Il ruolo e l’influenza della Russia sugli eventi politici ed economici globali sono determinati in larga misura dalla diversificazione e dalle ingenti quantità delle sue fonti primarie. Il settore energetico è il volano principale dell’economia nazionale, grazie ad un potenziale energetico unico per volume, composizione e qualità delle risorse. La Russia è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e carbone, e sotto il suo territorio si trova oltre un quinto di tutte le riserve di gas del pianeta.
Energia e politica estera si intrecciano spesso in Russia, ed è difficile capire se sia la diplomazia del Cremlino a sfruttare la capacità energetica quale strumento di politica estera o se, viceversa, i rapporti con i vicini non siano che il risultato delle politiche energetiche perseguite. Attraverso la fornitura di materie prime e il controllo delle condutture il Cremlino gioca la sua partita nello scacchiere internazionale, gestendo i rapporti con l’Europa ed i paesi dell’ex blocco sovietico: l’ambizioso obiettivo di fondo è rafforzare il suo peso geopolitico e riconquistare il ruolo di potenza mondiale perso con la dissoluzione dell’URSS.
Il primo passo in questa direzione è stato fatto con la creazione dell’Unione Euroasiatica insieme a Bielorussia e Kazakhstan, sul modello dell’Unione Europea. Vuole essere uno spazio economico comune costruito sul principio del libero scambio di merci, servizi e capitali, aperto a tutti gli stati che un tempo erano parte integrante dell’Unione Sovietica. In questo scenario il prezzo delle forniture di gas e di altre materie prime si rivela uno strumento efficacissimo in mano al Cremlino per influenzare e orientare le scelte politiche dei propri vicini.
Si prenda ad esempio l’adesione della Bielorussia all’Unione Euroasiatica. Nell’estate del 2010, le trattative per l’unione doganale con Mosca e Astana erano in stallo. Gazprom – società pubblica controllata direttamente dal governo russo, che gestisce tanto i giacimenti delle materie prime destinate alla produzione dell’energia, che le reti di distribuzione – decise allora di mettere sotto pressione Minsk: chiese il saldo immediato degli arretrati per la fornitura dei 17 miliardi di metri cubi di gas che la Bielorussia ottiene ogni anno a prezzo di favore. Per tutta risposta, il governo bielorusso chiese il pagamento dei diritti di transito sul gas diretto in Europa, minacciando di chiudere i propri oleodotti e gasdotti. Gazprom, a quel punto, tagliò senza indugi le forniture bielorusse dell’85%, quando si era ormai all’inizio dell’inverno.
La disputa si risolse in pochi giorni con il pagamento dei diritti di transito, in cambio però del totale controllo della rete di distribuzione bielorussa da parte di Gazprom, attraverso l’acquisizione della compagnia Beltransgaz. Minsk non sarà dunque più in grado di disturbare Mosca con una gestione autonoma dei flussi energetici. L’apertura del gasdotto “North Stream” che attraverso il Baltico permette alla Russia di raggiungere direttamente i mercati del Nord Europa, ha completato il quadro: Mosca ha ora dunque la possibilità isolare Minsk senza interrompere le cruciali forniture alla Germania.
Dinamiche simili caratterizzano le relazioni con l’Ucraina, con risvolti ancora più marcati data l’importanza strategica che il paese riveste. L’Ucraina consuma infatti ogni anno 38 miliardi di metri cubi di gas russo ed è il maggiore cliente di Gazprom. Allo stesso tempo, sul suo territorio transita, attraverso le condutture gestite dalla compagnia statale Naftogaz, quasi l’85% del gas russo destinato ai mercati europei. Una situazione simile a quella bielorussa, che ha creato attriti tra le due nazioni in più di una occasione.
Nel 2006 Gazprom tagliò le forniture all’Ucraina dopo mesi di contenzioso sul prezzo del gas, che il colosso energetico voleva portare da 50 a 230 dollari per mille metri cubi; la questione sembrava risolta dopo un accordo per 95 dollari. L’anno successivo la Russia pretese però da Kiev il saldo di un debito di 1,3 miliardi su precedenti forniture – il vero obiettivo era ostacolare il nuovo governo filo occidentale, guidato da Julija Tymošenko. Nell’ottobre del 2008, in seguito a un’ulteriore interruzione della fornitura, fu firmato un nuovo protocollo d’intesa, che adeguava gradualmente i prezzi a quelli di mercato. La disputa iniziata tre anni prima si concluse nel 2009 con un accordo che prevedeva l’immediato scatto del prezzo del gas alle tariffe europee pur lasciando inalterate le tariffe di transito per il gas diretto in Europa.
L’accordo è molto vantaggioso per Mosca, ed è un fardello enorme sul futuro sviluppo economico dell’Ucraina; l’attuale presidente Viktor Janukovyč ne è ben consapevole. Con l’incarcerazione di Julija Tymošenko, accusata di abuso di ufficio proprio per aver stipulato con Mosca accordi svantaggiosi per il Paese, Kiev spera di ottenere la base giuridica per ottenere una revisione dei contatti.
La Gazprom in cambio chiede una soluzione “bielorussa”: la creazione di una joint venture con Naftogaz e la cessione della rete di distribuzione Ucraina. Mosca vuole anche l’adesione dell’Ucraina all’Unione Euroasiatica: Kiev si allontanerebbe così definitivamente dall’orbita di influenza dell’UE. Il controllo della rete nazionale permetterebbe poi alla Russia di isolare energeticamente l’Ucraina senza interrompere le forniture all’Europa; renderebbe infine superflua la costruzione di South Stream, gasdotto che collegando direttamente la Russia con la Bulgaria attraverso il Mar Nero eviterebbe il territorio ucraino.
La pressione sul prezzo del gas viene utilizzata anche in altri scenari. La Moldova ha chiesto alla Russia una riduzione sul prezzo del gas, che attualmente si aggira intorno ai 392 dollari. Il debito moldavo verso la Russia ammonta a 2,3 miliardi di dollari dei quali però la maggior parte è dovuta dalla Transnisrtia, regione secessionista della Moldavia dichiaratasi indipendente nel 1992. Mosca si è detta pronta ad accettare le richieste di Chisnau senza pretendere gli arretrati dovuti dalla Transnistria, in cambio però del ritiro della Moldavia dalla Comunità dell’Energia con l’Unione Europea di cui fa parte dal 2010.
Le strategie energetiche russe non prevedono soltanto la vendita di gas a prezzi vantaggiosi per premiare gli alleati “virtuosi”. Nel tentativo di rafforzare la sua presenza nel Caucaso il Cremlino ha recentemente aumentato gli acquisti di gas dall’Azerbaijan, con la promessa di accrescere ulteriormente i volumi nei prossimi anni. Gazprom cerca, offrendo condizioni convenienti, di distogliere l’attenzione di Baku dalle proposte occidentali per la costruzione di Nabucco, un gasdotto che collegherebbe la regione all’Europa tagliando fuori Mosca. Oltre al denaro, Mosca può offrire una buona contropartita politica: l’Azerbaijan sa bene che la Russia è l’unica potenza capace di intervenire nello scacchiere caucasico, e il suo parere potrebbe pesare sull’Armenia nella contesa locale per il Nagorno Karabakh.
Il dualismo tra politica estera russa e Gazprom si ripropone in tutti i paesi dell’Asia centrale che dispongono di ingenti quantità di risorse energetiche. Proprio in occasione della firma dei trattati istitutivi dell’unione Euroasiatica, la Russia, infatti, ha siglato accordi bilaterali con il Kazakistan che prevedono una maggiore cooperazione della Gazprom con la compagnia nazionale KazMunayGas nella raffinazione e distribuzione delle risorse energetiche locali.
La strategia di Mosca punta ad aumentare la cooperazione con le compagnie nazionali, nel tentativo di creare un vero e proprio sistema di economie di scala con i paesi fornitori che possa offrire condizioni reciprocamente favorevoli e vincolarli indissolubilmente alla Russia. Un sistema che mira a colpire le ambizioni euro-americane nel Caucaso e in Europa orientale, e quelle cinesi in Turkmenistan e nel resto dell’Asia centrale. Sullo sfondo c’è anche la volontà di riempire il vuoto geopolitico che si creerà assai probabilmente con il ritiro di Washington dall’Afghanistan.