international analysis and commentary

Il G7 di Biden, tra sfida cinese e metodo multilaterale

36,179

 Il vertice del G7 in Cornovaglia del giugno 2021 sarà probabilmente ricordato per aver sancito la centralità della “questione Cina” negli assetti globali. In effetti, l’incontro ha però anche segnato il nuovo tentativo di esercitare una leadership multilaterale da parte degli Stati Uniti di Joe Biden, al di là del problema cinese.

I leader del G7 nella foto di rito sulle spiagge della Cornovaglia

 

In sostanza, i tre fattori decisivi del sistema internazionale odierno possono essere raccolti in queste parole-chiave: rimodulazione della leadership americana (meno forte che in passato), sfida cinese (ora percepita come tale quasi ovunque nel mondo), e metodo multilaterale (non certo perfetto ma tuttora indispensabile). Gli incontri in Cornovaglia hanno ruotato attorno a questi tre assi.

Il presidente Biden ha impostato il suo intero tour europeo, a partire proprio dal G7, come un rilancio delle alleanze tradizionali, sulla base di un nuovo consenso a fronte dell’ascesa di Pechino come grande potenza ma anche sulla scia della ripresa economica post-pandemia e dunque di una diversa gestione della globalizzazione. Dai vaccini alla transizione sostenibile – che è di fatto anche una ristrutturazione dell’interdipendenza globale – è evidente che la cooperazione internazionale è ineludibile in alcuni settori, perfino con Paesi tutt’altro che democratici come Cina e Russia. Si deve dunque trovare un compromesso tra “alleanza delle democrazie” e “multilateralismo efficace” ad ampio spettro: nessuno dei due formati è di per sé sufficiente. Basti pensare che, secondo le ultime stime, i Paesi del G7 assommano emissioni di CO2 inferiori a quelle della sola Cina; la cooperazione qui non è una scelta ma un imperativo.

Un aspetto interessante, e positivo, del vertice è stato l’insistenza sull’efficacia delle politiche da adottare. In estrema sintesi, rispetto al confronto/scontro tra modelli di governo, le democrazie liberali di mercato dovranno dimostrarsi migliori, cioè più efficienti, nell’affrontare i problemi di un mondo complesso, e non semplicemente nel dichiarare una presunta superiorità morale. E’ un buon punto di partenza, che ad esempio ha trovato una prima applicazione, per quanto ancora generica, nell’ipotesi di una sorta di grande piano alternativo alla Belt&Road cinese – il “Build Back Better World” (B3W). In altre parole, se si intende frenare l’espansione della presenza cinese nei gangli vitali delle infrastrutture globali, il modo più logico sembra essere fornire una soluzione alternativa a chi ha accettato finora i finanziamenti di Pechino. Non sarà facile, ma è una strada percorribile.

Come sempre, il G7 non può certo risolvere d’incanto i problemi sul tavolo, e infatti restano da definire con più precisione gli impegni ribaditi per la transizione ecologica (soprattutto i passi intermedi per arrivare al “net zero emissions” entro il 2050), come anche la messa in atto del principio sulla tassazione delle grandi multinazionali. E’ chiaro che il Comunicato finale del vertice rappresenta, insomma, un punto di convergenza dai contorni non troppo precisi; ma è pur sempre un punto di convergenza non scontato, in particolare sui rapporti con la Cina che rischiano di mettere in difficoltà l’asse transatlantico.

Qui si può considerare sintomatico il modo in cui il Presidente del Consiglio italiano ha descritto la mediazione raggiunta: secondo Mario Draghi, con Pechino si deve anzitutto cooperare ove possibile e necessario (come sul clima e su alcuni aspetti commerciali), competere (proprio in base al criterio dell’efficienza per le democrazie liberali di mercato), e al tempo stesso andare al confronto sui principi e i valori inderogabili (con una lunga lista di critiche ai regimi autoritari). Le parole di Joe Biden sono state forse più dure e dirette: “we are in a contest with China per se, and in a contest with autocrats and autocratic governments around the world”. Ma resta il riorientamento complessivo, condiviso dalle sette maggiori economie, rispetto alla penetrazione cinese nelle catene globali del valore, nelle grandi rotte commerciali, nelle infrastrutture e nelle tecnologie digitali.

E’ proprio in tale contesto che si deve leggere anche la dichiarata disponibilità del governo Draghi a riconsiderare il Memorandum of Understanding siglato dall’Italia con Pechino nel marzo 2019. E’ arrivato il momento di fare alcune scelte non facili, alla ricerca di un migliore assetto transatlantico e globale a cui ciascuno dovrà dare un contributo.