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Luci e ombre del modello economico tedesco

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Il modello economico tedesco è diventato oggetto di dure critiche, soprattutto alla luce della crisi dell’euro in atto. Nonostante gli ottimi risultati conseguiti a partire dal 2005, con tassi di crescita alti relativamente ai paesi OCSE, e una disoccupazione estremamente contenuta, alcuni osservatori ritengono che si tratti di un modello sia molto meno “inclusivo” rispetto al passato. La riduzione degli oneri sociali per le imprese e gli assegni di disoccupazione, avrebbero portato a maggiori livelli di polarizzazione del reddito, mentre chi non ha lavoro è a forte rischio di precipitare nella povertà.

La questione è naturalmente molto sentita in Germania, dove si sta discutendo dell’opportunità di introdurre il salario minimo. Deve essere poi ancora affrontata la questione dei cosiddetti “mini-jobs”, o “lavori da 400 euro”: quei contratti di lavoro di natura temporanea – la cui retribuzione, appunto, si ferma a 4.800 euro l’anno –i cui oneri sociali sono coperti dallo stato, e che coinvolgerebbero oltre sette milioni di persone.

Per comprendere appieno la situazione, dobbiamo inquadrare la Germania nel contesto economico internazionale. In effetti, pur con i suoi limiti, il modello tedesco rimane tra i più egualitari al mondo. Se facciamo riferimento al “coefficiente di Gini” sulle disparità di reddito, la Germania si trova a un livello di uguaglianza simile a quello dei paesi scandinavi. Eppure, è altrettanto vero che questo valore è sceso in maniera decisa negli ultimi anni: la diseguaglianza è peggiorata del 20% tra il 1985 e il 2008.

Secondo alcuni osservatori, ciò sarebbe il segnale di una “americanizzazione” della Germania – visto che gli Stati Uniti, tra le società sviluppate, presentano indici molto elevati di diseguaglianza, peggiori di Bolivia, Costa Rica e Filippine. Dobbiamo però osservare che l’aumento delle diseguaglianze sociali è un fenomeno che ha coinvolto tutti i paesi OCSE negli ultimi decenni. Resta il fatto che in Germania il peggioramento è stato comunque molto più significativo rispetto agli altri paesi.

Prima di tutto, il motivo alla base delle disparità di reddito tra Germania e Stati Uniti è generalmente diverso. Alla polarizzazione negli Stati Uniti ha contribuito un modello di riferimento che tende a una forte concentrazione oligopolistica (il modello “winner takes all”), insieme all’iper-finanziarizzazione e al declino del settore manifatturiero. Le aziende statunitensi si sono dimostrate pessime redistributrici di reddito: ad esempio, una ricerca del 2010 su 299 aziende dell’indice Fortune 500 aveva rilevato che i CEO in media ricevevano una compensazione 343 volte superiore rispetto a quella dei dipendenti.

In Germania – forse a causa della presenza ancora rilevante del manifatturiero – le aziende mostrano una piramide di reddito molto più equilibrata: il rapporto è nell’ordine di 11-12 volte (anche se i segnali da alcune grandi aziende sembrano indicare una tendenza al peggioramento). Ci sono, in ogni caso, problemi in merito all’inclusività del sistema formativo. L’accesso all’Università, e con esso ai lavori meglio retribuiti, dipende ancora dal percorso scolastico a partire da giovanissima età. I figli di immigrati, che da piccoli hanno difficoltà con la lingua, hanno molta più probabilità di essere assegnati a scuole tecniche o professionali piuttosto che al liceo.

Le maggiori disparità degli ultimi anni dipendono però dalla regolamentazione del mercato del lavoro, che è cambiata in maniera decisa dai primi anni Duemila. La scelta tedesca di diminuire le elargizioni dello stato sociale ai disoccupati in condizioni di lavorare ha avuto effetti sensibili sulla “disoccupazione di base”. Si è aperto di fatto un mercato per la manodopera a basso valore aggiunto. Il discorso non è limitato ai già citati “minijobs”, poiché sono in generale le retribuzioni dei lavoratori dipendenti a non essere aumentate di molto. Per quanto ciò abbia generato un dibattito a sfondo etico sull’equità sociale, ha avuto come conseguenza un sensibile abbassamento della “disoccupazione di base”, tanto che ormai le persone senza lavoro in Germania sono al 6,7%, il livello più basso degli ultimi vent’anni. In Baviera la disoccupazione è addirittura al 3,8%. Se consideriamo poi che l’inflazione è stata molto bassa negli ultimi dieci anni, possiamo concludere che la stagnazione dei salari è stata assorbita senza troppi problemi dalla società.

Oltre al quadro nazionale complessivo, dobbiamo anche considerare la dimensione “geografica” dei cambiamenti nell’occupazione. La diminuzione dei sussidi ha consentito di far entrare nella produzione anche i lavoratori delle regioni orientali, l’ex-Germania Est. Il contesto formativo e industriale di quest’area aveva creato una schiera di lavoratori con meno esperienza e specializzazione rispetto ai colleghi occidentali, per cui molti di essi avrebbero trovato difficilmente lavoro se si fossero presentati sul mercato richiedendo le condizioni retributive del resto del paese. Abbassare gli oneri sociali sul lavoro ha dunque consentito di ridurre la disoccupazione all’Est, contribuendo però alle disparità retributive.

Alla fine, la scelta del governo tedesco era tra disoccupazione più alta e salari più alti oppure disoccupazione più bassa e salari più bassi. Si è preferita la seconda strada, con tutti i dilemmi etici che ciò comporta.

Ci sono stati poi altri fattori che hanno avuto effetti sulla distribuzione del reddito, con  importanti cambiamenti nelle abitudini lavorative. La quota dei lavoratori part-time è raddoppiata dagli anni Ottanta (sono oggi più del 22%). Secondo uno studio dell’OCSE, sarebbero intervenuti anche cambiamenti sociali, poiché nei matrimoni le persone tendono a scegliere partner dello stesso livello di reddito, a differenza che in passato.

In estrema sintesi, dunque, il modello lavorativo tedesco ha aumentato le disparità, ma ha a consentito a più persone di lavorare: in qualche modo, si tratta davvero di una versione “di lusso” del modello cinese, visto che si è deciso di abbassare il costo del lavoro per fini produttivi. I cambiamenti sono stati possibili anche grazie alla solidità del sistema economico, che comunque conserva uno stato sociale tra i più generosi d’Europa. La vera sfida è ora quella della crescita nel contesto europeo e globale: se l’economia tedesca dovesse rallentare più del previsto, il modello potrebbe scontare tutti i suoi limiti, e la stessa Germania potrebbe diventare un’incognita.