international analysis and commentary

Condannati alla doppia legittimità

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La proposta di Sergio Fabbrini e Stefano Micossi parte da tre premesse. L’UE ha bisogno di un esecutivo di cui venga riconosciuta la legittimità. Il sistema prevalentemente intergovernativo in atto da un certo tempo non funziona. La “via maestra” concepita dei federalisti (la Commissione legittimata dal parlamento diventa progressivamente il governo) è definitivamente fallita. Mentre è difficile dissentire dalle prime due premesse, la terza richiede un esame più attento.

A prescindere dalle responsabilità personali dei presidenti delle Commissioni che sono succeduti a Delors (e che pure hanno avuto il loro peso), lo stallo apparente della “via maestra” è legato a due fattori strutturali: uno presente fin dall’inizio della costruzione, il secondo legato alla natura delle sfide poste dalla crisi attuale. I governi che compongono il Consiglio (e a maggior ragione il Consiglio europeo) hanno la cultura e il DNA di un esecutivo e rifiutano pervicacemente di trasformare il Consiglio in un Senato. Inoltre, come non si stanca di ripetere la Corte costituzionale tedesca, nell’assetto attuale dell’Europa gli Stati delegano di volta in volta potere alle istituzioni, ma restano la sola fonte di legittimità; ne discende che le deleghe di sovranità sono limitate e avvengono solo in presenza di un preventivo accordo sugli obiettivi da perseguire e gli strumenti per realizzarli. D’altro canto, i poteri già attribuiti all’UE sono ormai tali da aver già creato in capo alla Commissione e al parlamento un embrione di legittimità propria.

Sbagliano quindi Fabbrini e Micossi nel ritenere che i poteri attuali delle istituzioni, prevalentemente ma non esclusivamente concentrati sul mercato interno, siano di natura essenzialmente tecnica. Hanno invece ragione nel sottolineare che la crisi attuale ci ha portato a esplorare terre sconosciute, dove si incide fortemente sulle sovranità nazionali e mancava qualsiasi accordo sulle cose da fare e sugli strumenti per realizzarle. È quindi normale che la crisi abbia posto ancor più che in passato il Consiglio europeo (CE) al centro del sistema. Resta da chiederci fino a che punto questo mutamento sia strutturale e irreversibile. Se riusciremo ad evitare la catastrofe e a rimettere l’Europa sulla buona via, vorrà dire che avremo anche ritrovato un consenso di fondo su obiettivi e strumenti, forse consacrato in un nuovo trattato; è plausibile prevedere che a quel punto i capi di governo sentiranno meno l’urgenza di riunirsi ogni poche settimane e saranno tentati di concentrarsi in primo luogo su ciò per cui sono stati eletti, cioè governare i loro paesi. Del resto, molte delle decisioni prese con il six pack spostano già ora la responsabilità verso la Commissione, il Consiglio e il parlamento.

Detto questo, resta comunque il problema di come superare il problema del “doppio esecutivo” sottolineato da Giuliano Amato. La proposta di Fabbrini e Micossi è un interessante escamotage con cui tentano di iniettare il morbo federalista nel sangue della bestia intergovernativa. È ingegnosa ma, forse per inveterato laicismo, non credo nell’eterogenesi dei fini e temo che non funzionerebbe. Il presidente del CE è una figura la cui legittimità discende interamente dai governi e il cui compito è principalmente quello di facilitare l’accordo fra di essi; non si vede perché questi stessi governi dovrebbero indebolire il cordone ombelicale che li unisce a questa figura attualmente al loro servizio e dotarla di una sua legittimità. Potrebbero essere tentati di farlo per alleggerire il carico che attualmente pesa sulle loro spalle, come indicato in precedenza, e delegare al presidente compiti esecutivi più vasti; in questo caso tuttavia non si vede come il sistema potrebbe funzionare se il presidente del CE, attualmente privo di un’amministrazione propria, non assorbisse anche gli strumenti burocratici, giuridici e finanziari della Commissione. Avremmo quindi il paradosso di ritrovare per un cammino contorto proprio la “via maestra” di cui si era decretato il fallimento. In questa prospettiva, l’unico perdente sarebbe il parlamento europeo. Alcuni potrebbero dire: “poco male”.

Non è così semplice. In primo luogo, consacreremmo definitivamente il principio che la sola legittimità delle istituzioni è quella derivata dagli Stati attraverso i parlamenti nazionali; è facile vedere come ciò renderebbe strutturalmente fragile tutta la costruzione. Inoltre, la legittimità di un sistema istituzionale non dipende tanto dalle regole e dal risultato che produce, quanto dal processo, dal confronto politico che conduce a quel risultato; la prima caratteristica di un processo politico deve essere la capacità di coinvolgere i cittadini. Come opportunamente nota Amato, la cultura politica radicata nell’animo degli europei è la democrazia parlamentare, non quella americana. Temo che il sistema proposto da Fabbrini e Micossi risulterebbe incomprensibile ai più, non susciterebbe nessun dibattito su scala europea e non servirebbe a correggere la percezione di deficit democratico, vero o presunto, delle istituzioni. Del resto il sistema americano di separazione dei poteri, dove i “grandi elettori” sono diventati solo un meccanismo per ponderare il voto espresso nell’elezione diretta, sembra funzionare unicamente in America e anche lì con crescenti difetti. Costruire gradualmente, come sembrano voler fare i partiti politici, una maggiore legittimità della Commissione legandone la designazione alle elezioni per il parlamento europeo è certamente un percorso lungo è complicato, ma che mi sembra più promettente e che rientra fra le innovazioni che non hanno bisogno di riforme dei trattati.

Infine, l’esperienza e il buon senso indicano che l’Europa non si avvia in tempi rapidi a una riforma radicale. Un nuovo appuntamento costituente sarà probabilmente necessario, ma esso interverrà solo quando si sarà creato un nuovo consenso sugli obiettivi dell’Unione e gli strumenti di cui deve essere dotata. Questo consenso non sarà costruito in astratto, ma rispondendo giorno per giorno alle necessità di gestione dell’unione economica. Lungo questo percorso, evolveranno anche le istituzioni. Quando si arriverà al nuovo appuntamento costituzionale, si dovrà soprattutto tener conto dell’equilibrio istituzionale che si sarà nel frattempo creato; nessuna delle due gambe del “doppio esecutivo” di cui parla Amato saranno uguali a ciò che sono oggi. La ragione per cui, nonostante tutto, continuo a credere nelle potenzialità della “via maestra” è che essa sembra più adatta a costruire gradualmente su ciò che esiste. Del resto, ciò che dovrebbe maggiormente far riflettere Fabbrini e Micossi è che, se è vero che Herman Van Rompuy è oggi la figura centrale del sistema istituzionale, il principale effetto della sua paziente azione è stato quello di correggere in parte un equilibrio all’inizio totalmente intergovernativo a vantaggio… del parlamento e della Commissione.            

 

Una proposta istituzionale per l’Europa: legittimazione ed efficienza
di Sergio Fabbrini e Stefano Micossi