Lo scorso 21 marzo, militari maliani hanno portato a termine un colpo di stato nel Mali, guidati dal capitano Amadou Sanogo, a capo del Comitato Nazionale per il Ripristino della Democrazia e la Restaurazione dello Stato. A distanza di pochi giorni, la giunta militare ha annunciato di essere pronta a cedere il potere a un governo ad interim. Da mesi, il nord del paese era afflitto da scontri con il movimento ribelle tuareg, MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad), oltre alle crescenti minacce jihadiste.
La crisi nel Mali scaturisce quindi da una combinazione di fattori: gli scontri con gli Azawad, il ritorno nel Mali di decine di ribelli tuareg che avevano combattuto a fianco delle milizie pro-Gheddafi durante la rivoluzione libica, e il riarmo di AQIM (al Qaeda nel Maghreb Islamico) grazie proprio all’arsenale del Colonnello. Tra i militari maliani serpeggiava il malcontento per la mancanza di mezzi a disposizione nello scontro con i ribelli tuareg che nelle ultime settimane hanno condotto con successo operazioni militari e che lo scorso 6 aprile hanno proclamato l’indipendenza del nord del paese.
Stimati intorno al milione di persone, i tuareg sono fortemente presenti in Mali, Niger e Algeria, ma anche in Libia, Burkina Faso e Mauritania. Vari gruppi appartenenti a questa popolazione hanno lanciato diverse rivolte sia nel Mali che nel Niger, hanno combattuto come mercenari nel conflitto libico a sostegno del Colonnello, e risultano essere coinvolti in una molteplicità di traffici illeciti, che li ha portati in contatto con AQIM.
A pochi giorni dal golpe, la situazione ha subìto una rapida escalation dovuta all’ingresso in campo di due attori che cercheranno di trarre maggiore beneficio dalla crisi: il movimento islamista armato tuareg, Ansar al-Din (I Sostenitori della Religione), e l’Emirato di al Qaeda nel Sahara, facente capo ad AQIM. In particolare, il movimento Ansar al-Din ha più volte ribadito la sua intenzione di applicare la shari’a (la legge religiosa islamica) nel paese, e ha già iniziato a farlo in alcune aree nord-orientali.
È su un preciso punto che convergono gli interessi del MNLA, Ansar al-Din e al Qaeda: il rovesciamento delle “vecchie” istituzioni. Tuttavia, mentre il MNLA dichiara di voler instaurare una forma di sistema democratico, Ansar al-Din e al Qaeda convergono sull’obiettivo di applicare la shari’a, anche se la formazione qaedista ha in realtà interessi variegati, derivanti soprattutto da traffici illeciti nell’area e dai sequestri di persona. La stampa mauritana, intanto, fa sapere che Ansar al-Din ha già istituito un’amministrazione militare nella città di Timbuctu, guidata da Abu al-Hamam, Emiro della brigata Al-Furqan (il Corano), facente capo ad AQIM.
Pur avendo stretto legami con alcuni contrabbandieri algerini, sospettati un modo o nell’altro di intrattenere a loro volta rapporti con elementi jihadisti, i secessionisti del MNLA hanno già smentito le accuse di legami con AQIM.
Il timore di un’alleanza fondata più su interessi convergenti che su una precisa ideologia fra il MNLA e le formazioni para-jihadiste dell’area preoccupa direttamente la vicina Algeria, come anche la comunità internazionale. I paesi occidentali temono in particolare una sorta di “afganizzazione” della regione, con un focolaio jihadista che parte dal Mali e arriva in Libia: il rischio è che vengano investiti non soltanto i paesi che stanno attraversando una fase di transizione democratica – Tunisia e Libia – ma anche il Marocco e soprattutto l’Algeria, dove peraltro si voterà nelle prossime settimane. L’aumento della tensione nell’area giunge in un momento in cui in Tunisia si stanno facendo avanti diverse formazioni salafite (corrente dell’Islam politico più integralista rispetto ai Fratelli Musulmani), mentre in Marocco e Algeria sono emerse due nuove sigle jihadiste, rispettivamente il gruppo Monoteismo e Jihad nell’Estremo Maghreb e Monoteismo e Jihad nell’Africa Occidentale.
Quest’ultimo gruppo, che ha rivendicato il sequestro dell’italiana Rossella Urru, sembra avere come target principale l’Algeria. Negli ultimi giorni, elementi del gruppo Monoteismo e Jihad nell’Africa Occidentale, apparentemente distaccatosi da AQIM, hanno attaccato il consolato algerino a Gao, una delle principali città controllate da formazioni vicine ad al Qaeda nel nord del Mali, sequestrando il console algerino e altri sei diplomatici. La stampa algerina non ha avuto esitazioni, confermando così il timore del paese di essere inghiottito nella crisi maliana: l’obiettivo del rapimento è quello di punire l’Algeria per la posizione adottata nella lotta al terrorismo nell’area. A tal proposito, la leader del Partito Laburista algerino, Louisa Hanun, ha dichiarato che il rapimento del console algerino è un tentativo per esercitare ulteriori pressioni sull’Algeria al fine di costringerla a intervenire nel conflitto del Mali, una richiesta riservata che sarebbe già stata avanzata dal presidente del Mali e inviata al presidente algerino Butafliqa. Non a caso, accanto alla Libia, è l’Algeria a godere della maggiore influenza sui ribelli tuareg. Il governo di Algeri ha già portato a termine negli ultimi anni diverse e importanti iniziative di pace, ma si trova ora stretto fra due rischi opposti: intervenire direttamente nel Mali o accettare che lo facciano altri al suo posto.
Gli stati africani e Washington starebbero già trattando con gli ufficiali di Sanogo per persuaderli a riportare al potere un governo regolarmente eletto. In prospettiva, lo scenario potrebbe comunque essere diverso: la mancanza di un sostegno da parte degli alti gradi militari al colpo di stato fa intravedere la possibilità di un contro-golpe, proprio mentre i ribelli tuareg nel nord stanno adoperandosi per consolidare le proprie posizioni, e i militanti di AQIM cercano di approfittare del vuoto di potere accrescendo in tal modo il rischio terroristico.
In conclusione, il golpe ha creato le condizioni perché AQIM e altri gruppi di orientamento jihadista potessero ritagliarsi, come già sta accadendo, una libertà di manovra in Mali e più in generale nell’area del Sahara e del Sahel. Finora, l’esercito maliano non si è dimostrato particolarmente efficace nel far fronte all’instabilità nelle aree settentrionali. A meno che non si riscontri una maggiore coesione delle forze armate, il MNLA da una parte e la galassia jihadista/qaedista dall’altra riusciranno a guadagnare ulteriore terreno, con indubbie conseguenze su scala regionale, oltre che sui negoziati volti alla liberazione degli ostaggi, fra cui l’italiana Rossella Urru.