine, mentre Putin cerca a intermittenza di far balenare agli europei un futuro di tranquillo interscambio energetico se soltanto si affrancassero dal “giogo americano”. Intanto si moltiplicano i segnali, almeno indiretti, di lotte interne all’establishment, sia civile che militare e paramilitare.

Il punto è che abbiamo di fronte un Paese in gravissima crisi d’identità politica, sociale e culturale. Con un’economia russa che nei prossimi mesi andrà quasi certamente a picco, dovremo tutti porci il quesito di se e come salvare la Russia da se stessa.