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Il (poco) fattore religioso nelle primarie 2016

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A primarie ormai avanzate, e con i principali contendenti già delineati, pare che la religione sia destinata a giocare un ruolo minore nella campagna elettorale per le presidenziali del 2016. Al contempo, si stanno verificando riallineamenti davvero notevoli tra gli americani che votano innanzitutto sulla base della propria fede.

Le elezioni del 2012 erano state segnate in modo significativo dal fattore religioso, a causa di diversi fattori: la rilevanza tra i repubblicani di un candidato mormone, Mitt Romney; la presenza di politici allineati con la destra religiosa degli evangelici, come Newt Gingrich e Rick Santorum; e la polemica tra il Presidente Barack Obama e la chiesa cattolica su riforma sanitaria e contraccezione. Questo aveva portato anche ad una forte enfasi su temi ‘etici’ come aborto e nozze gay, in particolare nelle primarie repubblicane. Nella campagna del 2016, questa influenza appare, almeno finora, più sfumata.

In primo luogo, la maggior parte dei candidati di punta, al di là delle dichiarazioni di rito, non è nota per una forte inclinazione verso la religione. Questo è vero in particolare tra i Democratici. La front runner Hillary Clinton è generalmente considerata come una personalità laica pur dichiarandosi, ufficialmente, credente e lettrice della Bibbia. Bernie Sanders, in quanto primo ‘serio’ candidato alle presidenziali di estrazione ebraica, poteva suscitare maggiori dibattiti. Tuttavia, la sua preferenza per temi come quelli del lavoro e il suo dichiararsi “non particolarmente religioso” hanno fortemente depotenziato questo fattore (come dimostrato dal fatto che il candidato pare essere gradito anche a molti elettori di fede musulmana) – fatta eccezione per alcune dichiarazioni da parte dello staff di Trump. A titolo di esempio, un pastore membro del suo entourage ha dichiarato: “Bernie deve essere salvato, deve incontrare Gesù”.

Lo stesso Trump, favorito tra i Repubblicani, condivide con la Clinton (della quale è stato sostenitore e finanziatore fino a metà degli anni 2000) l’immagine di persona estranea al mondo religioso, anche per i suoi trascorsi nello show business. Alcune sue posizioni non sono per nulla allineate con il sentire della destra religiosa: in particolare il suo apprezzamento per Planned Parenthood, organizzazione fortemente contestata dagli evangelici per la sua fornitura di servizi nel campo della contraccezione e dell’aborto (del resto, Trump fino ai primi anni 2000 si dichiarava apertamente pro-choice); e la sua riluttanza a prendere una posizione netta sulla questione israelo-palestinese. Trump è stato in passato registrato come elettore democratico, e anche dal punto di vista della vita personale, il suo curriculum di cristiano praticante appare fortemente dubbio, in particolare per i tre matrimoni all’attivo.

I suoi principali avversari repubblicani hanno invece credenziali ‘cristiane’ più solide, a partire da Ted Cruz. Il senatore del Texas (che è figlio di un pastore) è probabilmente il candidato che ha dato l’impronta maggiormente religiosa alla narrativa della sua campagna: a partire dalla decisione di scendere in campo, che ha dichiarato di avere preso dopo un servizio religioso in conseguenza di una rivelazione divina ricevuta dalla moglie. Cruz (come altri contendenti meno fortunati e ormai fuori dalla partita, da Marco Rubio a Ben Carson) presenta proposte politiche dal taglio nettamente conservatore, su questioni come aborto, diritti LGBT, controllo delle armi, istruzione e questioni mediorientali.

Come nelle scorse elezioni, il mondo evangelico e i suoi principali leader, pur concordando nel sostegno al Partito Repubblicano, non sono riusciti ad individuare un candidato di riferimento (anche a causa del fatto che coloro che si autodefiniscono ‘evangelici’ rappresentano in realtà un elettorato molto variegato). Mentre Cruz ha un forte appeal sugli evangelici della ‘vecchia guardia’ come James Dobson, Marco Rubio era ­– prima del suo ritiro – il preferito dei leader più giovani e di alcuni noti pastori di megachurches come Rick Warren. Alcuni leader evangelici, tuttavia, apprezzano Trump: in particolare quelli più vicini al mondo del business, come Jerry Falwell jr. (il suo endorsement di Trump ha scatenato molte discussioni nello stesso mondo evangelico).

Tale divisione a livello della leadership evangelica si riflette sul voto degli elettori di questa estrazione religiosa, in particolare i bianchi. I quali, secondo gli exit poll, sarebbero divisi tra i diversi candidati, con una quota consistente e apparentemente crescente (il 22% in Iowa, il 33 in South Carolina, il 40 in Nevada, il 38 in Ohio) ma non maggioritaria per Trump. Il magnate raccoglie anche considerevoli consensi tra i cattolici, anche in questo caso soprattutto quelli bianchi, che negli ultimi decenni si sono spostati in modo sempre più marcato dai Democratici ai Repubblicani (i cattolici latini e asiatici si allineano con la generale preferenza delle minoranze etniche per i Democratici). Certo sorprende che i cattolici apprezzino un candidato come Trump, che recentemente è stato bollato da Papa Francesco come “non cristiano”.

L’impressione è quella che questo voto, così come quello evangelico, premi il candidato più conservatore, anche su questioni come quella dell’immigrazione, e più nazionalista, piuttosto che quello con le più solide credenziali religiose. È in corso quindi uno spostamento a destra dell’elettorato più connotato in senso religioso, per cui prevale sempre più la preoccupazione anche per questioni non attinenti al sacro, come immigrazione e ruolo dell’America nel mondo. Trump potrebbe inoltre intercettare un voto ‘anti-politico’ da parte di elettori religiosi insoddisfatti dell’establishment repubblicano.

Se, come sembra oggi probabile, Clinton e Trump emergeranno come vincitori dalle rispettive primarie, il ruolo della religione nella campagna presidenziale dipenderà probabilmente da due fattori. Il primo sarà la scelta di Trump se collocarsi al centro, oppure puntare su una posizione conservatrice (anche sfruttando gli scandali che caratterizzarono la presidenza di Bill Clinton per colpire Hillary). Il secondo sarà il peso che avranno alla convention di luglio candidati come Cruz, i quali potrebbero influenzare notevolmente la piattaforma del candidato presidente, in particolare se Trump non disponesse della maggioranza assoluta dei delegati.