La Cina che cambia e le scelte dell’Occidente diviso
Il 5 novembre può essere indicato come una data significativa, o quantomeno simbolica, per l’evoluzione del ruolo cinese nel mondo. Non si tratta di una decisione operativa del governo guidato da Xi Jinping, ma l’inizio di una fiera a Shanghai – “China International Import Expo” – per la promozione delle opportunità di business nel Paese. E’ un evento che rivela quanto Pechino stia tentando di cambiare il proprio modello di crescita economica. La chiave sta tutta nella parola “import”, cioè nell’enfasi sulla volontà di attrarre aziende straniere a lavorare nel mercato cinese – operazione rivelatasi finora assai complicata per chiunque.
La Cina è un gigante che pianifica su tempi lunghi, eppure agisce come un bersaglio mobile e perfino rapido. Certamente è una superpotenza commerciale; mentre il resto del mondo si adattava a questa realtà, la Repubblica Popolare è diventata un attore importante – a volte ingombrante – anche nel settore degli investimenti, e una potenza asiatica con proiezione geopolitica tendenzialmente globale, dall’Africa all’America Latina. Il dinamismo cinese si manifesta adesso nello sforzo di modificare o adattare il suo modello di sviluppo economico, rafforzando il mercato interno (come dimostra appunto la fiera di Shanghai) e riducendo – seppur gradualmente, per evitare scompensi eccessivi – la dipendenza dall’export.
In sostanza, la Cina non è più lo stesso Paese che ha sfruttato l’ingresso nel WTO dal 2001 per trasformarsi in un grande esportatore, aggirando o ignorando una serie di regole mentre gli altri chiudevano più di un occhio – come fa giustamente notare Donald Trump. Oggi siamo di fronte a un’economia dal PIL comparabile a quello statunitense, seppure assai più debole in termini di ricchezza pro capite. Un’economia che può servire da modello per molti Paesi in via di sviluppo, e anzi disposta a fare da traino e da guida per questo difficile processo.
E’ chiaro dunque che non si può ignorare il “fattore Cina”, soprattutto nel momento in cui Pechino compie alcuni passi verso una maggiore apertura. Al tempo stesso, va tenuto in considerazione che il Paese soffre di gravi squilibri interni e non dispone ancora di un “soft power” paragonabile a quello americano; in aggiunta, deve continuare a investire ingenti risorse per sperare un giorno di colmare il vasto gap nelle capacità militari rispetto a Washington.
In estrema sintesi, la Cina è già una grande potenza e lo sarà ancor più in futuro; ma non è predestinata a sottomettere l’Asia orientale al suo volere né tanto meno a dominare il mondo. D’altra parte, le risposte di Pechino alle nuove sfide internazionali – innescate in parte dalla propria stessa crescita – ci costringono a ripensare alcuni assunti sul mercato cinese: sarà un mercato enorme, e dunque con grandi opportunità, ma sempre più competitivo. Inoltre, le stesse aziende locali occupano ormai posizioni di vertice in settori ad alto valore aggiunto e con enormi margini di sviluppo, dal fotovoltaico fino dall’intelligenza artificiale. Il bersaglio mobile continuerà a muoversi, con i tempi lunghi del pensiero strategico e con i tempi medio-brevi del pragmatismo.
E’ in questa ottica che si può leggere anche la reazione cinese alla prima fase dell’offensiva del Presidente Trump: certamente preoccupata, ma razionale e tarata su specifici settori. Ci sono limiti oggettivi a quanto Pechino può fare di fronte ai dazi americani, avendo praticamente esaurito i settori passibili di contro-sanzioni – proprio in virtù dello squilibrio commerciale per cui i prodotti americani coinvolti nell’interscambio sono assai meno numerosi.
La questione è però quali implicazioni politiche trarrà la leadership di Pechino, perché ciò segnerà il clima dei rapporti internazionali per molti anni. E intanto gli europei dovranno capire quanta libertà di manovra avranno realmente, in questo nuovo quadro politico, per perseguire i propri obiettivi commerciali, se Washington deciderà di affrontare di petto il gigante cinese in tutti i settori – compreso quello militare.