I primi passi della presidenza Bolsonaro e il futuro geopolitico del Brasile
Con la cerimonia d’insediamento del 1° gennaio, in Brasile è iniziata ufficialmente l’era Bolsonaro. Anche se il clima di campagna elettorale non è ancora finito e discussioni accese dividono perfino le famiglie, si sono già visti i primi passi che indicano i tratti della nuova presidenza.
Le aspettative sono molto alte, soprattutto per la situazione difficile in cui attualmente si trova il Brasile, in cui si rintracciano le ragioni per le quali Bolsonaro è stato eletto: violenza endemica nella società, corruzione ai massimi livelli, stagnazione economica, disoccupazione di circa 13 milioni di persone, immigrazione da paesi vicini (soprattutto dal Venezuela, con un flusso all’inizio incontrollato che ha creato allarme in un clima già di estrema fragilità del paese). Tutto questo ha portato alla vittoria di una figura che potesse, se non magicamente risolvere, almeno invertire le tendenze prevalenti
Bolsonaro ha vinto con poco più del 55% dei voti: così, per la prima volta in Brasile dalla fine della dittatura, un candidato di destra estrema si impone, per di più interrompendo un ciclo di vittorie del PT, il partito dei lavoratori di Lula, che dal 2002 aveva sempre prevalso.
Anche se durante l’insediamento Bolsonaro e i suoi ministri hanno più volte ripetuto che rispetteranno la Costituzione, la democrazia e le libertà civili, il ricordo ancora vivo del ventennio di dittatura militare (dal 1964 al 1984) non lascia tranquilla quella buona parte della popolazione che ha scelto altri candidati, anche alla luce delle dichiarazioni reiterate di Bolsonaro a favore di quel periodo e la presenza nel suo governo di ben otto membri dell’esercito. Il timore legittimo è che la volontà estrema di sconfiggere il PT (e gli altri partiti protagonisti di una lunga e densa fase di corruzione) abbia spinto i suoi elettori a non riflettere sufficientemente suglii aspetti fondamentali della democrazia.
Naturalmente il consenso per Bolsonaro ha riguardato e riguarderà anche il futuro geopolitico del paese. Lo si è già visto dalle presenze e dalle assenze internazionali alla cerimonia di insediamento, avvenuta in uno scenario blindato mentre il neo-presidente raggiungeva il Congresso a bordo di una Rolls Royce scoperta, e lo vedremo in futuro negli schieramenti che a livello globale il Brasile sceglierà.
Per quanto riguarda l’Europa, la presenza più simbolica è stata quella dell’ungherese Viktor Orban, nazionalista di destra e campione del variegato schieramento sovranista europeo.. Nessun altro dei tanti “tifosi” che Bolsonaro ha avuto in campagna elettorale, da Donald Trump a Matteo Salvini, si è presentato di persona.
Grande ripercussione ha invece avuto la presenza del primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu, visto che dalla fondazione dello stato di Israele sette decenni fa nessun primo ministro di quel Paese aveva visitato il Brasile. È stata una visita lunga, di 5 giorni, con manifestazioni reciproche di grande amicizia che ha portato l’ambasciatore israeliano in Brasile, Yossi Shelley, a paragonare Bolsonaro al diplomatico brasiliano Oswaldo Aranha che nel 1947 presiedeva l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che sancì la creazione del nuovo Stato.Al di là della stessa promessa realizzata da Trump di spostare l’ambasciata brasiliana da Tel Aviv a Gerusalemme, gli argomenti cruciali sono stati tutta una serie di collaborazioni che i due paesi potranno sviluppare nell’ambito del trattamento dell’acqua (in particolare desalinizzazione), trasporti, agri-business, cybersecurity, salute.
Tutti progetti molto importanti per il Brasile in vista dell’acquisizione di tecnologie israeliane, mentre il Brasile costituirà un grande mercato potenziale per Israele. Tutto questo ha già provocato una reazione della Lega Araba che ha minacciato ritorsioni economiche che potrebbero danneggiare l’esportazione brasiliana di proteine animali
In questa fase è anche molto importante ricordare l’atteggiamento della Cina. Il presidente cinese XI Jinping ha inviato una lettera a Bolsonaro dicendo che è disposto a lavorare col nuovo governo brasiliano per sviluppare le economie dei due paesi e realizzare una cooperazione bilaterale “pragmatica”, ricordando che le relazioni tra Cina e Brasile hanno più di quarantaquattro anni e che il legame tra i due paesi resisterà al mutare degli scenari internazionali; il senso sottinteso delle parole del leader cinese è un invito a non partecipare alla guerra commerciale lanciata da Donald Trump. Certamente Pechino avrà apprezzato le rassicurazioni di Bolsonaro, arrivate già in campagna elettorale, sull’affidabilità della Cina come grande partner per il Brasile.
Un altro fatto da sottolineare è la disponibilità – prima data e poi tolta – agli Stati Uniti per l’apertura di una base militare in Brasile. Questa repentina oscillazione fa parte ancora delle incertezze e della mancanza di coordinamento nei primi passi del governo, che certo può sorprendere vista l’ovvia importanza di un alleato strategico per Bolsonaro come Donald Trump.
Eppure, nei primi giorni di vita del nuovo governo, la cosa più interessante sono state forse le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Ernesto Araújo: in un’intervista a Bloomberg del 7 gennaio ha affermato che il presidente Bolsonaro non è stato eletto per lasciare la politica estera del Brasile così come l’ha trovata. Spingendosi probabilmente oltre il solito pragmatismo degli ultimi anni, il Brasile dovrà a suo parere sviluppare un ruolo molto maggiore, promuovendo la libertà di pensiero e di espressione nel mondo intero – proponendosi in proposito come modello a dimostrazione che le elezioni si possono vincere senza l’appoggio dei media tradizionali. In sostanza, Araújo rivendica un approccio più “ideologico” alle relazioni internazionali, con un atteggiamento più attivo anzitutto in America Latina, in particolare affrontando quelle minacce che vengono da paesi e da regimi non democratici: governi come quelli di Venezuela e Cuba, che esportano crimini e instabilità, non spariranno da soli o solo per il desiderio che questo avvenga. Il nuovo ministro degli Esteri, tuttavia, ha poi portato l’esempio – evidentemente positivo – della Cina, come Paese che difende i suoi interessi nazionali, la sua identità e la sua visione del mondo senza affatto trovarsi perciò isolata ma invece spingendo sempre più nazioni a fare affari con Pechino. Insomma, siamo di fronte a una politica estera i cui contorni andranno meglio definiti.
Come primo atto concreto, lo stesso Araújo ha poi annunciato il rifiuto del Brasile di partecipare al Global Compact sull’immigrazione delle Nazioni Unite (come ha fatto anche l’Italia) considerandolo uno strumento “inadeguato” per gestire il problema e precisando che l’immigrazione è benvenuta ma non può essere indiscriminata.
In sostanza, dai primissimi passi del governo Bolsonaro è difficile valutare appieno come si muoverà il gigante brasiliano nel prossimo futuro: certo è che sarà radicalmente diverso rispetto agli ultimi sedici anni.