international analysis and commentary

Obama, l’Europa e l’Italia

411

Lo spirito che ha animato gli incontri europei e romani di Barack Obama è quello di un legame transatlantico rinnovato – o ritrovato, dopo un periodo di incertezza e qualche reciproco risentimento – sulla base dei valori fondanti della comunità occidentale. In tale contesto l’Italia ha una valenza particolare: ospita la Città del Vaticano (patria religiosa di molti di quei valori, declinati in chiave cattolica) e sarà anche alla presidenza dell’Unione Europea dal prossimo luglio. L’Europa come attore aggregato, e sui generis, ha sempre dichiarato di porre la democrazia, i diritti umani e la sicurezza “cooperativa” al centro della sua azione internazionale, ma ha faticato a rendere operativo ed efficace questo impegno in termini di una politica estera e di sicurezza realmente unitaria; e dunque ha faticato a condividere appieno le responsabilità internazionali con gli Stati Uniti. La crisi economica ha poi reso al tempo stesso più introversa e meno coesa l’Unione, creando molte preoccupazioni a Washington anche al di là del destino dell’euro. Vediamo allora i principali punti su cui continuare a riflettere a seguito della visita del presidente americano, tenendo conto che il nostro paese viene visto in un’ottica euro-atlantica più che strettamente nazionale.

Anzitutto, sul dossier ucraino l’Italia ha assunto una posizione in linea con quella dei maggiori alleati sulla condanna di principio e le sanzioni graduate contro la Russia, sebbene sia emersa qualche sfumatura di ulteriore prudenza per non compromettere i rapporti con Mosca (atteggiamento simile a quello tedesco, del resto, e per le medesime ragioni di ordine anzitutto energetico). È ormai un dato riconosciuto da tutti che una maggiore diversificazione dei rifornimenti energetici diventa decisiva per conservare un certo spazio di manovra diplomatica verso la Russia. Obama ha avuto per l’Italia lo stesso messaggio che ha portato all’Europa in questi giorni: l’interdipendenza non deve trasformarsi in dipendenza a senso unico, pena un costo elevato in termini di peso negoziale.

Certo, anche l’eventuale accelerazione della disponibilità di shale gas americano per gli europei non sarà una soluzione a brevissimo termine, visto che mancano ad oggi le infrastrutture per garantire tali forniture – e conosciamo le peculiari difficoltà che un paese come l’Italia incontra ogni qual volta si pronunci la parola “rigassificatore”. Eppure, proprio l’esposizione italiana a un possibile protrarsi o inasprirsi della crisi con Mosca rende il nostro paese importante sul piano internazionale, soprattutto se si considera che la sua posizione geografica ne fa uno snodo naturale per le reti infrastrutturali non soltanto verso Est ma anche verso il Nord Africa o qualunque rotta marittima che passi per il Mediterraneo. Dunque, se sarà lanciato un programma per riorientare gradualmente le arterie degli approvvigionamenti energetici, l’Italia potrà dire la sua.

Nel tentativo di consolidare la ripresa delle economie occidentali, è poi importante fare passi avanti nei negoziati TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) per una grande area priva di ostacoli agli scambi; Roma è sembrata tra le capitali europee meno problematiche, al contrario di Parigi e Berlino. Finora sono emerse però (su entrambe le sponde dell’Oceano) soprattutto le resistenze e le diffidenze, aggravate dallo “scandalo” delle intercettazioni elettroniche – che in realtà è un segreto di Pulcinella poco scandaloso: assai probabilmente tutti raccolgono informazioni su tutti, ma alcuni lo fanno con strumenti più sofisticati e gli stessi cittadini americani si fidano poco delle loro agenzie governative. Nell’ambito TTIP, è quasi certo che si dovrà comunque attendere il 2015 per registrare risultati concreti, solo dopo la conclusione di un accordo analogo tra USA e paesi del Pacifico. Intanto, almeno alcuni segnali positivi da parte europea saranno utili a facilitare lo sblocco del gas americano, su cui è necessario che un Congresso recalcitrante sostenga il presidente: siamo appena all’inizio del processo, ma tra energia e negoziati UE-USA potrebbe perfino innescarsi un circolo virtuoso.

Sulle politiche economiche, Obama ha ben sintetizzato il nuovo consenso a livello europeo, legandolo all’agenda riformatrice del governo italiano: è stata finalmente superata la dicotomia tra austerità (o meglio bilanci in ordine) e crescita, perché si tratta di due priorità da bilanciare e non di due obiettivi in contrasto. Un “assist” indubbiamente molto apprezzato dal nostro presidente del Consiglio. Altrettanta sintonia è emersa nell’enfasi sulla lotta alla disoccupazione giovanile, che di fatto ha costi sociali assai maggiori rispetto al semplice numero dei senza-lavoro.

Il quadrante mediterraneo e mediorientale rimane – per forza di cose e a dispetto di qualunque “pivot asiatico” annunciato da Washington – un interesse condiviso; all’Italia viene riconosciuto un ruolo costruttivo e di responsabilità soprattutto in Libia (pur tra enormi difficoltà vista la frammentazione politica del paese) e Libano (con il suo diretto collegamento alla questione israelo-palestinese), oltre che in misura minore in Siria. L’impegno italiano nelle missioni di pattugliamento marittimo ha funzioni molteplici: anti-pirateria e anti-terrorismo, oltre che di controllo dei flussi migratori clandestini. È dunque un contributo tangibile alla sicurezza comune.

Altro dossier: le spese per la difesa. Sono un problema tutt’altro che nuovo, e l‘Italia si colloca sotto la soglia dell’1% del PIL mentre i nostri impegni transatlantici sono di arrivare al 2%. È un tema ovviamente spinoso per il governo Renzi, impegnato com’è nella riduzione della spesa pubblica per liberare risorse. Obama, che pure sta tagliando il bilancio americano, ha ricordato chiaramente che la libertà ha un prezzo: il punto per l’Italia è fissare obiettivi e una soglia critica per poter partecipare attivamente alla difesa comune – il che significa avere voce in capitolo con gli alleati. Renzi, per parte sua, ha precisato che gli europei devono collettivamente agire in modo responsabile per dare un maggiore contributo alla sicurezza internazionale, rendendo più efficiente l’uso di risorse scarse.

Quanto al capitolo specifico dei caccia F35, si tratta di una decisione sovrana di politica militare e industriale i cui costi e benefici vanno valutati a Roma assai più che a Washington. Certo, la questione si lega alla pressante esigenza della “interoperabilità” tra gli alleati in ambito NATO, che è tornata di grande attualità e su cui proprio il programma F35 (sviluppato da un pool euro-americano) punta molto.

Come previsto, il governo italiano ha infine sollevato la questione dei nostri due militari bloccati in India da oltre due anni, nell’ambito del suo tentativo di “internazionalizzare” il contenzioso. Difficile immaginare svolte a breve termine, ma la pressione su Nuova Delhi può certo passare anche per Washington.

Nell’insieme, queste giornate di diplomazia internazionale sono state impegnative per i rapporti euro-americani, e i loro frutti richiederanno tempo e molti sforzi comuni. Per l’Italia, è stata comunque una buona opportunità di mettere in mostra e meglio articolare uno stile in parte nuovo nella conduzione dei rapporti con i principali partner.

 

Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Il Mattino il 28 marzo 2014.