international analysis and commentary

L’intreccio tra politica e istituzioni nel ridisegnare l’UE

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La proposta di Sergio Fabbrini e Stefano Micossi, pubblicata su Aspenia online, parte da una premessa oggettiva: l’eurozona e l’Unione Europea nel suo complesso soffrono di gravi carenze nella fase decisionale. Su tre aspetti, tuttavia, si possono aggiungere considerazioni ulteriori rispetto alla diagnosi, e dunque anche alla prognosi che viene avanzata nel loro contributo.

Il primo aspetto riguarda il rapporto tra dinamiche politiche e dinamiche tecniche (o tecnocratiche), che è ovviamente una questione oggi centrale e controversa in molti dibattiti nazionali. Il punto più caratterizzante della proposta di Fabbrini e Micossi è la “politicizzazione” del Consiglio europeo – che a loro parere andrebbe perseguita in modo più coerente con l’obiettivo di aumentare al contempo la legittimità e l’efficienza delle istituzioni europee attraverso una migliore separazione dei poteri. Tuttavia, a monte di questa analisi si deve notare che proprio una forma più acuta di politicizzazione si è affermata nel tentativo di gestire la crisi dell’euro: si è avuta la chiara prevalenza di una linea di policy – pur tra molte difficoltà e ritardi – dettata essenzialmente dal governo tedesco. Che fossero entusiasti, riluttanti, o inizialmente del tutto contrari, gli altri membri dell’eurozona hanno di fatto acconsentito a decisioni politiche che si sono poi trasformate in misure “tecniche” (non sempre coerenti). Questa forte asimmetria tra paesi-membri non può essere rapidamente superata, né aggirata, da un diverso assetto istituzionale, a meno di convincere la Germania che è suo interesse vincolarsi a un meccanismo decisionale che può metterla in minoranza. L’atteggiamento tenuto fin qui da Berlino, e le recenti sentenze della Corte costituzionale tedesca, non vanno certo in tale direzione. In altre parole, la politicizzazione è già con noi, sebbene in una forma che non favorisce né la legittimità né l’efficienza: non sarà facile né indolore cambiare tale stato di cose perché sarà necessario un riequilibrio di potere reale, e non soltanto di ruoli istituzionali – per quanto questi siano importanti.

Il secondo aspetto che merita un approfondimento è legato alla variegata configurazione partitica e dei movimenti politici in Europa, che si è finora cercato faticosamente di far confluire nel parlamento europeo. Fabbrini e Micossi sottolineano, giustamente, che la distribuzione lungo lo spettro politico è ben più complessa di quella tra le due “famiglie” popolare e progressista. Nel proporre però la strategia del collegio elettorale per l’elezione del presidente del Consiglio europeo, la loro analisi sembra dare per scontata, o incoraggiare positivamente, una configurazione bipolare – visto che suggeriscono la selezione (da parte dei capi di governo) di soli due candidati alla Presidenza. Il fatto è che, proprio alla luce delle fratture multiple nei sistemi partitici e nelle società europee, è arduo immaginare un processo di selezione che arrivi a identificare due soli nomi, dovendo presumibilmente tenere conto di numerose considerazioni anche geografiche. Se pure si arrivasse a tre o quattro candidature, il processo di selezione rischierebbe di restare delicato e molto controverso. Il problema di fondo è che il quadro istituzionale (e naturalmente lo stesso sistema elettorale) influenza e incanala la configurazione politico-partitica, ma non sempre può cambiarla né semplificarla radicalmente. E la struttura partitica dell’UE nel suo insieme non può dirsi, ad oggi, bipolare.

In ogni caso, il sistema politico produce dei feedback sul meccanismo istituzionale, per cui una forzatura in direzione bipolare potrebbe finire per lasciare senza rappresentanza moltissimi cittadini dell’Unione, con il risultato di indebolire (invece di rafforzare) la legittimità complessiva del meccanismo decisionale. Probabilmente, per focalizzare sull’elezione del presidente del Consiglio europeo le grandi divisioni politiche e territoriali dell’Unione, come auspicano Fabbrini e Micossi, si rende necessario un processo di selezione piuttosto ampio, che passi ad esempio attraverso forme di “primarie” in cui abbiano un forte ruolo anche i parlamenti nazionali.

Il terzo aspetto da approfondire è che la complessità della struttura europea – eurozona a 17 membri e UE a 27 membri; governi nazionali ed esecutivo duale; Consiglio, Consiglio europeo e Commissione; Parlamento europeo e parlamenti nazionali – non consente di prevedere con precisione l’esito di un ampio dibattito istituzionale e costituzionale. Quello auspicato da Fabbrini e Micossi è un esito possibile e plausibile, ma il processo dovrebbe essere aperto piuttosto che predefinito. Il problema più generale di cui soffre l’UE è infatti – come ha sottolineato tra gli altri Larry Siedentop nell’articolo pubblicato nel 2009 su Aspenia e ora riproposto su Aspenia online – che si è preferito quasi sempre non porre la questione dei processi decisionali in termini costituzionali, lasciando prevalere soluzioni in apparenza “tecniche”. In effetti, proprio il successo iniziale del metodo funzionalista su cui si fondarono le Comunità europee originarie ha incoraggiato questa tendenza, con il risultato però di creare un gap di legittimità politica per tutti gli organi dell’Unione. Siedentop ci ricorda anche che le politiche definite a Bruxelles toccano ormai direttamente sia gli interessi sia l’identità stessa dei cittadini europei, i quali continuano a considerare le istituzioni nazionali come la più naturale espressione della legittimità democratica. Dunque, non solo la Commissione ma neppure il Parlamento europeo hanno finora saputo raccogliere la grande eredità del costituzionalismo parlamentare europeo, mentre il Consiglio (in tutte le sue incarnazioni) ha subito gli inevitabili poteri di veto incrociati del meccanismo dell’unanimità: la crisi dell’euro ha offerto prove lampanti di tale triplice carenza.

Ben venga allora un ampio dibattito pubblico in cui si ponga espressamente la questione costituzionale dell’Europa, per muoversi oltre la visione tradizionale dell’integrazione: qualunque sarà il suo esito, il senso di appartenenza e partecipazione dei cittadini ne beneficerà.

 

Una proposta istituzionale per l’Europa: legittimazione ed efficienza
di Sergio Fabbrini e Stefano Micossi