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Obama 2.0

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La sconfitta subita dai democratici nelle urne di midterm spinge il presidente Barack Obama a preparare un’agenda capace di raccogliere consensi repubblicani, per tentare di rilanciare l’amministrazione in chiave bipartisan nel secondo biennio. Poiché i repubblicani hanno prevalso sui democratici – con uno scarto di oltre cinque milioni di voti – sul terreno dell’economia, è proprio questo il punto da cui Obama tenta di iniziare. Di fronte ha le tre richieste che John Boehner, destinato a presiedere la Camera dei Rappresentanti di Washington, ha preannunciato durante la campagna elettorale e che sono incluse nel programma legislativo Pledge to America: riduzione della spesa pubblica per almeno 100 miliardi di dollari, prolungamento permanente di tutti i tagli fiscali varati da George W. Bush nel 2001 e 2003, smantellamento della riforma della Sanità. Su tutti e tre i fronti Obama si prepara ad avanzare delle offerte ai repubblicani, quando incontrerà Boehner e il capo dei senatori Mitch McConnell il 18 novembre nello Studio Ovale. Sul taglio alla spesa si dirà “favorevole alla riduzione del deficit” chiedendo ai repubblicani di decidere assieme “dove tagliare”. Sulla Sanità si dimostrerà attento alla richiesta repubblicana di abolire le norme che frenano le nuove assunzioni da parte delle piccole e medie imprese. Quanto ai tagli di Bush, proporrà di estenderli non solo ai singoli che hanno redditi fino ai 200 mila dollari ed alla famiglie fino a 250 mila, ma anche a quelle imprese che decideranno di destinare parte dei loro profitti alla creazione di occupazione. In concreto, tutto ciò descrive un presidente disposto a siglare con i repubblicani un patto biennale sul rilancio dell’occupazione, anche al costo di dover in parte rivedere le riforme varate negli ultimi due anni, quando a guidare il Congresso di Washington erano solo i democratici.

Se questa è la direzione di marcia dell’”Obama 2.0”, è perché il presidente è consapevole che solo una ripresa dell’occupazione percepibile dalla maggioranza degli americani – che abbassi in maniera considerevole il tasso dall’attuale 9,6% – può spalancargli la strada della rielezione nel 2012. Per consolidare questo approccio Obama si prepara a siglare intese con i repubblicani anche su altri tavoli: dalla ratifica al Senato del trattato START con Mosca, all’inasprimento dell’approccio all’Iran sul nucleare e alla Cina sulla quotazione dello yuan, fino alla nomina di tasselli importanti dell’amministrazione (che potrebbero includere anche i ministri del Tesoro e della Difesa). Sul fronte della sicurezza nazionale, la strategia di Obama consiste principalmente nell’affidare sempre più alla CIA e alle forze speciali la caccia globale alle cellule di al Qaeda – dallo Yemen al Pakistan. Una scelta parallela al processo di trasferimento dei poteri in Afghanistan al governo Karzai – in agenda al summit della NATO a Lisbona – che ricorda da vicino il precedente iracheno dell’amministrazione Bush. In entrambi i casi la convergenza con i repubblicani è talmente evidente che lo stesso Karl Rove, ex guru di Bush, afferma: “Se c’è qualcosa che Obama sta facendo bene è la guerra in Afghanistan, con l’invio dei rinforzi affidato al generale David Petraeus” (proprio come fece la Casa Bianca in Iraq nel 2007).

Resta da vedere quali saranno le mosse dei repubblicani di fronte alla mano tesa di Obama. L’interesse del GOP – il Grand Old Party – è di riuscire a riconquistare la Casa Bianca nel 2012, e dunque è prevedibile un’offensiva legislativa di 24 mesi tesa ad imputare alle leggi varate da Obama l’impoverimento nazionale. Ma i repubblicani hanno bisogno anche di dimostrare agli elettori che la conquista della Camera dei Rappresentanti consente di “cambiare il modo di lavorare a Washington”, come osserva Boehner:  è dunque questo lo spazio politico su cui la Casa Bianca può lavorare per cercare di evitare una braccio di ferro perpetuo destinato a immobilizzare l’amministrazione, con conseguenze negative a pioggia. In attesa di definire un delicato equilibrio di interessi e iniziative con i repubblicani, Obama sfrutta il viaggio in Asia per mandare segnali di apertura ai conservatori: le quattro tappe in India, Indonesia, Sud Corea e Giappone vedono infatti la Casa Bianca sottolineare la priorità dell’alleanza con le “grandi democrazie della regione” così come la necessità di moltiplicare gli scambi commerciali, disegnando una strategia di contenimento della crescita cinese.