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Intelligence e pandemia: “l’ora più chiara”

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Durante la seconda guerra mondiale Winston Churchill affermò “E’ l’ora più buia”. Per similitudine oggi potremmo invece affermare che “E’ l’ora più chiara”. Infatti, stanno diventano evidenti, di fronte a una situazione inedita e sottovalutata, tutte le contraddizioni della globalizzazione, dell’Unione Europea e del sistema nazionale. Appunto per questo, potrebbe essere utile riflettere su quello che sta realmente accadendo in funzione di quello che probabilmente potrebbe verificarsi nel prossimo futuro.

L’Italia ha definito i suoi fattori di potenza nella legge 124/2007 sulla riforma dei servizi di intelligence: gli aspetti politici, militari, economici, industriali e scientifici. Appunto per questo la Società Italiana di Intelligence, che si propone di fare riconoscere questa disciplina nelle università, ha redatto uno studio dal titolo “Analisi di Intelligence e Proposte di Policy sul Post-Pandemia COVID-19 (aprile 2020 – aprile 2021)”.

La penisola italiana dal satellite

 

La chiave di lettura è appunto quella dell’intelligence, intesa come capacità di interpretare la realtà e prevedere i futuri possibili. Dal punto di vista politico, gli aspetti più probabili da affrontare saranno il disagio sociale e l’ulteriore invadenza delle mafie nelle attività economiche. Inoltre, è interesse dello Stato evitare che i decisori pubblici gestiscano la crisi come opportunità per loro stessi e non come problema della collettività. Non per nulla, l’intelligence deve cercare di cogliere i segnali deboli che non vengono adeguatamente percepiti.

Questa crisi accentuerà sicuramente i divari territoriali, fino al punto che le aree più sviluppate, che coincidono con quelle più colpite dalla pandemia, potrebbero presto riprendere l’idea di un’autonomia più accentuata rispetto al Sud. Tendenza che si aggiunge a quella sull’Unione Europea, in questo momento (almeno a giudicare dai recenti sondaggi) considerata ostile rispetto alle necessità nazionali. Infatti, gli italiani sembrano accarezzare una Italexit: secondo SWG solo il 27% “ha fiducia” nell’Europa e secondo Euromedia Research così com’è l’Unione Europea “non ha più senso” per il 59% degli intervistati.

Questa crisi inoltre sta facendo emergere la necessità di un riequilibrio dei poteri tra Stato e Regioni. A eccezione del Veneto, il caso della sanità è chiaro: il 70% dei bilanci regionali sono collegati alla sanità e i risultati dimostrano che di fronte a uno stress non riesce a reggere neanche il sistema più celebrato come quello lombardo.

Sul piano geopolitico il nostro Paese dovrà considerare gli attori in campo: l’Unione Europea, gli USA, la Cina e la Russia. Pertanto, va subito inquadrato un più chiaro posizionamento italiano rispetto alle alleanze internazionali, avendo come punto di riferimento l’interesse nazionale. Sul piano militare, il probabile ridimensionamento dei fondi nel bilancio pubblico potrebbe incidere sul settore della difesa, indebolendo la NATO, con la conseguente crescita della presenza nel Mediterraneo di Russia e Cina. Inoltre, va posta attenzione alla protezione del perimetro di sicurezza cyber nazionale e alla prevenzione di minacce nucleari, biologiche e chimiche, considerato che l’attuale pandemia potrebbe non essere l’ultima.

Per tutelarci a livello economico e industriale, occorre aggiornare la normativa del golden power, impedendo in questa fase la vendita delle aziende strategiche. Sebbene sia complesso ma necessario, andrebbero create le condizioni sia per il ritorno delle attività italiane delocalizzate all’estero e sia per il rientro delle sedi fiscali delle aziende.

A livello scientifico, occorre proteggere i nostri asset nei settori dell’innovazione industriale, del farmaceutico, della ricerca universitaria, dell’intelligenza artificiale. Va in questo momento richiamata l’importanza di bilanciare il ruolo degli scienziati con quello dei decisori politici, poiché si è passati da una iniziale sottovalutazione degli esperti a fare dipendere da loro anche parte rilevante delle scelte politiche. Infine, non va sottolineata l’emergenza educativa che può ulteriormente indebolirci nella competitività globale, accentuando il solco già vasto tra Nord e Sud.

Sono tutti temi rilevanti e non certamente semplici ma forse, in condizioni di emergenza, si potrebbero affrontare i nodi strutturali del Paese. Sarebbe fondamentale per fronteggiare una crisi che, se non ben governata, rischia di acuire sempre di più le disuguaglianze e le contraddizioni nazionali, fino a una possibile implosione sociale, politica e istituzionale.

L’aspetto centrale è questo: la tenuta sociale del nostro Paese dipenderà dall’equilibrio che si determinerà tra le persone che diventeranno indigenti e quelle che manterranno un pur ridotto benessere. Di fronte a uno scenario non semplice sarebbero necessari interventi strutturali, a cominciare da quelli sui costi della politica, compresi quelli dell’alta burocrazia statale e regionale. Compensi che non corrispondono a nessuna utilità sociale, nessuna ragionevolezza e nessun confronto con il resto del mondo. Si tratta di somme che incidono poco sul bilancio complessivo dello Stato ma significano molto per avvicinare le élite ai cittadini.

In definitiva, il coronavirus sembra fare emergere tutti i nodi irrisolti degli ultimi anni per il nostro Paese. Occorrerebbe una strategia ampia che abbia come riferimento la sicurezza e l’interesse nazionale. Compito eminentemente delle istituzioni politiche e burocratiche, attualmente fiaccate da una selezione che nell’ultimo quarto di secolo probabilmente non ha selezionato e fatto emergere i migliori.

Il Governo dovrebbe decidere (e lo sta facendo, tra qualche fondata polemica), il Parlamento dimostra una funzione principalmente formale (ne è testimonianza che chi lo rappresenta è individuato con meccanismi elettorali assai discutibili), le regole costituzionali lasciano il tempo che trovano (quello che incide è la loro pratica attuazione e dipende appunto da chi rappresenta le istituzioni), la Comunità dell’intelligence segue gli indirizzi della politica (pur rappresentando il deep state, che prescinde dell’alternarsi delle maggioranze).

Questo insieme di fattori non può che confermare come di fronte alle emergenze complesse ci dimostriamo (ma non solo noi) impreparati. Perché è proprio nei momenti di difficoltà che si tocca con mano la reale organizzazione del Paese, l’efficacia dei sistemi di governo e la consistenza delle élite.