international analysis and commentary

L’Unione Europea e l’imperativo della tempestività

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Il 2014 si apre come l’ennesimo anno difficile per l’Europa. Il continente fa fatica a ripartire, e una crescita solida e strutturata vi si verifica solo in casi eccezionali. Mentre l’OCSE stima l’aumento del PIL per il 2014 a +2,9% negli Stati Uniti, la zona euro dovrà accontentarsi di un +1% e di un’uscita dalla crisi che si prospetta ancora complessa e incerta.

L’UE soffre di problemi che non sono affatto in via di risoluzione, tra i quali spicca l’allargamento delle vecchie fratture economiche e politiche. La ricchezza prodotta per ore di lavoro dei paesi del sud dell’Europa resta nettamente inferiore rispetto a quanto accade più a nord. Le elezioni per il parlamento europeo del prossimo maggio potrebbero rappresentare un nuovo elemento di instabilità, dato che si prospettano come un successo per i partiti anti-europeisti e anti-establishment. Oltre a elaborare iniziative vigorose per la crescita economica, le istituzioni europee e gli stati membri dovranno anche valutare in modo realistico i limiti e le possibilità dell’Unione.

La lezione della crisi finanziaria internazionale è chiara: per essere efficaci, gli interventi dei governi devono essere rapidi e forti. L’Unione Europea, al contrario, continua a procedere a passi lenti, bloccata dalle differenze tra gli stati membri. La mancanza di chiarezza politica sulle sorti dell’euro ha frenato l’economia del continente per due anni facendo salire drammaticamente il costo dei debiti pubblici nella periferia dell’eurozona. Rientrata l’emergenza dello spread, quello che tutti si attendono da Bruxelles è la messa a punto ora una strategia per far ripartire gli investimenti, l’occupazione e il credito alle imprese. In questo senso, i risultati del Consiglio europeo di dicembre sono stati molto limitati.

Per migliorare l’accesso al credito per le imprese è necessario rendere più solido il sistema bancario e rompere il circolo vizioso tra debito pubblico e banche deboli. L’accordo raggiunto al Consiglio sull’unione bancaria è potenzialmente un passo avanti decisivo, ma i tempi di implementazione sono talmente dilatati da rendere le misure ininfluenti almeno nell’immediato. Il compromesso prevede un fondo (Single Resolution Mechanism) di 55 miliardi che diventerà pienamente operativo entro dieci anni, e che dovrebbe costituire sufficiente garanzia per un rilancio del sistema creditizio in Europa.

La tempistica dilatata naturalmente nasconde una divisione politica su quelli che si considerano i reali obiettivi dell’unione bancaria. Italia, Francia e Spagna vogliono prima di tutto far ripartire il credito, e quindi chiedono che i depositi bancari fino a centomila euro siano assicurati a livello europeo invece che dai bilanci dei singoli stati. La Germania, al contrario, vuole evitare che si ripetano bolle di credito come quella di Spagna e Irlanda, e perciò chiede un rigido meccanismo di supervisione ma non è disposta a condividere rischi pregressi. Spetterà ora all’europarlamento mettere pressione sul Consiglio perché i tempi siano accorciati.

Oltre a ciò, l’economia europea ha bisogno di maggiori investimenti. Purtroppo, manca ancora il necessario centro decisionale al riguardo: apparentemente, non ci sono le condizioni politiche per una vera e propria politica fiscale comune, ovvero per un meccanismo di trasferimenti diretti di risorse da una regione all’altra. Bruxelles si è dunque concentrata sul controllo degli effetti sui bilanci degli investimenti, perché questi non si trasformino in generatori incontrollati di debito pubblico. Il fiscal compact (Treaty on Stability Coordination and Governance) impegna i paesi dell’eurozona a riportare il deficit strutturale (un calcolo statistico che esclude le variazioni “cicliche” dell’economia) al di sotto dello 0,5% del PIL e il deficit “generale” al di sotto del 3%. Il trattato impegna inoltre i paesi che adottano l’euro a ridurre il debito pubblico per la quota superiore il 60% del PIL, anche se è comunque prevista una certa flessibilità sulle modalità di abbattimento del debito.

Le difficoltà dei paesi dell’eurozona hanno reso evidente la necessità di accompagnare il rispetto dei vincoli di bilancio con un sistema di incentivi positivi che premino gli stati virtuosi. Anche su questo però il Consiglio di dicembre non ha registrato passi avanti. La discussione sui cosiddetti “contractual arrangements”, ovvero accordi multilaterali tra gruppi di paesi che prevedano una serie di finanziamenti vincolati a progetti specifici (per esempio investimenti infrastrutturali, energetici, o sui centri per l’impiego), è stata rimandata a ottobre 2014.

Al di là dei singoli provvedimenti, l’Europa attraversa una crisi di legittimità che è anche una crisi di aspettative deluse. La complessità e la lontananza delle istituzioni Europee certamente non favorisce l’immediata identificazione da parte del cittadino comune, ma questa è soltanto una parte del problema. Le difficoltà incontrate su temi come l’unione bancaria o i contractual arrangements dimostrano che esistono profonde differenze tra gli stessi membri dell’eurozona su quale debba essere il ruolo e lo scopo dell’Unione, e su fino a che punto i partner siano disposti a condividere rischi e costi.

Alla frustrazione dei paesi indebitati, praticamente privati del potere decisionale in materia di bilanci, si accompagna la parallela preoccupazione delle opinioni pubbliche degli stati con i conti a posto, che non si fidano delle politiche economiche dei soci del sud. Il rischio concreto è dunque di assistere al consolidamento dei blocchi che ne impediscono un fluido processo decisionale. Un successo dei partiti anti-euro alle elezioni di maggio aggraverebbe la situazione politica, mentre dal punto di vista economico la lentezza del decision making si pagherà ancora più cara in termini di mancata crescita e disagio sociale.

Per uscire da questa impasse l’Europa ha bisogno di definire con chiarezza alcune priorità e concretizzarle in politiche di impatto immediato. La Grecia e l’Italia detengono la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per il 2014. Entrambi i governi hanno messo al centro dell’agenda la creazione di nuove forme di accesso al credito per le imprese e lotta alla disoccupazione. Con la stabilizzazione dei bilanci pubblici nella maggior parte dei paesi dell’eurozona, il 2014 può rappresentare un anno di svolta grazie all’introduzione di nuovi meccanismi di finanziamento a livello europeo (come i contractual arrangements) che complementino i vincoli di bilancio del fiscal compact.

Senza un’accelerazione dei tempi con cui l’Unione affronta la crisi economica, le prossime elezioni europee potrebbero essere solo il preludio di una serie di passi indietro in direzione di una vera e propria “disintegrazione” europea, costringendo la costruzione comunitaria in una posizione di stallo permanente dalle conseguenze deleterie e inevitabili.