Le vicende ucraine stanno contribuendo ad una più stretta partnership strategica tra Mosca e Pechino, anche se le motivazioni di fondo di questa tendenza vanno ben oltre Kiev. L’incontro dello scorso maggio tra il presidente cinese Xi Jinping e l’omonimo russo Vladimir Putin ha voluto aprire, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, “una nuova era di sviluppo per la partnership strategica tra i due paesi”. Queste parole, pronunciate lo scorso 30 agosto dal vicepremier cinese Zhang Gaoli in una sua visita a Mosca (al termine di un tour che lo ha portato prima in Turkmenistan e Repubblica Ceca), non fanno che confermare quanto si va delineando da alcuni mesi: l’intensificarsi dei rapporti economici, politici e militari tra Mosca e Pechino.
La cooperazione economica tra i due paesi vale già 90 miliardi di dollari, che secondo Putin potrebbero diventare 200 nel 2020. Il riavvicinamento diplomatico è stato favorito dalla crisi ucraina che ha visto contrapporsi Occidente e Russia, ma è solo l’ultimo atto di un processo cominciato almeno nel 2013, quando Xi Jinping scelse proprio la Russia per il suo primo viaggio all’estero. A Mosca, il segretario del Partito comunista cinese ha fatto ritorno anche quest’anno in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Sochi.
A ottobre 2013 i due paesi hanno raggiunto un accordo da 85 miliardi di dollari che prevede la fornitura da parte della russa Rosneft di 100 milioni di tonnellate di petrolio alla Cina nei prossimi dieci anni. E, lo scorso gennaio, il colosso cinese CNPC (China National Petroleum Corp.) si è aggiudicato una quota pari al 20% nel progetto di Novatek, che prevede lo sviluppo di gas naturale liquefatto nel nord della Russia, a Yamal.
Il tassello fondamentale del riavvicinamento tra i due paesi, che condividono 4.000 chilometri di confine, è rappresentato sicuramente dal gas: l’accordo di maggio firmato da Gazprom e CNPC ha un valore complessivo di 400 miliardi di dollari, e prevede la fornitura da parte della Russia alla Cina di 38 miliardi di metri cubi di gas all’anno per 30 anni a partire dal 2018. Il tempo che manca all’apertura dei rubinetti servirà ai due paesi per costruire le infrastrutture necessarie a collegare il territorio cinese con i giacimenti della Siberia occidentale. L’avvio della costruzione del gasdotto Power of Siberia è imminente e dovrebbe terminare nel 2017, salvo imprevisti dettati ad esempio dalle sanzioni che Stati Uniti ed Unione Europea stanno imponendo alla Russia. Queste infatti proibiscono alle aziende americane, tra le altre cose, di vendere tecnologie ed equipaggiamenti a Mosca nel settore petrolifero. Alcune di queste, specie quelle che consentono la trivellazione orizzontale del terreno, vengono usate anche per la costruzione dei gasdotti. Secondo Michael Levi, ricercatore del Council on Foreign Relations di New York, “non è possibile fare un enorme lavoro come il Power of Siberia senza queste tecnologie”. L’accordo energetico, dunque, potrebbe dipendere “dalla durata delle sanzioni e dal modo in cui vengono interpretate”. L’accordo, che ha portato Putin a parlare il 18 maggio di “un nuovo livello di interazione strategica e partnership globale tra Russia e Cina, il punto più alto nella sua storia plurisecolare”, è stato certamente accelerato dalla crisi ucraina ma potrebbe ora essere condizionato proprio dagli strascichi dello scontro con l’Occidente. Nell’immediato questo contratto energetico sembra comunque una soluzione win-win per i due contraenti: da una parte, Mosca può dimostrare ai suoi avversari che il gas, anche se a prezzo probabilmente scontato, non ha necessariamente bisogno dell’Europa per essere venduto. Dall’altra, Pechino ha inflitto un dispiacere agli Stati Uniti, complicando ulteriormente il Pivot to Asia di Obama e riducendo la dipendenza del Dragone dal carbone – una mossa che aiuta Xi anche in politica interna visto il crescente malcontento causato nella popolazione cinese dall’inquinamento atmosferico.
La Cina intanto è chiaramente intenzionata a sostenere la Russia sul piano diplomatico, pur senza invischiarsi troppo nelle vicende ucraine e rispettando il principio di “non interferenza” negli affari interni di altri Stati: come ha sintetizzato il giornale governativo Global Times, “La corsa occidentale a giudicare la Russia non è basata su alcuna prova o logica”. E un portavoce del ministero degli Esteri cinese ha presentato la linea cinese nel modo più possibile equilibrato: “La crisi ucraina richiede una soluzione politica. Le sanzioni non risolvono i problemi. Al contrario, potrebbero crearne di nuovi che frustrano gli interessi di tutte le parti in gioco e gli iniziali tentativi di risolvere la crisi. La Cina chiede a tutti gli attori di mantenere la calma e di promuovere colloqui di pace per evitare l’aumento della tensione e assicurare la pace e la stabilità della regione”.
Nel frattempo, la Cina è ben lieta di sfruttare a suo vantaggio le nuove sanzioni occidentali contro Mosca. Quando il 7 agosto il premier Dmitri A. Medvedev ha annunciato come contromossa che per un anno la Russia non avrebbe acquistato prodotti ortofrutticoli dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, Pechino ha subito visto una nuova possibilità per il suo export. Secondo un manager della cinese Goodfarmer Fruits and Vegetables, ad esempio, “solo per quanto riguarda la frutta c’è un vuoto di 700 mila tonnellate da riempire, e ragionevolmente la maggior parte di questo mercato sarà soddisfatta dalla produzione cinese”, ha dichiarato Lu Zuoqi.
Prosegue poi il filone della cooperazione sul piano della sicurezza: nell’ambito del dispositivo antiterrorismo della SCO (Shanghai Cooperation Organization, che riunisce oltre a Mosca e Pechino anche Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan), Cina e Russia sono state protagoniste tra il 24 e il 29 agosto nella regione autonoma della Mongolia Interna dei più grandi war games mai condotti dai due paesi in modo congiunto.
Le ambizioni russe e cinesi di guadagnarsi un ruolo di primo piano sulla scena regionale e internazionale sono note da tempo; negli ultimi mesi sembra che i due governi si siano concentrati sulla collaborazione bilaterale come strumento di pressione strategica sugli Stati Uniti – in una fase in cui Washington, sebbene con riluttanza, potrebbe essere costretta a concentrarsi sull’Iraq e la Siria, lasciando alla Russia più libertà di manovra in Ucraina. Per ora, ciò significa certamente maggiori opportunità commerciali alla Cina, che può anche presentarsi come un prudente attore diplomatico: una linea vantaggiosa e a basso rischio.