international analysis and commentary

Papa Bergoglio alle Nazioni Unite

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C’è una trama nascosta nel discorso di Papa Francesco alle Nazioni Unite. Sono i 17 punti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che, poche ore dopo il suo discorso, sarebbero stati adottati per consensus dai 193 Stati membri delle Nazioni Unite. Francesco, a differenza dei suoi predecessori, ha infatti accettato di misurarsi concretamente su ciascuno dei punti dell’Agenda 2030 e ne ha aggiunti anche altri. Per la prima volta, dal 25 settembre, la bandiera della Santa Sede  sventola accanto alle altre di fronte al Palazzo di Vetro: non è solo un fatto simbolico, ma anche una realtà politica.

Il ruolo che Bergoglio ha voluto assumersi è dunque di sostanza; a cominciare dal concetto di “minimo assoluto” (“minimum standard” si direbbe in linguaggio più convenzionale), vale a dire “la base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la dignità” di tutti e per “formare e mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale”. Questo minimo assoluto, ha detto Francesco, “a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra”. Un’affermazione che si inserisce nei punti 1 (sradicare la povertà), 2 (sicurezza alimentare), 8 (piena occupazione), 11 (città più sicure) dell’Agenda 2030. Ma il Papa aggiunge un altro punto, fedele alla dottrina della Chiesa e alla tradizione della diplomazia della Santa Sede: “La libertà dello spirito, che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e gli altri diritti civili”.

La difesa dell’ambiente e la lotta all’esclusione
Al centro del suo intervento all’ONU il pontefice ha posto la difesa dell’ambiente e la lotta all’esclusione che trovano piena corrispondenza nei punti 7 (energia sostenibile), 9 (innovazione sostenibile), 12 (consumo sostenibile), 13 (cambiamenti climatici), 14 (conservazione dei mari), 15 (protezione del suolo) dell’Agenda. Per il magistero sociale della Chiesa cattolica si tratta di una novità decisiva, iniziata con il pontificato di Benedetto XVI e sviluppata da Francesco. Il tema della protezione dell’ambiente, infatti, è stato per secoli assai controverso nella Chiesa, in nome del richiamo biblico a “soggiogare la terra” e le sue creature. Un principio che, secondo la dottrina tradizionale, fondava teologicamente il primato assoluto dell’uomo sulla natura. Alla luce della riflessione odierna si può dire che questa contrapposizione è definitivamente superata, e Bergoglio declina il rispetto dell’ambiente in una chiave nuova e originale; lo mette cioè in stretta relazione con la lotta all’esclusione e la denuncia della cosiddetta “cultura dello scarto”. Merita rileggere questo paragrafo cruciale del discorso del Papa al Palazzo di Vetro nella traduzione ufficiale dallo spagnolo: “L’abuso e la distruzione dell’ambiente sono associati a un inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili, sia per il fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono privi delle conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono un’insufficiente capacità di decisione politica. L’esclusione economica e sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che soffrono maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente consolidata “cultura dello scarto”. È la medesima impostazione proposta dal pontefice nella recente enciclica “Laudato si’”. Tale documento è stato superficialmente definito una “enciclica ecologica”. In realtà è un testo che si propone di ridefinire la dottrina sociale della Chiesa secondo la sensibilità culturale e pastorale di Francesco e la sua esperienza latinoamericana. Il cuore dell’enciclica, infatti, non è l’ecologia ambientale bensì quella che il Papa chiama “l’ecologia umana”.

Lo “sviluppo umano integrale” e la sacralità della vita
Attraverso questo snodo concettuale il pontefice, nel suo discorso alle Nazioni Unite, va oltre la mera adesione ai punti dell’Agenda 2030. Si preoccupa infatti di riportare la riflessione nell’alveo dell’impostazione magisteriale già tracciata da Paolo VI nel suo discorso all’ONU del 1965. L’obiettivo finale per la Chiesa è “lo sviluppo integrale dell’uomo”. Un’operazione di reductio ad unum: i 17 punti dell’Agenda, inclusi libertà di educazione, diritto all’acqua potabile, difesa della biodiversità, per il Papa vanno armonizzati nel concetto di sviluppo umano integrale, dove la parola chiave è “integrale”. In essa c’è un’eco della nozione di “Umanesimo integrale”, proposta nell’omonimo libro del 1936 da Jacques Maritain, il filosofo francese, convertito al cattolicesimo e ambasciatore in Vaticano dal 1945 al 1948. Il pensiero di Maritain ebbe un’influenza straordinaria sulla riflessione di Paolo VI e sul Concilio Vaticano II (in particolare in merito al ruolo della politica e della cultura). Francesco mutua moltissimo dalla riflessione di Papa Montini e indica nello sviluppo umano integrale quello che a suo avviso deve essere l’obiettivo dell’azione della comunità internazionale.

Ma proprio questo fa riaffiorare un’antica differenza di prospettiva tra la Chiesa e le Nazioni Unite emersa, non a caso, proprio a cavallo tra il 1945 e il 1948, mentre veniva redatto il testo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: la distinzione tra individuo e persona. Secondo il giudizio della Chiesa cattolica il limite della Dichiarazione universale, così come del Patto sui diritti civili e politici del 1966, è quello di prendere come punto di riferimento l’individuo. Il magistero sociale della Chiesa pone invece al centro il concetto di persona. Una nozione che valorizza il contesto delle relazioni sociali in cui è inserito l’individuo e rinvia altresì a un riferimento trascendente.

Francesco non si discosta da questa impostazione. Questa è la radice dei suoi richiami nel discorso al Palazzo di Vetro in merito al riconoscimento della sacralità della persona umana e al ruolo della trascendenza: “La casa comune di tutti gli uomini deve continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica. La casa comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di una certa sacralità della natura creata. Tale comprensione e rispetto esigono un grado superiore di saggezza, che accetti la trascendenza, rinunci alla costruzione di una élite onnipotente e comprenda che il senso pieno della vita individuale e collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune. Ripetendo le parole di Paolo VI, “l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo”.

In questa concezione si radica inoltre la critica, implicita, espressa dal Papa rispetto ad alcuni punti dell’Agenda 2030. In particolare il punto 3 (accesso alle cure) e il punto 5 (parità di genere). La scelta di Francesco però è stata quella di ribadire i principi ma di mantenere comunque il suo approccio dialogico e inclusivo, anche a costo di deludere i movimenti pro life e conservatori in seno alla Chiesa cattolica. Il pontefice si è limitato perciò a ribadire la denuncia dei tentativi di “colonizzazione ideologica” e ha riaffermato che “i pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita, e, in senso ancora più ampio, quello che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura umana”. Ma ha evitato accuratamente di entrare direttamente in polemica sui programmi relativi alla cosiddetta “salute riproduttiva” e sulle questioni del “gender”.

La prudenza della diplomazia vaticana
Secondo alcuni analisti e commentatori, sia negli Stati Uniti sia in Europa, il discorso di Bergoglio alle Nazioni Unite è apparso debole: si tratterebbe addirittura di un’occasione sprecata per un pontefice che si è presentato al Palazzo di Vetro forte del contributo dato alla riapertura delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti e alle nuove prospettive di pace tra il governo colombiano e le Farc. Ci sono probabilmente tre ordini di ragioni che spiegano la scelta del Papa di fare un discorso non eccessivamente duro e dirompente, diversamente da quanto accaduto invece in altre occasioni. Anzitutto il contesto: sia nel discorso al Congresso degli Stati Uniti, sia in quello all’ONU il Papa argentino ha scelto la cifra dell’equilibrio, della prudenza e del rispetto, in nome della priorità del dialogo su qualsiasi altro obiettivo. Da questo punto di vista si intravede nei suoi discorsi la mano di un diplomatico di esperienza quale il suo segretario di Stato, Pietro Parolin.

In secondo luogo la diplomazia vaticana, nei due anni e mezzo del pontificato di Bergoglio, ha conosciuto tante luci ma anche ombre. Ha recuperato smalto e leadership ma, soprattutto sul fronte mediorientale e nord africano, ha dovuto patire diversi scacchi. A cominciare dai deludenti esiti della preghiera per la pace fortemente voluta dal Papa in Vaticano dopo il suo viaggio in Israele, con il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Rimane assai problematica anche la posizione della Chiesa rispetto al regime siriano di Bashar al Assad e del ruolo della Russia di Vladimir Putin in quel quadrante. La Santa Sede, infatti, ha sempre sostenuto il regime di Assad che ha garantito alla Chiesa cattolica una relativa autonomia. Perciò non ha mai visto con favore l’ipotesi di un rovesciamento del presidente siriano tanto che Papa Francesco nel settembre 2013 organizzò una veglia di preghiera per fermare l’attacco armato degli Stati Uniti e dei loro alleati in Siria. La Russia naturalmente apprezza la posizione della Santa Sede. Tutto ciò provoca un certo isolamento del Vaticano sul dossier siriano rispetto alla comunità internazionale ed è una ragione di attrito con gli Stati Uniti. Anche riguardo ai governi emersi dalle cosiddette primavere arabe le posizioni della Chiesa e della diplomazia della Santa Sede appaiono deboli e controverse. Non a caso Francesco ha preferito non entrare affatto su questi argomenti durante la visita statunitense, limitandosi a richiamare l’importanza di difendere i diritti delle minoranze religiose e, in particolare, dei cristiani.

Un terzo elemento essenziale da considerare per una piena e corretta interpretazione del discorso del Papa alle Nazioni Unite è la connessione con il suo intervento all’incontro mondiale dei movimenti popolari, pronunciato in Bolivia il 9 luglio scorso. In quel testo Francesco ha sviluppato in maniera più ampia e approfondita la riflessione sulla giustizia sociale, i diritti dei popoli, il diritto alla terra, il sistema economico mondiale. I due discorsi sono le due facce di quella che è la visione complessiva della dottrina sociale e del ruolo della Chiesa nel mondo di oggi secondo Bergoglio. Il pericolo maggiore che intravede il Papa è quello della “frammentazione”: o ha detto esplicitamente al Palazzo di Vetro. Il suo sforzo è quello di tenere tutti gli elementi enunciati, così come i punti dell’Agenda 2030, in un unico sistema di valori. La scelta privilegiata della Santa Sede resta quella multilateralismo. E in questo orizzonte il Papa si ascrive il ruolo di “catalizzatore” dei processi. Cioè colui che sollecita e contribuisce a portare a compimento tali processi, come nel caso di Cuba e della Colombia. “Catalizzatore” che, tradotto in termini evangelici, per la Chiesa significa essere “il sale della terra”.