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Il business dei centri di detenzione e la politica migratoria di Trump

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Non sanno esattamente dove siano i loro figli, conoscono solo l’ultimo luogo in cui sono stati separati: al confine con il Messico per entrare in territorio americano. L’organizzazione giornalistica ProPublica è riuscita a registrare e a pubblicare i pianti, disperati, di quei bambini separati dai genitori. Separati e detenuti in centri di detenzione, secondo la “tolleranza zero” decisa dall’amministrazione Trump. Sullo sfondo dei pianti di quei bambini, nell’audio di ProPublica, si sentiva il commento sarcastico della guardia di frontiera: “Abbiamo un’orchestra qui!”

La pratica della separazione dei figli dei migranti dai propri genitori è una delle conseguenze più atroci del nuovo corso di Trump ma non l’unica. Una bambina di sei anni, separata dai genitori al confine tra Messico e Stati Uniti, è stata abusata in un centro di accoglienza per minori gestito dalla non profit SouthWest Key programs, nelle stesse settimane in cui la stessa SouthWest ha ottenuto 458 milioni di dollari. Da chi? Dal governo americano, per gestire le strutture di detenzione per conto del dipartimento della sicurezza interna (Homeland Security). La non profit texana ha strutture sparse tra California, Arizona e Texas per minori migranti non accompagnati, che passano il confine da soli o che vengono separati dai genitori dalla polizia di frontiera americana.

Il centro di accoglienza dove c’è stata la violenza, dal nome “Casa Padre”, sorge in un edificio di proprietà della catena di negozi Walmart. Alla piccola vittima, è stato persino fatto firmare un documento in cui si attribuisce a lei la responsabilità di tenersi alla larga dagli altri migranti del centro, più grandi, che l’hanno abusata.
Un dramma nel dramma, perché D.L., queste le iniziali della piccola, è vittima due volte: oltre ad aver subito l’abuso sessuale, è stata separata dai genitori in virtù della nuova politica migratoria sancita da Trump con un ordine esecutivo nell’aprile scorso.

Ad aprile, dopo l’istituzione dei “muslim ban” – divieti di ingresso per musulmani provenienti da Yemen, Sudan, Somalia, Iran, Iraq, Libia e Siria – l’amministrazione Trump ha messo fine all’approccio “catch and release” che aveva caratterizzato l’ultimo decennio della politica per l’immigrazione negli Stati Uniti: niente più catture e rilasci ma “tolleranza zero” ed estensione geografica dei poteri dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), frutto di un precedente ordine esecutivo del 25 gennaio 2017.

Seppur sprovvisto di record su reati pregressi o persino nei confronti dei richiedenti protezione e asilo, l’ICE infatti può arrestare e trattenere nei centri di detenzione chi varca il confine americano perché l’ingresso nel paese, senza documenti e senza permessi di lavoro, è un reato. E non è un caso che il Presidente Trump richiami il vecchio slogan “zero-tolerance” di Rudolph Giuliani, elaborato nella campagna da sindaco di New York nel 1994, per sradicare il crimine. Istituendo così una pericolosa associazione: criminale uguale immigrato. Una sorta di dazio pagato alla sua base elettorale e che vorrebbe rispondere all’ansia di un “paese”, l’America dei bianchi, ormai in estinzione.

Ed infatti, nonostante il numero degli ingressi non regolari sia in diminuzione e dopo anni di declino negli arresti dei migranti, maggio 2018 è stato il terzo mese consecutivo in cui i trattenimenti da parte dell’ICE sono cresciuti, toccando quota 50mila. Tre volte il numero di detenzioni registrate nel maggio 2017, in cui c’era già stata una crescita nel numero di arresti (Trump era in carica da gennaio).

Secondo il Pew Research Center era dal 2009 che non si registravano detenzioni in crescita su tutto il territorio americano. Come evidenziato nella mappa elaborata dal centro di ricerca (dati 2017), la tendenza crescente coinvolge molte aree del paese, e non solo nelle zone del confine sud, per un totale di 143,470 arresti: 30% in più rispetto al 2016. 110,568 sono stati gli arresti dal giorno dell’inaugurazione della nuova amministrazione (20 gennaio 2017) al 30 settembre 2017.

La “zero-tolerance” trumpiana, oltre a far aumentare gli arresti e i giorni di detenzione, ha determinato la separazione dei genitori dai figli e creato in pochi mesi un drammatico caos. Sulla scorta delle proteste della società civile e delle pressioni  del suo partito, a fine giugno il Presidente ha accettato di interrompere la separazione forzata a patto però che i migranti siano disposti ad essere rimandati indietro, anche nel caso essi abbiano fatto richiesta di protezione o asilo. In sostanza, la tolleranza zero assume risvolti ancora più perversi: o il migrante sceglie di esercitare il proprio diritto di richiesta di asilo, senza poter esser riunito ai propri figli, o accetta di essere “deportato” nel paese di provenienza pur di riunirsi con loro. Intanto, la politica di Trump ha già diviso oltre 2300 migranti dai propri figli. Di questi immigrati, 450 sono stati già espulsi dagli Stati Uniti. I loro figli, intanto, sono trattenuti nelle strutture di detenzione come quelle della SouthWest, per un totale di 10,773 piccoli migranti secondo le stime del dipartimento della Sanità e Servizi Sociali, dove a fine luglio si sono registrati – dopo i casi di qualche mese fa – altri episodi di abusi e molestie.

Follow the money: il profitto dai “gulag” per migranti 

La SouthWest Key Inc., la proprietaria for-profit dell’omonima non profit che gestisce i centri, pur operando nei settori energia e costruzioni, nel 2016 ha dichiarato di ottenere il 98% delle proprie entrate dal suo ruolo di contractor con il governo degli Stati Uniti. E sempre dal 2016, la non profit ha raddoppiato le entrate: da 242 milioni di dollari ai 458 forniti dall’amministrazione Trump, per un contratto triennale, stipulato però nel 2016 durante la presidenza Obama, del valore di 990 milioni di dollari. Lo stesso compenso del CEO e fondatore della SouthWest, Juan Sanchez (messicano entrato come bracciante negli Usa), è duplicato in due anni: da uno stipendio di 889 mila dollari, più bonus e indennità di pensione, è arrivato ad un totale di 1,47 milioni di dollari. Del resto, dal giugno scorso le strutture della SouthWest Key Programs stanno gestendo 5100 migranti minori non accompagnati.

Ma perché è importante questo legame tra i soldi ai contractor e i soprusi, le deportazioni dei migranti e la tolleranza zero? “The Gulag for Profits”, lo hanno chiamato alcuni studiosi, tra cui Roxanne Lynne Doty ed Elizabeth Shannon Wheatley che per primi hanno studiato e descritto il fenomeno per la rivista “International Political Sociology”. O ancora Mark Dow, che già nel 2003 ha individuato nella custodia e nella detenzione di migranti in mano ai privati, l’incapacità dell’autorità federale, che procede delegando un ruolo così delicato alle corporation.

Certamente, da quando Trump ha avviato la politica della “tolleranza zero” , le società che gestiscono i centri di detenzione per conto del governo hanno conosciuto un exploit. Geo Group, ad esempio, si è accaparrata nel 2017 un contratto di servizio da 183 milioni di dollari; 50 in più rispetto al 2016 e comunque in crescita del 30% medio annuo dal 2012. Tuttavia, nell’agosto del 2016, nelle stesse ore in cui Trump guadagnava la nomina di candidato presidenziale per il GOP, Obama aveva dato un segnale in controtendenza: il ministro della giustizia Sally Yates aveva annunciato in un memo la riduzione e la graduale liquidazione degli accordi con i contractor che gestiscono le strutture private, anche alla luce della cattiva gestione emersa in almeno un centro gestito dalla Geo Group. Sei mesi dopo, il 21 febbraio 2017, il neo ministro di giustizia dell’amministrazione Trump, Jeff Sessions, ha stracciato il memorandum di Yates: gli accordi con le società private si faranno ancora.

Geo Group e CoreCivic (Corrections Corporation of America/CoreCivic), un altro contractor, in quei sei mesi sono stati tra i “donors”della campagna di Donald Trump: CoreCivic con 250mila dollari, e Geo Group con 475mila dollari alla commissione di inaugurazione del Presidente-eletto (donazione che avviene dopo l’elezione) e con altri contributi milionari a favore del Super Pac repubblicano “Rebuilding America Now” e “Trump Victory”. Entrambe le società hanno contribuito per un totale di 2,5 milioni di dollari negli ultimi tre anni: dal 2016, cioè dall’anno delle Presidenziali, sia durante la campagna che nel corso del 2017 e del 2018, in vista delle midterm. Dal giorno che ha seguito l’elezione di Trump, il 9 novembre 2016, all’ottobre 2017, le azioni della Geo Group sono cresciute del 63% e quelle di CoreCivic dell’81%. Del resto, secondo i dati governativi elaborati dal think tank Migration Policy Institute, le due aziende gestiscono quasi la metà dell’intera popolazione migrante reclusa, che quest’anno ha toccato quota 33mila, secondo le statistiche dell’UNHCR.

Accanto a Geo Group, però, quasi tutte le aziende che operano per conto dell’ICE – l’agenzia federale di “Immigration and Customs Enforcement”, parte della Homeland Security – hanno banchettato in termini di appalti governativi; come evidenzia bene il grafico del Migration Policy Institute.

Dal 2016, tre quarti della popolazione detenuta nei centri di detenzione per migranti è gestita privatamente, mentre dieci anni prima ad occuparsene erano i centri federali.

Migranti come commodity

Secondo il piano di spesa dell’Homeland Security, per il 2019, anche in ragione della decisione di riunificare le famiglie divise, si stima di creare posti letto in nuovi “family detention centers”: almeno 15mila in più. Le attuali strutture di detenzione per famiglie hanno una capacità di 3.200 posti: 15mila posti in più significa quintuplicare le opportunità di aumentare gli appalti privati. Le autorità intanto ipotizzano un aumento degli arresti alla luce dei dati degli ultimi mesi di quest’anno. Maggiore sarà il numero di detenzioni di migranti, più posti letto serviranno nei centri privati e più elevati saranno i costi per individuo.

Potremmo definire il fenomeno la trasformazione dei migranti in commodity: un bene di cui c’è domanda, se si vuole fare business, e che si offre sul mercato senza sostanziali differenze qualitative. Una materia prima.

Verso le elezioni di Midterm

In vista delle elezioni di medio termine, Geo Group ha già “donato” 200mila dollari al super PAC “Congressional Leadership Fund”, che supporta i costi per le campagne dei deputati del partito repubblicano alla Camera, e 100mila dollari per il Super PAC del Senato. CoreCivic ha già finanziato candidati repubblicani con 134mila dollari (e 7mila ai Democratici).

Se si dovesse incrementare l’uso della sorveglianza elettronica, alternativa sostenuta da molti liberal e già in uso in alcuni istituti di reclusione americani perché consente maggiore libertà ma anche una migliore vigilanza laddove i detenuti condividono spazi e attività, Geo Group non si farebbe trovare impreparata. Nel 2011 ha infatti acquistato la B.I. Incorporated, per 415 milioni di dollari in contanti: una società di monitoraggio elettronico già sotto contratto con l’ICE. Nel 2014, infatti l’ICE ha siglato un accordo di cinque anni con Geo Group per relativi servizi di supervisione della sorveglianza elettronica.

Rispetto ai finanziamenti per le elezioni di novembre, la disparità tra i Democratici e i Repubblicani restano comunque notevoli: l’87% delle donazioni di Geo Group sono a favore del GOP; il 97% nel caso di CoreCivic. Se si guarda ai dati sui finanziamenti verso i deputati al Congresso, i beneficiari delle donazioni fatte dalle aziende del settore – dove Geo Group e CireCivic fanno la parte del leone – sono per lo più repubblicani. Il primo beneficiario è il deputato del Texas John Culberson, che durante l’amministrazione Obama denunciava che nei centri di detenzione per migranti c’erano troppi posti-letto lasciati vuoti. Attualmente Culberson si sta battendo nel “Lone Star State” affinché i migranti soggetti alla deportazione restino nella struttura di detenzione assegnata fino all’espulsione. Il che può implicare anche anni.

The wild card

Trump ha avuto il merito, per il Gop, di riportare al centro del dibattito il tema dell’immigrazione e una sua ipotetica riforma. In un momento, probabilmente propizio, perché il Partito Democratico attraversa un cambiamento, proponendo candidati più a sinistra, e potrebbe non riuscire a chiarire la propria posizione sul tema al proprio elettorato. Dall’altro lato, il Partito Repubblicano, pur mostrandosi molto combattivo contro le posizioni liberal sull’immigrazione, è diviso al suo interno. Per il Presidente, che ha portato la questione immigrazione ad un livello quasi emotivo, il tema rappresenta un jolly, una wild card.

A fine luglio Trump ha usato la minaccia dello “shutdown”, ovvero il blocco delle attività amministrative e il congelamento della capacità di spesa del governo, qualora i Democratici non sostenessero il finanziamento del muro e una nuova legge sull’immigrazione. Ma, proprio perché Trump tasta la pancia del suo partito e dei suoi elettori, nonostante queste schermaglie di propaganda, sa perfettamente che trasformare l’immigrazione in un terreno di scontro senza vie d’uscita, rischia di mettere in difficoltà i candidati nei distretti più coinvolti dal problema.

Sebbene il Gop controlli sia Senato che Camera, i Repubblicani percepiscono che sul finanziamento del muro a tutti i costi (25 milioni da incardinare in una legge del Congresso entro il 30 settembre) possono saltare alcuni equilibri delle elezioni di novembre. Già a giugno, la Camera ha respinto un disegno di legge proposto dai deputati più conservatori. Pertanto, il jolly per Trump va usato come una leva: finché il muro non si farà, la strada della tolleranza zero sarà ancora spianata e persino giustificata agli occhi dei suoi concittadini. E la minaccia di deportare, contro la loro volontà, gli 11 milioni di migranti che vivono negli Stati Uniti, potrebbe avvicinarsi molto di più alla realtà rispetto alla funzione di barriera svolta dal muro.

Meglio procedere con gli arresti, coccolare il sistema di centri detenzione privati pur sapendo che operano contravvenendo alle regole – come testimoniano le ispezioni dell’ICE – e garantire contributi milionari al partito. Motivo per cui, a conti fatti, il GOP anche per queste midterm, può ringraziare Trump di esistere e concentrarsi sulla meno divisiva “tax reform” per cui questa amministrazione verrà ricordata. In modo diverso, la regola è comunque “follow the money”.