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Il nuovo asse sino-americano: frizioni e interessi condivisi

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La Cina e gli Stati Uniti stanno sperimentando, almeno in termini di dichiarazioni ufficiali, un nuovo modello di relazioni che dovrebbe basarsi su tre pilastri: nessun conflitto o scontro aperto, rispetto reciproco e cooperazione win-win. Tale impostazione è stata proposta da parte cinese e sottoscritta da Washington, in occasione dell’incontro del giugno 2013 tra Xi Jinping e Barack Obama ad Annenberg Estate in California. In due giorni lo scambio di opinioni è stato ampio e approfondito: dalle rispettive situazioni di politica interna alle problematiche della sicurezza, dalle questioni economiche e finanziarie alla cyber security, fino ai cambiamenti climatici. È stato descritto come un incontro senza precedenti, per qualità e tempo di interazione tra i due capi di Stato, in cui è emerso che la cooperazione – pur tra importanti differenze – è l’unica strada possibile.

In effetti, la realtà è diversa. Solo nel corso del 2013 sono state diverse le occasioni di tensione: la sicurezza nella complicata regione Asia-Pacifico, il caso Edward Snowden, le controversie in campo economico e le dispute sui diritti umani. A dispetto di questi motivi di frizione, sembra però che Washington e Pechino abbiano tutta l’intenzione di mantenere sempre aperto un canale di dialogo, nella piena consapevolezza che i due paesi sono per molti versi l’ago della bilancia degli equilibri mondiali.

In una recente intervista ad Al Jazeera, il ministro degli Esteri Wang Yi ha riconosciuto la tradizionale influenza americana in Asia-Pacifico, aggiungendo che “la Cina rispetta gli interessi legittimi degli USA, sperando che possa avere un ruolo costruttivo negli affari regionali”. Anche il presidente Xi Jinping ha affermato in diverse occasioni che l’Oceano Pacifico ha spazio a sufficienza sia per la Cina che per gli Stati Uniti. Pechino è del resto consapevole che, in mancanza di forti garanzie americane, non tutti i paesi dell’area accetterebbero il crescente peso cinese e potrebbero così ostacolarne l’ulteriore sviluppo economico.

C’è stata una certa disponibilità da parte della Cina a dare chiarimenti anche per quanto riguarda l’Air Defense Identification Zone (ADIZ) nel Mar Cinese orientale (che comprende le isole Diaoyu/Senkaku contese tra Cina e Giappone), causa di uno dei momenti di maggiore fibrillazione.

Nei giorni di rischio più acuto si è riusciti ad evitare una spirale di azioni di rappresaglia (in particolare, la Cina non ha messo in stato di maggiore allerta le proprie forze) e Pechino si è limitata a parlare di reazioni spropositate da parte degli Stati Uniti e del Giappone (che peraltro ha stabilito una propria ADIZ già nel lontano 1969). La leadership cinese ha ribadito che l’Air Defense Identification Zone non è uno spazio aereo territoriale o una no-fly zone, e dunque è in linea con il diritto internazionale. La mossa cinese rimane controversa e rischiosa, ma la gestione delle sue conseguenze è stata piuttosto prudente.

Un altro terreno di collaborazione riguarda il cybercrime, fino a poco tempo fa causa di tensioni per cui entrambi i governi si sono dichiarati vittime di attacchi originati dalla controparte. La disputa ha raggiunto il suo momento culminante quando la Cina ha permesso a Edward Snowden di volare in Russia piuttosto che accettare la domanda di estradizione voluta dagli Stati Uniti, con grande disappunto da parte di Washington. Fino poi a raggiungere un accordo in cui i due paesi si sono impegnati a tenere riunioni regolari ad alto livello per stabilire regole di comportamento contro il cyber-spionaggio e misure di tutela per il commercio internazionale. L’episodio ha avuto comunque dei riflessi negativi sull’opinione pubblica dei due paesi: secondo una ricerca svolta dal Pew Research Center di Washington, la percentuale di americani con una buona opinione nei confronti della Cina è diminuita dal 51% al 37%, e una tendenza analoga è stata registrata anche in Cina con solo il 40% dei cinesi favorevoli agli Stati Uniti. A fronte di queste percezioni, i due paesi non possono prescindere l’uno dall’altro in termini di legami economici e di scambi commerciali: per gli Stati Uniti, la Cina è il secondo partner commerciale, il terzo per l’export e la più importante risorsa per le importazioni. A ciò va aggiunto l’intenso flusso di viaggi tra i due paesi per studio, lavoro o semplicemente turismo – fattori fondamentali per lo sviluppo di relazioni e di interconnessioni. 

Quello cinese è ormai un mercato irrinunciabile per alcune imprese americane, e il governo di Pechino ha annunciato di voler promuovere un piano economico per una crescita più sostenibile e per una serie di liberalizzazioni. Gli Stati Uniti vedono certamente di buon grado un modello di crescita cinese più incentrato sull’apertura del paese a beni e servizi stranieri, come anche alla riforma delle imprese di stato cinesi e ad una assai maggiore trasparenza. In passato, le violazioni cinesi delle norme internazionali sul commercio internazionale e la proprietà intellettuale, sono costate miliardi di dollari alle imprese americane: ora si apre l’opportunità che la nuova leadership cinese abbia deciso, nel perseguimento dei propri stessi interessi, di cambiare corso, e questo rende ancora più prudente la diplomazia di Washington verso un partner di tale importanza.