international analysis and commentary

Prima di tutto, il controllo del territorio

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Tre sono le grandi realizzazioni dell’Unione Europea, quelle che finora ne hanno definito la natura: il mercato unico, l’euro e Schengen. Oggi sono tutte in pericolo. Nei tre casi sono intervenuti problemi che non erano stati previsti e presi in conto al momento della formulazione delle regole del gioco. Tuttavia i tre pilastri hanno retto in modo diverso.

Nel caso dell’euro, la diffusa percezione che il suo crollo avrebbe condotto a una catastrofe ha fatto sì che, con tutte le lentezze e difetti che conosciamo, i paesi membri abbiano fatto quadrato; l’esistenza di un’istituzione federale come la BCE ha fatto il resto. Il mercato unico ha retto perché i suoi benefici sono sufficientemente diffusi e percepibili per generare anticorpi contro le spinte protezioniste.

Schengen è più fragile. Per quanto gli europei siano attaccati ai benefici della libera circolazione, nel momento in cui si tratta di scegliere fra questa e la sicurezza prevale inevitabilmente la seconda. Certo, qualsiasi analisi razionale permette di capire che gestire in comune le frontiere, l’immigrazione e il terrorismo è più efficiente e meno costoso che farlo separatamente. Ma la politica non è razionale. Per questa ragione difendere Schengen ha senso solo se si può dimostrare che l’azione comune, oltre a essere teoricamente preferibile, è anche concretamente efficace.

La vulgata mediatica prevalente denuncia l’assenza di risposta europea; ciò giustifica il ritorno a misure nazionali che a loro volta alimentano la sfiducia nei confronti dell’Europa in una spirale perversa che sembra non arrestarsi. La realtà è diversa. Le istituzioni e i governi (non tutti ma la maggior parte) si sono mossi nella direzione giusta: controllo comune delle frontiere esterne, regolazione e ripartizione più equilibrata dei flussi, maggiore collaborazione nella lotta al terrorismo. Quello che manca sono le realizzazioni concrete e soprattutto la percezione di risultati. Non manca la risposta, ma la consapevolezza di tutto ciò che essa implica. In parte ciò è dovuto alla diversa percezione del fenomeno nei singoli paesi; in parte anche al fatto che alcune misure (il controllo delle frontiere esterne) richiedono importanti cessioni di sovranità.

Tutto ciò pesa, ma c’è un ulteriore fattore che non è sufficientemente spiegato all’opinione pubblica. Trattiamo con i tradizionali strumenti dell’ordine pubblico e del welfare un fenomeno di natura del tutto diversa. Il flop (finora) del programma di ricollocazione di 160.000 rifugiati deciso a livello europeo, non può essere spiegato solo con cattiva volontà. Sono sorti problemi burocratici, amministrativi e logistici che non possono essere affrontati con gli strumenti esistenti. Molto spesso è arduo inquadrare e ripartire i migranti, a loro volta divisi in etnie e religioni, senza forme di costrizione che a volte si scontrano con le leggi vigenti. Le magistrature e le burocrazie locali e nazionali si dimostrano altrettanto impreparati che i politici. Persino il Vaticano, che pure non ha scadenze elettorali, sembra impotente: quanti migranti sono stati accolti nelle parrocchie italiane in seguito all’appello del Papa? L’acceso dibattito francese sullo stato di emergenza e la riforma della costituzione dimostra, accanto ad alcuni eclatanti fallimenti della polizia belga, che contrastare il nuovo terrorismo non è la stessa cosa che lottare contro le brigate rosse, action directe o la RAF. L’anarchia nelle prigioni e il controllo delle moschee pongono il problema della libertà religiosa in una prospettiva diversa. Fatti come quelli di Colonia nella notte di capodanno, o il terrore diffuso da migranti esasperati intorno a Calais, non possono essere ricondotti a una semplice questione di ordine pubblico. Ci sono mentalità da cambiare, problemi organizzativi da risolvere e probabilmente leggi da modificare.

In altri termini, nelle nostre città e alle nostre frontiere abbiamo perso il controllo del territorio. Non c’è democrazia che possa funzionare in queste condizioni. Di tutti questi aspetti si parla troppo poco e soprattutto male, per demonizzarli o per esorcizzarli; invece sono la chiave del successo o del fallimento.Sono però problemi che restano intatti, con o senza Europa.Il ritorno alle frontiere nazionali li aggraverà invece di farli sparire,ma Schengen si salverà solo se ogni ogni paese saprà farsene carico.