international analysis and commentary

L’Europa dei perdenti

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Ha perso la Grecia ma ha perso in parte anche la Germania. E abbiamo perso, come Europa, credibilità e tempo: sei mesi buttati via in un tira e molla inconcludente fra debitori strafottenti e creditori supponenti. Mentre il prezzo del salvataggio aumentava. Per i greci e per gli europei.

Alexis Tsipras ha calcolato – compiendo ogni genere di errore possibile – che il resto d’Europa avrebbe accettato il suo “azzardo morale” a qualsiasi costo, pur di salvare l’euro: in verità, è un costo molto alto. La Grecia dei populisti è di fatto commissariata; e non sarà certo di esempio. Wolfgang Shäuble ha preteso – sbagliando – di ottenere con venti anni di ritardo quello che non era riuscito ad ottenere agli esordi delle discussioni sull’euro: una moneta unica riservata solo ai più forti e ai più virtuosi. Un euro piccolo, tesi molto rischiosa per un paese come il nostro. E a questo punto anche per la Francia, a sua volta non così forte e virtuosa da essere tranquilla sul futuro. Questa resa dei conti – solo apparentemente sulla Grecia, in realtà sul futuro dell’Europa – ha fatto perdere al ministro delle Finanze tedesco l’appoggio di Parigi. E, per paradossale che sia, ha reso possibile – insieme alla tenuta pragmatica di Mario Draghi – il compromesso della 17esima ora.

Se ne possono trarre due indicazioni. Primo: il tandem fra Berlino e Parigi ha senso – per l’Europa nel suo insieme, Roma inclusa – solo quando la Francia non rimane totalmente schiacciata da una Germania troppo spesso sicura di essere nel “giusto”. E ancorata, come in passato, a una visione morale dell’economia in cui è una stessa parola – schuld – a definire sia debito che colpa. Secondo: i due paesi chiave dell’UE, Germania e Francia, concepiscono in modo diverso (lo sapevamo, ma è sempre bene ricordarlo) il futuro dell’eurozona. Berlino è pronta a una integrazione più stretta solo a patto che “tutti rispettino i patti”. Traducendo: solo a patto che il proprio modello economico diventi la regola. E poiché non sarà possibile – la storia di questi anni lo ha dimostrato – la Germania guarda di fatto ad un euro a due velocità: con la trattativa sulla Grecia, un’ipotesi “di scuola” è diventata per la prima volta una carta politica. La Francia resta “sovranista”: viste le proprie debolezze economiche e dato il fattore Marine Le Pen, Parigi preferisce più flessibilità (salviamo la Grecia) a passi in avanti verso l’integrazione politica. Questa distanza fra Germania e Francia apre in teoria qualche spazio all’Italia; se il nostro paese riuscirà a rafforzarsi economicamente e se avrà voglia di concepire l’Europa per quello che è veramente: il terreno di scontro e non solo di incontro fra logiche nazionali che devono essere chiare anzitutto a se stessi.

Sullo sfondo di questo dibattito “esistenziale”, le istituzioni europee hanno funzionato da argine. Il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker – uno dei veri perdenti, marginalizzato dal gioco – ha osservato che l’estenuante ricerca di un compromesso incarna proprio il “metodo europeo”: interpretazione al ribasso un po’ sconfortante, riuscita solo in extremis ad evitare lo scenario peggiore. Il principio che le decisioni monetarie siano anche politiche, non solo tecniche, ha alla fine prevalso: vedremo se reggerà alla prova dei fatti, siamo solo agli inizi.

Letta dall’interno del vecchio continente, la lunga battaglia di Grecia ha confermato le tesi di chi ritiene che l’unione monetaria non potrà sopravvivere a lungo senza un’Unione fiscale e senza un vero e proprio bilancio dell’UE. Peccato che nessuno abbia chiaro come potere costruire consenso attorno a passi in avanti verso l’Unione politica – solo in parte contemplati nel “Rapporto” dei presidenti, già sul tavolo del Consiglio europeo. Che da una crisi di fiducia del genere debba nascere lo stimolo verso un’Unione federale può essere una conclusione razionale; ma non è certo un riflesso istintivo per cittadini europei che mancano di punti di riferimento e che in numeri crescenti (basta leggere i sondaggi di opinione) non riescono più a cogliere il valore aggiunto dell’UE. Mentre le forze politiche a vario titolo euro-scettiche, a destra e a sinistra, alzano la voce – la sonora sconfitta di Tsipras non sembra bastare – nei parlamenti nazionali e nel Parlamento di Strasburgo. La sfida è semplice da capire ma non lo è da risolvere: per avere un futuro, l’UE non può restare nella situazione di oggi, con una moneta unica priva delle politiche economiche in grado di sostenerla; ma per potere cambiare, l’Europa deve anzitutto recuperare un appoggio democratico che ha ormai perso. La lezione greca – che in realtà si può leggere come una dura e surreale lezione sulla crisi europea – è in fondo questa, prima di molte altre.

Vista dall’esterno, la vicenda greca è stata in parte una drammatica farsa; ma è stata anche oggetto di competizione geopolitica fra i nostri alleati – gli Stati Uniti – e la Russia. Con un po’ di Cina in aggiunta. In una logica geopolitica, salvare la Grecia – paese NATO e cerniera sensibile con l’Est, un Mediterraneo in fiamme e Balcani in crisi di ritorno – era indispensabile. Specie dopo la semi-perdita della Turchia. Se ciò fosse stato chiaro fin dall’inizio, avremmo forse evitato qualche telefonata di Barack Obama, qualche ammiccamento russo e qualche nuova dimostrazione della fragilità dell’UE come attore internazionale. La lezione greca, su questo versante, suona così: una clamorosa “distrazione” degli europei dai problemi esterni che premono alle porte di casa, a Est come a Sud. E che da problemi esterni stanno diventando interni, sfruttando proprio la debolezza delle economie periferiche del vecchio continente. L’Unione della politica estera, con Federica Mogherini come Alto Rappresentante, sembra più efficace come mediatore fra Stati Uniti ed Iran che non ai propri confini. Là dove, insomma, deve riuscire a cavarsela con le proprie forze.

In un libro di qualche tempo fa sulla globalizzazione e i suoi paradossi, Dani Rodrik parlava di un “trilemma politico” alla base dell’integrazione economica internazionale: è ormai molto difficile, per le ragioni spiegate dall’economista di Harvard, tenere insieme democrazia, sovranità nazionale e apertura economica. Tenere insieme due poli è possibile, ma rinunciando ad un terzo: si tratta, quindi, di scelte difficili e alternative. La lunga crisi greca è una conferma del “trilemma”, in salsa europea: con l’Unione economica e monetaria, la sovranità nazionale è per definizione limitata (“perduta” per gli euroscettici, “condivisa” per i filo-europei) e si apre una nuova questione democratica. È il momento di discutere apertamente questo problema essenziale; e di fare – su questo, non altro – la battaglia vera per il domani.