international analysis and commentary

Clima ed energia nella nuova agenda della Germania

4,371

Oma, was ist ein Schneemann?” Nonna, cos’è un pupazzo di neve?

Così diceva uno degli striscioni dello sciopero generale per il clima indetto da Greta Thunberg a Berlino due giorni prima dell’ultima tornata elettorale. Solo pochi mesi prima del voto, era uscito uno studio dell’Accademia delle Scienze Bavarese secondo cui i cinque ghiacciai della Germania situati sulle Alpi bavaresi si stanno sciogliendo più velocemente di quanto previsto e potrebbero scomparire nei prossimi dieci anni.

Quella manifestazione di giovani è sembrata un monito per il futuro Cancelliere, il successore di Angela Merkel: a quella piazza e a quelle istanze dovrà dare delle risposte concrete.

Come sappiamo, la protezione dell’ambiente è una tematica molto sentita in Germania. Buona parte della popolazione tedesca ritiene che il cambiamento climatico debba rientrare tra le priorità dell’azione di governo.

Temperature insolitamente calde e piogge torrenziali destano, infatti, enorme preoccupazione in Germania, sia per lo sciogliersi più veloce dei ghiacciai che per la sempre maggiore frequenza di inondazioni e frane.  Gli eventi di questa estate testimoniano che i problemi sono reali: le forti alluvioni che hanno colpito l’ovest del paese – soprattutto lo stato della Renania-Palatinato e il Nord Reno-Westfalia – hanno causato oltre un centinaio di morti ed enormi danni.

Effetti dell’alluvione di questa estate in Renania

 

Non stupisce, quindi, che la crisi climatica sia stata un tema al centro della recente campagna elettorale – pur a fronte di risultati concreti che non hanno corrisposto alle grandi aspettative riposte nella Germania.

Più che in altri paesi europei, dove spesso i temi ambientali fanno da contorno, in Germania hanno acquisito un enorme peso politico negli ultimi decenni, aiutati anche dall’ascesa del partito dei Verdi che da anti-partito dai toni radicali si è via via spostato su posizioni e toni più moderati. Fino a queste elezioni, le prime in cui il partito è stato seriamente candidato alla guida del governo, invece di rivestire il semplice ruolo di alleato di coalizione.

 

Leggi anche: Il rebus della nuova coalizione tedesca

 

Eppure, nonostante i sondaggi li dipingessero tra i favoriti, non hanno ottenuto il consenso sperato. La SPD, il Partito Socialdemocratico che il 26 settembre è risultato il più votato, ha promesso molte politiche per il clima che hanno evidentemente conquistato gli elettori dei Verdi, ma ha anche posto l’accento su temi di giustizia sociale e sulla necessità di proteggere i meno abbienti dai costi della transizione energetica, riuscendo a prevalere alle urne. Quello che non è riuscito a fare l’Unione dei cristiano-democratici CDU/CSU, con il suo candidato Armin Laschet, figlio di un minatore della Ruhr, che anche simbolicamente non è stato vincente.

 

Le diverse agende su energia e clima

I temi energetico-climatici, abbiamo detto, non sono più solo appannaggio dei Verdi ma sono stati inglobati anche dagli altri partiti, ponendosi su posizioni molto variegate. La tabella riassume le principali “promesse” elettorali.

Le posizioni dei principali partiti tedeschi su energia e clima nella campagna elettorale 2021. Fonte: elaborazioni su S&P Global Platts and Clean Energy Wire.

 

Dopo il voto, il Partito Socialdemocratico con il suo capolista Olaf Scholz è riuscito ad avviare un negoziato per la formazione di una coalizione di governo con i Verdi e i Liberali di FDP.

Si sta delineando, quindi, una alleanza a tre, la cosiddetta coalizione ‘Semaforo’ dai colori dei partiti che la compongono, un esperimento politico che in Germania è riuscito una sola volta nel 1949. La Merkel tentò la strada del tripartito senza successo nel 2017, con il fallimento dei colloqui esplorativi tra CDU/CSU, FDP e Verdi che portò poi all’accordo tra CDU/CSU e SPD.

Questo richiederà, specialmente sui temi energetico-ambientali che sono anche i più divisivi, un serio gioco di equilibrismi da parte di Scholz per mettere insieme posizioni significativamente diverse.

Verdi e liberali sono discordi sulle tempistiche della transizione energetica, come il raggiungimento della neutralità carbonica – più rapido per i primi che vorrebbero anticiparlo rispetto alla data del 2045 stabilita nella Legge sul Clima varata dal precedente governo, mentre più lento per i Liberali che vorrebbero ritardare il net zero al 2050. Per non parlare poi dell’uscita dal carbone, attualmente previsto per il 2038, del divieto alle immatricolazioni di auto con motori a combustione interna (ICE) dal 2030 e persino dell’introduzione del limite di velocità in autostrada (misura quasi rivoluzionaria per la Germania).

Sulle rinnovabili, tutti i partiti sono concordi su una espansione ma con priorità diverse. Se per i Verdi è fondamentale arrivare a soddisfare il 100% della domanda elettrica tramite fonti energetiche rinnovabili (FER) entro il 2035, la FDP è invece focalizzato sul mercato e intende portare avanti uno sviluppo delle rinnovabili svincolato dai sussidi finora elargiti. Posizioni diverse anche su una strategia per lo sviluppo dell’idrogeno: esclusivamente prodotto da rinnovabili per i Verdi, anche dal gas abbinato a sistemi di “carbon capture” per i liberali.

 

Oltre l’ambiente, le sfide socio-economiche

A decretare la vittoria della SDP non è stata solo l’attenzione alle questioni climatiche; il partito ha evidentemente dimostrato l’autorevolezza necessaria a gestire gli interessi globali del popolo tedesco, che non si fermano all’ambiente.

Anche la più grande economia europea deve fare i conti, infatti, con una complessa ripartenza nel post-pandemia e le sfide socio-economiche correlate. Quel che richiederà un compromesso tra i necessari investimenti da sostenere – mantra del Partito Socialdemocratico – e le pressioni per mantenere un freno al debito pubblico – istanza difesa dai Liberali.

Nonostante la crescita ininterrotta e gli avanzi di bilancio conquistati sotto il governo Merkel, il paese deve affrontare una serie di questioni prioritarie su cui non è stato fatto abbastanza, tra cui:

  • il mercato del lavoro e le sfide poste dall’invecchiamento della popolazione, da cui la necessità di riformare il sistema pensionistico, rendere più flessibili le regole sull’immigrazione, migliorare l’assistenza all’infanzia, ma anche dare risposte alle istanze per un aumento del salario minimo al fine di rivitalizzare i consumi interni;
  • la digitalizzazione, sulla quale la Germania si colloca al 18° posto tra i paesi del G20, a causa delle difficoltà nell’offrire Internet veloce a tutto il territorio nazionale, ai ritardi nell’espansione dei cavi in fibra ottica e dell’installazione del 5G, nonché la carenza di specialisti IT che richiederà una maggiore attenzione all’educazione e formazione in ambito digitale;
  • la mobilità e un nuovo concetto di trasporto in linea con le richieste di decarbonizzazione, come la promozione dell’auto elettrica e il potenziamento delle ferrovie in sostituzione degli spostamenti aerei di breve percorrenza;
  • preservare il ruolo del paese come potenza industriale e quindi una maggiore attenzione alle nuove tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale, alla ricerca e sviluppo, ma anche a sostenere la produzione interna di semiconduttori, come i microchip prevalentemente importati da Cina e USA e la cui carenza sta mettendo in crisi l’industria tedesca ed europea.

 

I compromessi politici per la “modernizzazione”

In generale, il progetto politico di cui si fa portavoce il leader socialdemocratico Olaf Scholz è di avviare un governo progressista in grado di investire per lo sviluppo del paese e prioritariamente nella lotta al cambiamento climatico, nella digitalizzazione, nell’istruzione e ricerca e nelle infrastrutture. Parola d’ordine: modernizzazione.

Il 15 ottobre i tre partiti hanno pubblicato un documento di 12 pagine che delinea la base dei negoziati formali di coalizione e include i punti programmatici considerati irrinunciabili da ognuno dei tre partiti, in un’ottica di compromesso tra le parti.

SPD e Verdi hanno un orientamento similare sulla maggior parte delle questioni in discussione. Tra i due partiti e i Liberali vi sono invece differenze culturali sostanziali, in particolare riguardo la spesa pubblica e la tassazione. Il compromesso che finora è stato raggiunto, su cui si baseranno le negoziazioni fino alla formazione del governo, vede ciascuno partito ottenere alcune vittorie e cedere su altri punti.

La SDP ottiene l’aumento del salario minimo da 9,6 a 12 euro già dal 2022, condiviso dai Verdi ma indigesto ai Liberali. A questo si aggiungono il piano edilizio da 400.000 nuovi appartamenti a prezzi accessibili l’anno (di cui 100.000 finanziati con fondi pubblici), nessun aumento dell’età pensionabile o taglio alle pensioni pubbliche, e la riforma della legge sulla immigrazione dei lavoratori qualificati per accelerare le concessioni di residenza per chi è integrato e ha un lavoro.

La FDP ha difeso la propria battaglia per un ritorno al pareggio di bilancio con un freno al debito pubblico, attualmente sospeso per tutti i paesi europei a causa della pandemia e che i Verdi avrebbero voluto abolire del tutto. Questo è un punto molto importante perché i tre partiti dovranno valutare dove prendere le risorse per gli enormi investimenti richiesti per il progetto di modernizzazione del paese, in un contesto di contenimento della spesa pubblica. D’altra parte, il documento parla di un aumento al 3,5% del Pil della spesa pubblica destinata al settore Ricerca e Sviluppo (prima era al 3%).

I Verdi sono riusciti a spuntare il phase-out delle centrali a carbone entro il 2030. Una decisione che, in assenza del contributo nucleare, sarà compensata sia dalla forte espansione delle rinnovabili – rendendo obbligatori i pannelli solari nei nuovi edifici, destinando il 2% della superficie del paese allo sviluppo dell’eolico onshore e aumentando la capacità dell’eolico offshore – sia dalla costruzione di nuove centrali a gas che dovranno essere già hydrogen ready. Dall’altra parte, hanno dovuto per ora rinunciare ad imporre il limite di velocità di 130 chilometri l’ora sulle autostrade, così come all’aumento delle aliquote fiscali sui redditi più alti.

 

Leggi anche: Le sfide per la Germania all’appuntamento con un vero ricambio politico

 

Inoltre, nel documento si ribadisce la necessità di immatricolare solo veicoli a zero emissioni a partire dal 2035 come richiesto dai Verdi; sembra quindi accantonata la proposta dei liberali di optare per una neutralità tecnologica nella mobilità ma si vedrà se questo verrà mantenuto nel documento essendo un nodo importante per entrambi i partiti. Sui trasporti, il paese dovrà essere market leader nell’elettromobilità e per questo la coalizione punta ad accelerare l’espansione delle infrastrutture di ricarica.

Nulla di concreto ancora sulla strategia per lo sviluppo dell’idrogeno e su infrastrutture chiave come Nord Stream 2, l’opera sottomarina che raddoppia la quantità di gas che la Russia può esportare in Germania, riguardo cui potrebbe generarsi un confronto acceso nella coalizione vista l’opposizione, anche recentemente confermata, dei Verdi.

Bisognerà attendere il secondo turno di negoziati per valutare nei dettagli l’accordo di governo e se gli orientamenti contenuti nel documento sottoscritto dai tre partiti saranno confermati in corso di trattativa.

Vi è poi il tema caldo della Legge sul Clima emendata dal precedente governo a giugno scorso rispetto al testo approvato nel 2019 (Klimaschutzgesetz): una modifica resasi necessaria dopo che la Corte Costituzionale tedesca aveva bocciato ad aprile, in una sentenza storica, le politiche climatiche del governo, ritenendole insufficienti a ridurre le emissioni oltre il 2030. L’attuale legge, fortemente criticata da Verdi e FDP, cerca di riparare proponendo target emissivi più stringenti anche dopo il 2030. In particolare:

– anticipa di cinque anni al 2045 il termine per il raggiungimento della neutralità climatica;

– inasprisce l’obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di gas serra dal 55 al 65% entro il 2030 rispetto al 1990;

– prevede un nuovo obiettivo intermedio di riduzione dell’88% al 2040.

Tali obiettivi, delineati nella legge riformata, potrebbero rimanere intatti anche sotto la nuova coalizione di governo che si presta a formarsi ma saranno comunque oggetto di discussione tra i diversi componenti della coalizione.

 

La Germania, “canaglia” o promotrice del clima?

Risuonano le parole di Greta Thunberg al Friday For Future di Berlino. La giovane attivista apostrofava la Germania “climate villain” (canaglia del clima), quasi parodiando l’appellativo dato dalla stampa tedesca ad Angela Merkel di “Cancelliera del Clima” per il suo impegno durante i lunghi mandati governativo.

D’altronde, la Germania è ancora il settimo paese emettitore al mondo di CO2, come nel 2005 quando la Merkel salì al potere. E continua ad essere il primo consumatore di carbone in UE, anche se la sua quota sulla domanda elettrica è calata di ben 22 punti percentuali al 24% rispetto a quindici anni fa.  Bisogna però considerare anche i passi avanti che sono stati fatti: la politica energetica della Merkel (Energiewende) ha fortemente incentivato le fonti rinnovabili a tal punto che oggi il mix elettrico è coperto per oltre il 40% dalle FER, soprattutto eolico on-shore e solare.

Mix energetico tedesco e target 2030 attualmente in vigore.

 

Nonostante ciò, restano le critiche alla Energiewende da più parti, da chi ha criticato la scelta di uscire dal nucleare, da chi ne ha messo in dubbio la validità economica, a coloro che hanno ritenuto gli sforzi verso la decarbonizzazione ancora poco incisivi per il raggiungimento degli obiettivi climatici.

Il nuovo governo non sembra essere meno inviso agli attivisti tedeschi. A Scholz, che aveva commentato positivamente la manifestazione sul clima, ha risposto sui social media la sezione tedesca del movimento: “Non vogliamo rovinare il tuo buon umore, ma noi stiamo scioperando contro il tuo governo, Olaf”. Scholz era infatti già Vicecancelliere e ministro delle Finanze nell’ultimo governo Merkel.

Greta Thunberg davanti al Reichstag per il “Friday for Future” del 24 settembre

 

Le sfide in materia di energia e clima per il nuovo esecutivo sono tante e vedremo nei prossimi mesi come si muoverà sui temi più spinosi. Intanto, quasi 300 negoziatori, distribuiti in 22 gruppi di lavoro, trascorreranno le prossime settimane a elaborare i dettagli del programma di governo. Se tutto andrà bene, le parti concluderanno un accordo formale di coalizione a dicembre. Si passerà quindi a consacrare il nuovo Cancelliere che, in ogni caso, sarà costretto a confrontarsi con il lungo operato di Angela Merkel, la persona che più di tutti ha influenzato la politica energetico-climatica non solo di un paese ma di un intero continente.