international analysis and commentary

Le molte facce dell’islamismo egiziano e il suo futuro incerto

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Il mondo dell’Islam politico egiziano non è mai stato così diviso come in seguito alla deposizione del presidente Mohamed Morsi. L’attuale contrasto fra salafiti e Fratelli musulmani è solo l’aspetto più visibile e superficiale, sotto il quale in realtà è in atto uno scontro ancor più duro e profondo i cui esiti sono assolutamente incerti.

Lungi dall’essere compatto ed omogeneo, il panorama politico salafita è attraversato da divergenze e contrasti latenti. A seguito della “rivoluzione” del gennaio 2011, molte di queste difformità sono definitivamente emerse quando alcuni dei soggetti hanno deciso di partecipare direttamente alla vita politica. Il “salafismo politico” è dunque un fenomeno nuovo in Egitto, sebbene affondi le sue radici in una storia oramai decennale nel corso della quale associazioni ed organizzazioni ad impronta prettamente religiosa si sono radicate nelle maglie della società egiziana. Anni in cui la Da’wa Salafiyya di Alessandria è divenuta massima interprete del progetto di re-islamizzazione della società egiziana. Quando nel 2011 quest’imponente organizzazione islamica ha deciso di fondare il  proprio braccio politico (il partito Al-Nour) la sua popolarità lo ha reso il primo partito politico salafita in tutto il Paese; il primo ma non l’unico. Il dibattito nel corso del 2013 in merito al nuovo testo costituzionale ne è un emblematico esempio. I mezzi di comunicazione di massa, tanto nazionali quanto internazionali, hanno presentato la posizione salafita come univocamente favorevole all’approvazione della Costituzione mentre in realtà, persino nelle fila degli esponenti religiosi più vicini ad Al-Nour come ad esempio lo shaykh Abu Ishaq al-Heweini, più di qualcuno aveva espresso parere negativo sui contenuti del testo. Molti partiti salafiti fra i quali Hizb al-Asala, Bina’a wa al-Tanmiyya, Hizb al-Watan, avevano del resto manifestato il proprio netto rifiuto schierandosi di fatto al fianco dei Fratelli musulmani.

Storicamente, buona parte del mondo salafita è stata solita criticare la Fratellanza circa il suo impegno politico ritenendo che la partecipazione in un sistema non governato da Dio fosse assolutamente inaccettabile. Dopo una breve parentesi di collaborazione successiva alla conquista del potere da parte dei Fratelli musulmani in seguito alle dimissioni di Hosni Mubarak, lo scontro è proseguito, sebbene in condizioni diverse. Rimane il fatto che queste due grandi anime dell’islamismo egiziano condividano un framework ideologico di riferimento, ma resta ora da comprendere verso quali linee evolutive si indirizzeranno i Fratelli musulmani dopo il colpo di Stato dell’estate 2013.

Etichettati come organizzazione terroristica e praticamente esclusi dalla vita politica del Paese, essi affrontano forse uno dei periodi di repressione più duri nella loro storia dopo la presidenza di Gamal Abd al-Nasser. Molti analisti egiziani propongono qualche parallelo fra Nasser e Al-Sisi, suggerendo che la Fratellanza potrebbe ripercorrere le orme del suo passato. La brutale repressione governativa potrebbe infatti spingere l’organizzazione di Morsi verso un irrigidimento ideologico ed operativo: un ritorno al pensiero di Sayyed Qutb, esponente di spicco della Fratellanza durante gli anni Sessanta che subì in prima persona la mano violenta dello Stato nasserista, non è mai stata dimenticata. Alcuni esponenti religiosi salafiti e vicini alla Fratellanza gli riservano l’appellativo di “eroe” e lo definiscono come “un’icona di libertà in tempi di schiavitù”. L’eventuale ritorno a quella visione non va tuttavia equiparato all’opzione violenta o terrorista bensì ad un rapporto non dialogante e di netta opposizione nei confronti del potere costituito. Inoltre, nel lungo periodo, l’organizzazione fondata da Hasan al-Banna potrebbe finire con il beneficiare di quella repressione che pure negli ultimi mesi ha quasi azzerato la sua classe dirigente. La Fratellanza sembra infatti essere nuovamente nella posizione di poter (se non dover) sfruttare nuovamente la retorica islamica dell’oppresso contro l’oppressore, dell’iniquo governante tiranno, del movimento che ascolta e interpreta le rivendicazioni della piazza.

Di contro, Al-Nour sembra aver rapidamente interiorizzato il ruolo di “islamismo di Stato”, finendo con l’appoggiare senza riserve l’operato dei militari. Strategia questa che potrebbe non pagare nel lungo periodo, presentando la frangia salafita come un partito che ha abdicato dal proprio progetto islamico preferendovi i tornaconti derivanti dall’ingresso nell’establishment. Inoltre, il clima di polarizzazione presente nel Paese potrebbe spingere Al-Nour verso una sempre maggiore istituzionalizzazione ed i suoi avversari (non solo la Fratellanza) verso un atteggiamento sempre più anti-sistemico. Un segnale in tal senso sembra essere la recente nomina, seppure pro tempore, di Muhamoud Ezzat a Guida suprema della Fratellanza: Ezzat è infatti stato compagno di cella di Qutb negli anni Sessanta e fa parte di una generazione che è molto legata allo storico leader. Come nel caso del salafismo, è tuttavia d’obbligo ricordare che anche nella Fratellanza vi sono diverse correnti di pensiero, sebbene quella di Ezzat sia, sebbene al momento apparentemente predominante, sola una delle visioni presenti all’interno del movimento.

Piuttosto che uno scontro su base religiosa, l’islamismo egiziano vive in sostanza una frattura politica, e il colpo di Stato del 2013 ha contribuito a cristallizzare le differenti posizioni esistenti. Al momento non sembra però che la vittoria dell’una o dell’altra visione dipenda dalla validità del loro programma politico o della loro azione sociale, quanto piuttosto del loro rapporto con la classe militare che è tornata ad essere palesemente il vero ago della bilancia della politica egiziana. Sotto questo punto di vista i Fratelli musulmani sono decisamente svantaggiati rispetto ad Al-Nour, che si mostra in grado di far coincidere la propria azione politica con quella del generale Al-Sisi. Almeno in questa fase la componente dominante dei salafiti sembra essere meglio in grado di interpretare quel “ritorno alla normalità” che una consistente parte del Paese (specialmente quella lontana dal Cairo) chiede con forza.