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Come arriva la politica spagnola alle elezioni europee

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Per un momento, la Spagna ha creduto che le elezioni europee del prossimo 9 giugno non sarebbero state la fine della campagna elettorale permanente che agita il Paese da più di un anno. Da maggio del 2023, gli spagnoli sono andati alle urne già quattro volte (prima per un grande ciclo di comunali e autonomiche (regionali), poi per le politiche, e poi da inizio anno per le elezioni delle Comunità Autonome di Galizia e Paesi Baschi): all’appello manca solo la Catalogna, il 12 maggio e, appunto, le elezioni europee.

Ma la decisione del capo del governo Pedro Sánchez di prendersi una “pausa di riflessione” dalle attività istituzionali a causa dell’apertura delle indagini nei confronti di sua moglie, Begoña Gómez, per traffico di influenze illecite e dagli attacchi che la coppia stava subendo da parte dell’opposizione (formata dal Partido Popular, il PP di centrodestra, dal partito di estrema destra Vox, e da una fitta galassia di media e organizzazioni di ultradestra) ha messo il Paese di fronte alla prospettiva concreta di dover aggiungere ancora una data al calendario elettorale.

Il capo del governo spagnolo Pedro Sánchez

 

Alla fine, non ce n’è stato bisogno: dopo cinque giorni di isolamento, Sánchez ha annunciato che resterà a capo del governo, “con più forza di prima, se possibile”, e che questo momento segna un “punto e a capo” nella politica spagnola e nella lotta contro la “macchina del fango”. In attesa di scoprire in cosa consisterà il suo piano per la “rigenerazione della nostra democrazia” (che passerà molto probabilmente per il tentativo di rinnovare il Consejo General del Poder Judicial, l’organo di governo del potere giudiziario in Spagna, in stallo dal 2018), sia il partito socialista spagnolo (PSOE) che quello europeo tirano un sospiro di sollievo.

Le eventuali dimissioni di Sánchez avrebbero infatti danneggiato in misura significativa la sinistra europea, riducendo ulteriormente il numero di leader socialisti al Consiglio Europeo (che, oltre a Sánchez, sono ormai soltanto il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, la Prima ministra danese Mette Friederiksen e il suo omologo maltese Robert Abela). Potenzialmente, per le conseguenze elettorali negative, sarebbe anche potuto diminuire anche il numero di seggi apportati dal PSOE alle file dei Socialisti e Democratici nel Parlamento Europeo, di cui nel 2019 è stato il principale contribuente con 21 seggi (seguono il PD e il partito socialdemocratico tedesco).

 

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Per il PSOE, il periodo di riflessione di Sánchez ha posticipato la pubblicazione della lista di candidati alle elezioni europee, di cui per ora si conosce solo il nome della capolista: Teresa Ribera, terza Vicepresidente del governo e ministra della Transizione Ecologica, personaggio chiave dei negoziati europei alla scorsa COP28 e protagonista delle numerose e ambiziose misure per l’ambiente e per il clima degli ultimi due governi Sánchez. Non solo: Ribera è anche fautrice della riuscitissima “eccezione iberica”, la misura temporanea, in vigore da giugno 2022 fino a maggio 2023, pattuita da Spagna e Portogallo con la Commissione Europea per mettere un tetto al prezzo del gas utilizzato per produrre energia elettrica in seguito alla crisi energetica scatenata dall’invasione dell’Ucraina. In lei, il partito vede il volto capace di aggregare i voti di un elettorato sempre più attento alle questioni climatiche, composto in maggioranza da giovani, donne e persone che vivono nella grandi città: una garanzia contro l’ambiguità del PP su quei temi, e il puro negazionismo di Vox, ma anche contro la fragilità di Sumar, la piattaforma creata dalla seconda Vicepresidente del governo e ministra del Lavoro Yolanda Díaz e che raggruppa, sempre più a fatica, una galassia di formazioni a sinistra del PSOE.

Più che un contrattempo, tuttavia, il periodo di riflessione di Sánchez è stato per il PSOE un momento di catarsi collettiva: sabato 27 aprile, infatti, più di 12mila tra iscritti  ed elettori si sono ritrovati di fronte alla sede di calle Ferraz a Madrid per ribadire il loro sostegno al segretario del partito e al suo programma di governo. Insieme al risultato positivo ottenuto alle elezioni basche dello scorso febbraio, grazie al quale i socialisti potranno tornare al governo della regione insieme al Partito Nazionalista Basco per la terza legislatura consecutiva, la conferma di Sánchez alla guida del PSOE e del governo è un’iniezione di fiducia che il partito vuole sfruttare sia per le elezioni in Catalogna di maggio che per le europee di giugno.

Dopo l’attesa vittoria alle regionali in Galizia, il PP di Alberto Nunez Feijóo soffre infatti sia la sconfitta nei Paesi Baschi che il rinnovato protagonismo di Sánchez nel dibattito politico. A complicare la sua posizione in vista delle elezioni europee ci sono le indagini nei confronti di Alberto González, marito della presidente della Comunità autonoma di Madrid, Isabel Ayuso, accusato di frode fiscale e falsificazione di documenti. Ma anche l’eterno braccio di ferro con Vox, al quale il PP continua a voler sottrarre voti (ad esempio, attraverso la retorica trumpista della stessa Ayuso), senza però alienare gli elettori più centristi, soprattutto dopo la progressiva scomparsa di Ciudadanos, il partito liberale e di centro che solo quattro anni fa era la terza forza politica del Paese, ma che alle amministrative dello scorso anno è passato da 2 milioni a poco più di 300mila voti.

Dal canto suo, per risollevare le sorti di Vox di fronte al tentativo fallito di ottenere anche solo un seggio all’interno delle istituzioni galiziane e ai prevedibili scarsi risultati in Catalogna, il leader della formazione, Santiago Abascal, ha annunciato che il 18 e 19 maggio Vox celebrerà Viva24, una grande “festa patriottica” che, dopo una prima edizione nel 2022, l’anno scorso il partito aveva rinunciato a organizzare a causa del doppio impegno elettorale. Quest’anno, Viva24 sarà l’occasione per i dirigenti della formazione di presentare in grande il programma per le elezioni europee, basato soprattutto sulla difesa della sovranità, i diritti dei lavoratori del settore agro-alimentare (che, come altrove in Europa, sono scesi in strada a febbraio e marzo per protestare contro le politiche agricole dell’Unione Europea) e la protezione delle frontiere e quella di invitare altri leader internazionali dell’estrema destra, tra cui il presidente argentino Javier Milei, che ha già confermato la sua partecipazione.

 

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Nonostante i sondaggi diano la formazione in calo di 2 punti percentuali rispetto al 2019, la speranza di Vox è quella di mantenere i quattro seggi guadagnati alle scorse elezioni (di cui uno ottenuto grazie all’uscita dal Parlamento europeo dei deputati britannici in seguito alla Brexit) e sfruttare a livello europeo il successo degli altri partiti di estrema destra che fanno parte del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (uno su tutti: Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni).

Gli ultimi sondaggi realizzati dal Centro de Investigaciones Sociológicas vedono un sostanziale pareggio tra il PSOE e il PP: seguono Vox, Sumar e Podemos. La formazione di Yolanda Díaz, tuttavia, non ha ancora presentato la sua lista per le europee a causa delle tensioni interne con alcuni dei suoi membri, in particolare con Izquierda Unida e Más Madrid. Podemos, che solo un anno fa era al governo in coalizione con Sánchez, tenta di risollevarsi dalla sconfitta alle scorse elezioni nazionali e ha già annunciato che si presenterà alle europee insieme al partito ecologista Alianza Verde.

Infine, anche Ciudadanos ha annunciato per parteciperà alle europee (“per dire alla cittadinanza che non siamo morti, come pensano in molti”, ha affermato il leader Carlos Carrizosa), mentre alcune forze regionaliste tendenti a sinistra come Esquerra Republicana (Catalogna), EH Bildu (Paesi Baschi) e Bloque Nacionalista Galego (Galizia) si presenteranno insieme attraverso una coalizione chiamata Ahora Repúblicas, come avevano fatto nel 2019, quando erano riuscite a ottenere 3 seggi.

Anche il partito indipendentista catalano Junts si presenterà alle europee, questa volta però con un nuovo capolista, Toni Comín: l’ex capofila Carles Puigdemont ha rinunciato alla candidatura (e quindi all’immunità da europarlamentare che lo protegge dal 2019 dai processi per sedizione dopo la Dichiarazione d’Indipendenza della Catalogna nel 2017) per giocarsi il tutto per tutto alle prossime elezioni catalane. Con una vittoria elettorale nella sua regione spera di tornare a Barcellona dopo sette anni in esilio (o da latitante, dipende dal punto di vista) a Waterloo, in Belgio, grazie anche alla legge di amnistia approvata dal governo spagnolo per gli indipendentisti catalani, sulla quale si regge il sostegno di Junts al governo di Pedro Sánchez.