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Chi sono i liberali tedeschi

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Esattamente sessant’anni fa, all’indomani della prima consultazione politica dopo la nascita della Repubblica federale, l’FDP entrava a far parte del governo di Konrad Adenauer. Poco tempo addietro era stato eletto a primo Capo dello Stato Theodor Heuss, tra i fondatori del partito liberale nel 1948.

Da quel momento, per più di trent’anni, l’FDP sarebbe stato l’ago della bilancia nella formazione di governi stabili e duraturi, oscillando talora verso la CDU, talora verso l’SPD, e dovendo spesso temere per la propria stessa sopravvivenza. Così accadde, ad esempio, durante la prima grande coalizione tra socialdemocratici e cristianodemocratici tra il 1966 e il 1969, quando all’FDP toccò in sorte il ruolo di unico partito di opposizione.

Nel corso del tempo il partito liberale ha perciò cambiato pelle con frequenza, atteggiandosi a vero e proprio camaleonte della politica tedesca, e risultando comunque il partito che più a lungo ha occupato i banchi dell’esecutivo. Negli anni Ottanta, a seguito della mozione di sfiducia costruttiva nei confronti di Helmut Schmidt e all’emergere di una quarta formazione (i verdi), i liberali virarono decisamente a destra, diventando la spalla fondamentale della CDU/CSU. Ne derivò la fuoriuscita dal partito di una vasta componente di liberalsocialisti, in disaccordo con il proposito di trasformare l’FDP in un partito neo-thatcheriano.

L’FDP di oggi è figlio anche di quella svolta, voluta da Otto Graf Lambsdorff e Hans Dietrich Genscher. Da allora il partito liberale ha acquisito un profilo più netto, divenendo progressivamente fautore di una bassa tassazione e di un mercato del lavoro più flessibile. Una posizione che si riflette in modo chiaro nell’ultima campagna elettorale condotta da Guido Westerwelle. Come nel 2005, anche nel 2009 l’FDP ha mantenuto dritta la barra del timone, rifiutando sin dal principio una possibile alleanza con i socialdemocratici e con gli ecologisti.

A dire il vero, anche Westerwelle, in un recente passato, ha mostrato di coltivare sogni di lotta politica solitaria. Nel 2002, unico caso nella storia della Repubblica federale, i candidati alla Cancelleria furono tre e non due: Edmund Stoiber per la CDU/CSU, Gerhard Schröder per l’SPD e, appunto, il neo-presidente dell’FDP Guido Westerwelle. In quell’occasione, ancora vicino all’ambigua figura del nazional-liberale e antisemita Jürgen Möllemann, lanciò con un certo gusto per la provocazione quello che venne ribattezzato il “Projekt 18”, che avrebbe cioè dovuto consacrare l’FDP come terzo grande partito tedesco con almeno il 18% dei suffragi. L’obiettivo era di coinvolgere maggiormente i giovani nelle vicende politiche del paese attraverso una cosiddetta Spaßwahlkampf, una campagna elettorale decisamente non convenzionale, che avrebbe dovuto inaugurare un nuovo modo di fare politica. Il tentativo di trasformare l’FDP in un partito di protesta, per certi versi vicino al populismo della FPÖ austriaca, si ricollegava alla necessità di ridare sostanza ad un movimento ormai etichettato dall’opinione pubblica come il “partito di chi guadagna di più”. Il risultato fu tuttavia disastroso: l’FDP non superò il 7,4% e subì un gravissimo danno di immagine. Lo stesso Westerwelle ne uscì pesantemente indebolito: il suo tour per la Germania con la Guidomobil, camper modellato sull’esempio dei veicoli dei fumetti, minò la sua credibilità di politico serio ed effettivamente interessato ai problemi del paese. L’eco di quella fallimentare esperienza è riemersa di tanto in tanto nel dibattito politico tedesco, quando si è trattato di delegittimare o screditare il leader dell’FDP.

Westerwelle si è preso una grande rivincita sui suoi detrattori con la forte affermazione del suo partito, ora al 14,6%. La strada che lo porterà presumibilmente a ricoprire il ruolo di capo della diplomazia tedesca nel nuovo gabinetto della signora Merkel è stata lunga e accidentata. Dopo la rottura con l’ala più nazionalista ed intollerante del suo partito, capeggiata da Möllemann -poi morto in un tragico incidente-  Westerwelle ha riorientato l’agenda politica del partito. Con la sua carismatica capacità retorica ha insistito su ciò per cui i liberali si sono da sempre battuti: meno presenza dello Stato nell’economia, minore pressione fiscale, più libertà civili e maggiore responsabilità individuale. Allo stesso tempo è tornato a curare il rapporto con i conservatori, suggellandolo nel 2004 con l’elezione a Presidente della Repubblica di Horst Köhler. Negli ultimi anni Westerwelle ha così riguadagnato la stima di moltissimi tedeschi, dando l’impressione che dietro di lui ci fosse finalmente una struttura partitica ed organizzativa solida. Rispetto al 2005, il leader dell’FDP ha sapientemente ricalibrato il tiro della sua azione politica. Come ha notato (polemicamente) la FAZ, quotidiano bibbia dei liberalconservatori tedeschi, il programma dei liberali contiene notevoli e per certi versi sorprendenti concessioni al Sozialstaat, nella consapevolezza che governare con una Cancelliera senz’altro “più socialdemocratica” di quattro anni fa sarà cosa assai complicata.

In ogni caso, le divergenze con il partito della signora Merkel e con i cristianosociali rimangono piuttosto marcate. In particolare, i liberali pretendono una drastica riforma del sistema fiscale, l’allentamento delle regole sul licenziamento nelle piccole imprese, la soppressione del fondo per la sanità istituito dalla Große Koalition e l’abolizione dell’obbligo di leva. Tutte richieste finora rispedite al mittente dalla CDU/CSU, che però, dato il non confortante esito elettorale, dovrà presumibilmente scendere a compromessi. Le trattative di coalizione dovrebbero concludersi entro il 9 novembre, giorno della Caduta del Muro. Solo allora sapremo con precisione quali saranno i rapporti di forza all’interno del nuovo esecutivo giallo-nero.