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Barack Obama e papa Francesco: i punti critici del confronto

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Si tratta di due leader con un’innata capacità di comunicare: Barack Obama e papa Francesco sono stati bravissimi, prima e dopo il loro colloquio, a dissimulare e mettere in secondo piano i punti critici emersi nel loro incontro. Certamente c’è grande sintonia tra queste due figure sul tema della lotta alla disuguaglianza sociale e sulla necessità di un forte impegno comune per sconfiggere la povertà nel mondo. Ma, facendo un bilancio di trenta anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stati Uniti, si deve riconoscere che attualmente siamo lontani dalla sintonia registrata tra Ronald Reagan e Giovanni Paolo II o tra George Bush e Benedetto XVI. La ragione non risiede tanto nel fatto che i due presidenti in questione fossero entrambi Repubblicani. Piuttosto è il ventaglio delle questioni aperte sul tavolo che non ha reso del tutto facile il confronto tra Obama e Bergoglio.

La prima è rappresentata dall’approccio alla questione mediorientale. Papa Francesco ha programmato una visita in Terra Santa dal 24 al 26 maggio prossimo con tre tappe: Giordania, Palestina e Israele. Ma sulla visita grava la spada di Damocle dello sciopero dei diplomatici israeliani. Inoltre la brevità del viaggio e il poco tempo che il pontefice trascorrerà in Israele hanno creato delle tensioni tra il Vaticano e il governo di Tel Aviv. Non a caso la Santa Sede ha atteso il termine della visita di Obama per rendere noto il programma definitivo del viaggio: il Medio Oriente ha tradizionalmente rappresentato un elemento di attrito nei rapporti tra Santa Sede e Stati Uniti. Questa volta sull’incontro con Obama ha pesato la vicenda della Siria; la veglia di preghiera convocata dal papa lo scorso 7 settembre per fermare l’intervento armato degli Stati Uniti contro il regime di Damasco ha rappresentato la prima grande uscita a livello diplomatico di Bergoglio, in aperto confronto con gli USA. Così come lo è stato la ferma richiesta avanzata dalla Santa Sede per un coinvolgimento dell’Iran nei negoziati di pace della cosiddetta Ginevra 2. Due interventi che hanno provocato qualche attrito con gli Stati Uniti.

In secondo luogo, uno dei temi in cima all’agenda diplomatica di papa Francesco è la protezione del diritto umanitario. Sotto questo punto di vista la strategia dei droni, cui ricorre ormai in modo massiccio la difesa statunitense, è destinata a prendere il posto dei bombardamenti aerei cui siamo stati abituati fino ad oggi. Una strategia che, pur riducendo i rischi di coinvolgimento dei civili, non mette del tutto al riparo dai cosiddetti “effetti collaterali”, e potrebbe incoraggiare l’uso della forza vista l’assenza di costi umani per gli Stati Uniti. E su questo aspetto si appuntano le critiche della Santa Sede. Per papa Francesco l’unica strategia possibile è quella del negoziato, con il coinvolgimento di tutte le parti in lotta e la garanzia dei corridoi umanitari, come si è tentato, con poco successo, in Siria. È quanto il pontefice ha ribadito con chiarezza nel colloquio con Obama.

Con riferimento alla crisi in Ucraina è emerso il terzo punto di criticità dell’incontro. Il presidente degli Stati Uniti punta a un progressivo isolamento del presidente Vladimir Putin da parte della comunità internazionale. La violazione dei diritti umani da parte della Russia è stato un tema sollevato dal presidente con il pontefice. Ma Obama ha dovuto fare i conti con il rapporto peculiare che si è instaurato tra Francesco e Putin, ricevuto al Vaticano il 25 novembre scorso. Il presidente russo infatti si è presentato come paladino dei cristiani in Medio Oriente, impegnandosi a fondo per la liberazione di vescovi e religiosi rapiti. Inoltre si è speso accanto al pontefice per scongiurare l’intervento armato in Siria. Agli occhi di Obama la diplomazia vaticana ha agito perciò con due pesi e due misure diverse: intervento immediato e plateale per fermare l’azione armata degli Stati Uniti in Siria, moderazione e discrezione nelle prese di posizione rispetto al colpo di mano compiuto da Putin in Crimea. È chiaro che anche i rapporti tra la Chiesa cattolica e il patriarcato di Mosca, e le relative prospettive ecumeniche, influenzano l’atteggiamento della Santa Sede nei confronti del governo russo. Ma proprio questo è un elemento scarsamente comprensibile da parte di Obama.

Arriviamo così al tema dell’immigrazione negli Stati Uniti. Papa Francesco, alla vigilia dell’incontro con il presidente americano ha ricevuto in udienza un gruppo di latinosindocumentados”, vale a dire gli immigrati clandestini di origine ispanica che negli Stati Uniti hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 11 milioni. Secondo le cifre consegnate al papa da questa delegazione, Obama è stato il presidente degli Stati Uniti che nella storia ha espulso il maggior numero di clandestini (12 milioni) spesso anche dividendo le famiglie. Il 30 marzo i vescovi statunitensi e quelli messicani s’incontreranno alla frontiera, precisamente a Nogales, nello stato dell’Arizona, per camminare insieme lungo il confine protetto da un muro che separa gli Stati Uniti d’America e il Messico: qui negli ultimi anni hanno trovato la morte quasi 6.000 latinos che volevano oltrepassare illegalmente la barriera. Il papa ha chiesto a Obama l’impegno a riformare la legislazione sull’immigrazione per evitare i drammi delle uccisioni, delle espulsioni coatte e delle separazioni delle famiglie con bambini. Un tema che per il presidente USA è particolarmente delicato.

Alla vigilia dell’incontro molti analisti sostenevano che invece i temi etici – ragione di un duro scontro tra Benedeto XVI e il presidente Obama in passato – questa volta sarebbero rimasti solo sullo sfondo, poiché papa Francesco appare più proiettato sui temi sociali. È invece significativo che il comunicato della Santa Sede diffuso al termine dell’incontro abbia fatto esplicito e dettagliato riferimento alle questioni relative alla libertà religiosa, la vita e il diritto all’obiezione di coscienza. La questione, come è noto, è quella delle strutture cattoliche che chiedono di essere esentate dagli obblighi del cosiddetto Obamacare (la riforma sanitaria) in tema di aborto e “salute riproduttiva”. In conferenza stampa il presidente USA sembra aver fatto delle aperture in questa direzione al pontefice.

Il dono simbolico dei semi dell’orto della Casa Bianca, offerti da Obama a Bergoglio, rinvia invece all’alleanza sul fronte della lotta alla povertà e alla fame, che è la priorità dell’agenda diplomatica del pontefice maggiormente in sintonia con quelle americane. A questo proposito è importante ricordare che il papa ha accolto subito l’invito della FAO e dell’Organizzazione mondiale della Sanità, ad aprire i lavori della conferenza internazionale sulla nutrizione, in programma a Roma dal 19 al 21 novembre prossimo.

Resta con il punto interrogativo invece la visita del papa negli Stati Uniti, che potrebbe svolgersi nel settembre 2015 in coincidenza con l’incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia (22-27 settembre). Francesco ha già ricevuto l’invito a intervenire al Palazzo di Vetro di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e a Washington di fronte al Congresso americano. Ma per il momento il pontefice si è riservato ancora di dare una risposta. Tutto è consegnato all’azione diplomatica dei prossimi mesi.