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Politica e potere nell’era delle reti

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Chi sono io? Anzi, chi siamo noi nell’era delle reti e dei grandi social network? E’ la domanda che dovremmo porci tutti in questo nuovo mondo ibrido, metà umano e metà digitale, che stiamo vivendo anche a causa dell’effetto fondamentale della pandemia: l’accelerazione di molti trend che erano già in atto.

Una domanda che nasce da una consapevolezza: nel nuovo multiverso digitale, siamo tutti profondamente combattuti tra l’esigenza personale di essere sempre più attivi a livello individuale da una parte, e la necessità di mettere costantemente in pratica meccanismi di collaborazione e di condivisione dall’altra.

 

Ma rispondere a questa domanda individualmente non basta, perché lo stesso problema si ripropone in quel processo collettivo che chiamiamo governare. Ed è un tema difficile da affrontare perché la nostra classe dirigente vive dolorosamente la separazione che nasce dal divorzio emergente tra potere (la facoltà di porre in atto un’idea) e la politica (la capacità di decidere che cosa fare o non fare su un territorio).

A causa dell’interdipendenza e della globalizzazione, queste due facoltà, che sono state congiunte per alcuni secoli nello Stato-Nazione, hanno oggi due sedi diverse: lo spazio dei flussi territoriali, il regno della politica, e quello dei luoghi globali, l’impero del potere.

Cosa è successo? Nell’era delle Reti e della data driven economy, sono accadute due cose fondamentali: la prima è che il potere è migrato dallo Stato-Nazione a uno spazio sopranazionale, quello delle reti globali, delle Big Tech, dei mondi dell’hard power (materie prime, finanza, demografia) e del soft power (tecnologia, software, dati, idee, intelligenza artificiale). La politica, quella che eravamo abituati a considerare come dominante, è invece ancora relegata entro i confini (ormai angusti) del territorio nazionale. O poco più, a seconda del possesso o meno di armi nucleari o di importanti materie prime.

E questo significa che esistono ormai due diversi tipologie di potere: da un lato il primo, quello globale, quello dei “poteri forti”, statali, militari, delle agenzie di sicurezza, delle reti parallele e delle Big Tech che va spesso al di là di ogni guida o supervisione politica. Dall’altro, esiste ancora il potere della politica, molto forte per certi versi sul piano nazionale o locale, ma mortificato nei processi di raggiungimento dei risultati da un permanente deficit di efficacia ogni volta che esce dai suoi confini territoriali.

Conciliare questi due mondi è come essere contemporaneamente il musicista che suona un singolo strumento ed il direttore che dirige tutta l’orchestra. Nessuno degli organi politici esistenti, ereditati dal passato e creati in origine al servizio di società che ragionavano di Stato-Nazione, ha le capacità e le risorse necessarie per affrontare un compito di così grande portata.

Anche perché i mercati globali sono una componente fondamentale del sistema. Quando si tratta di negoziare sulla linea di confine tra ciò che è realistico e ciò che non lo è, i mercati hanno il diritto alla prima e all’ultima parola: lo spread, il prezzo del petrolio, o i livelli azionari insegnano.

Ma il termine “mercati” sintetizza un sistema di forze anonime, senza volto né indirizzo, che nessuno mai ha eletto né delegato a richiamarci all’ordine o a impedirci di combinare guai. E che nessuno è in grado di controllare e guidare, se non settorialmente e incidentalmente. Ecco la differenza tra mercati e politica e il loro confronto assoluto in termini di potere. Chi governa veramente? Una domanda fondamentale, senza un’apparente risposta.

Ed ecco perché si sta diffondendo a tutti i livelli la sensazione che governi e parlamenti eletti siano incapaci di far bene il proprio lavoro. L’era della fiducia nelle Istituzioni degli Stati-Nazione sta cedendo il passo a un’era di discredito di quelle stesse Istituzioni, ormai preda dello scetticismo dei cittadini che non credono più nella capacità d’azione dei governi di risolvere problemi non meramente territoriali.

E’ l’effetto delle due diverse velocità. Due mondi che girano a velocità diverse e, per il momento, nessuna “frizione”, nessun sistema di accoppiamento meccanico o digitale che li porti allo stesso regime di giri e li faccia dialogare per il bene comune.

Insomma, in questa nuova configurazione, le tradizionali forme di potere basate su comando e controllo non funzionano più. A questo punto la domanda è: qual è l’alternativa? Se il vecchio modello è venuto meno, quale nuovo modello potrebbe sostituirlo?

Dopo la pandemia, crediamo che un primo percorso sia ormai chiaro. Per conseguire risultati stabili nel tempo, le strutture politiche e aziendali eccessivamente chiuse e gerarchiche devono lasciare il posto a nuovi processi fondati sul valore dell’apertura, dell’inclusività e della condivisione delle conoscenze, a costo di correre qualche rischio di perdita del potere stesso.

Non sarà facile: i governi, le Istituzioni e pubbliche amministrazioni (ma le imprese, medio-grandi e grandi, si comportano più o meno allo stesso modo) sono restie a riconoscere ed affrontare problemi strategici come quelli di cui parliamo, perché sono figlie di culture organizzative che raramente incoraggiano a perseguire l’innovazione, in particolare quella proveniente dall’esterno.

Sono una specie di circolo chiuso, un’enclave ristretta che si comporta come le famiglie reali dello scorso millennio, quelle i cui figli si accoppiavano fra di loro. Questo è il peccato più grave del mondo politico e aziendale attuale: ignorare l’offerta molto più ricca della società, della condivisione e della competizione collaborativa che proviene dalla Rete e dal capitalismo della conoscenza.

Un’onda di rinnovamento che non bisogna sottovalutare perché viene da centinaia di milioni di persone connesse in Rete. E’ uno tsunami di idee all’inizio lento, ma che si espande velocemente e che, come l’acqua, se trova un ostacolo o un muro, non si ferma ma si insinua, si alza, oppure si interra con un movimento carsico. E, prima o poi trova comunque la sua strada, aggirando qualsiasi barriera.

Spesso, se la resistenza è troppa, a costo di spianarla definitivamente.