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Produrre e distribuire il cibo: un sistema mondiale complesso e sbilanciato

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Fra i più importanti settori di produzione, distribuzione e consumo che riguardano direttamente la specie umana vi è certamente quello alimentare. Il cibo è naturalmente una risorsa fondamentale, le cui problematiche si sono sviluppate nei secoli ma sono oggi influenzate in modo diretto dalle più moderne tecnologie e dalle conoscenze scientifiche che si trovano a monte delle tecnologie.

La fame è una vecchia compagna dell’uomo, e certamente non è stata debellata. Anzi, le ricorrenti crisi sembrano annunciare che la situazione al riguardo non lasci sperare nulla di buono: nonostante l’amplissima disponibilità di cibo nei paesi più ricchi e avanzati, restano vaste sacche di povertà in cui si registrano difficoltà di accesso al cibo.

In pratica, si può considerare la fame come dovuta non tanto e non solo ad una carenza di produzione di alimenti, ma come il risultato di una distribuzione che privilegia alcune popolazioni “ricche”, che possono permettersi sostanzialmente tutto – e anzi molto più di quanto davvero riescano a consumare. Con una considerazione ulteriore che riguarda gli aspetti economici: nei paesi in via di sviluppo la spesa per il cibo raggiunge il 40% delle entrate, mentre per il mondo industrializzato si arriva al 20%. Al di là delle utopie, occorre prendere atto del fatto che la specie umana non ha ancora stabilito una catena di valori di riferimento accettati con generale consenso, in grado di assicurare a tutti l’elementare diritto al cibo. E questo malgrado fondi e strutture internazionali operanti per decenni.

Ci sono poi le crisi più acute. Dal tempo delle bibliche cavallette, la produzione di cibo attraverso l’agricoltura ha dovuto fare i conti con tutta una serie di fattori critici. Uno di questi è la necessità di ripristinare la fertilità dei terreni sfruttati attraverso il processo di concimazione sia artificiale – i fertilizzanti sintetici – sia mediante letame: ciò comporta costi anche ingenti oppure la creazione dei presupposti per un deterioramento ambientale spesso massiccio, che non di rado porta alla desertificazione di vaste zone di terreno sfruttato oltre i limiti accettabili. Fenomeno che spesso si accoppia allo sviluppo di grandi quantità di insetti, roditori e microorganismi, con gravi problemi durante la conservazione ed il trasporto degli alimenti.

Inoltre, come accade in qualunque processo produttivo la parte utile di un raccolto si accompagna alla formazione di rifiuti in quantità anche ingenti. Questo fa sì che si debba sviluppare una vera e propria industria del trattamento dei rifiuti onde evitare che la produzione si accompagni ad una forte presenza di sostanze più o meno ingombranti quando non nocive.

È molto frequente anche l’insorgere di problemi legati all’acqua, fattore essenziale che assai spesso pone serie problematiche di disponibilità e di purezza.

Il sistema-cibo comprende anche gli animali, una parte dei quali finisce a tavola, mentre un’altra parte è composta di animali domestici e selvatici. Si tratta di una lunga filiera che spesso sfugge all’attenzione ma che pesa sull’ambiente e sulle risorse.

Vediamo qualche cifra riferita alla situazione italiana, con dati necessariamente approssimativi. Secondo quanto riportato dalla stampa, il quadro degli animali allevati per scopi alimentari si può così sintetizzare: 342 milioni di avicoli, 28 di conigli, 17 di suini, 14 di ovini, 2 di caprini, 12 di bovini, 369.000 equini, 363.000 bufali, 30 milioni di pulcini. A questi animali “da carne” occorre aggiungere nel conto gli animali selvatici e di compagnia. Per i cani, si tratta di 5.500.000 cani di proprietà e 660.000 randagi. Il totale fa 440 milioni di animali da allevamento, a cui si aggiungono quelli selvatici. Come dire che fra uomini e animali le bocche da sfamare sono almeno il doppio della sola popolazione umana – con il relativo carico ambientale. Per l’uomo mangiare carne è necessario sotto il profilo nutrizionale per completare e bilanciare l’apporto proteico: la composizione proteica della carne è infatti più bilanciata, in termini di aminoacidi, di quella vegetale. La carne integra la dieta, evitando conseguenze da carenza che una alimentazione ferreamente vegetariana può provocare. Ma si deve aggiungere una doverosa precisazione: allevare animali costa molto in termini alimentari, nel senso che quando un etto di carne arriva nel nostro piatto, il consumo in mangime dell’animale da cui proviene è stato dieci volte superiore. Il che significa che il peso dell’alimentazione carnea sull’ambiente in termini di cereali, farine proteiche etc., è certamente molto ingente. Non solo, ma tutte le infrastrutture necessarie per questa trasformazione sono a loro volta costose in termini di organizzazione, di personale, di mezzi di trasporto, di macchinari.

Se è chiaro che non è facile intervenire sulla popolazione umana, soggetta ovunque ad un allungamento della vita, qualcosa si può fare per diminuire il peso degli animali sul macrosistema ambientale. In particolare, rendere più produttivo il sistema alimentare razionalizzando le coltivazioni, scegliendo le piante ad alto contenuto proteico, e anche avvalendosi delle moderne tecnologie genetiche (OGM), che permettono di inserire in un vegetale la capacità di produrre proteine “bilanciate” – ossia il più possibile simili, per composizione amminoacidica, alle proteine di cui ha bisogno il nostro organismo. Sotto questo aspetto lo sviluppo delle ricerche sugli OGM costituisce una concreta speranza per rendere più efficiente e più sostenibile l’intera catena alimentare mondiale. 

Oltre all’alimentazione, l’agricoltura supporta (sia pure in misura ridotta) il comparto energetico, in particolare attraverso le biomasse, soprattutto il mais. Una consistente frazione del mais prodotto viene bruciata sia direttamente sia attraverso la conversione in biomasse e/o etanolo. Questa pratica sta incontrando una crescente opposizione in quanto sottrae terreno coltivabile alla produzione di mais per la nutrizione umana. In effetti l’affermazione di queste pratiche suscita una certa perplessità anche sul piano etico, e questo comparto andrebbe in qualche modo regolamentato.

Al quadro complessivo della filiera alimentare si è aggiunto, negli ultimi anni, un altro problema assai grave: la tendenza all’obesità che si va diffondendo nei paesi agiati. Si tratta di una vera e propria “epidemia” che riguarda non solo gli adulti ma in misura crescente anche i bambini. Dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimavano nel 2005 oltre un miliardo di persone in soprappeso nel mondo (soprattutto donne), e nel 2015 si prevedono 2,3 miliardi di persone in soprappeso e più di 700 milioni di obesi. Da un lato, quindi, centinaia di milioni di affamati, dall’altro centinaia di milioni di persone soprappeso e/o obese.

Come si vede il sistema alimentare mondiale è assai complesso e presenta aspetti contrastanti. Anzitutto, resta molto elevata la variabilità delle condizioni di disponibilità di risorse e di qualità della vita tra le diverse popolazioni. In secondo luogo, stiamo assistendo ormai alle conseguenze macroscopiche del generalizzato aumento della lunghezza della vita. Il quadro alimentare è in continua evoluzione: capire come funziona la filiera del cibo è – letteralmente – di importanza vitale.