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L’attivismo del nuovo patriarca di Mosca – dentro e fuori il mondo ortodosso

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Un nuovo straordinario protagonista si è affacciato sulla scena internazionale, voce autorevole dei circa 2,18 miliardi di cristiani presenti nel mondo: così afferma il recente rapporto Pew Forum on Religion and Public Life. Ma non si tratta di papa Francesco, bensì del patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill. Nato a san Pietroburgo (allora Leningrado) 67 anni fa, Kirill per venti anni è stato responsabile del dipartimento Affari religiosi esteri del patriarcato di Mosca, una sorta di “capo delle relazioni esterne” della Chiesa ortodossa russa. Era di fatto il braccio destro del patriarca Alessio II. Alla morte quest’ultimo, nel 2009, il Consiglio dei vescovi lo ha eletto a grande maggioranza nuovo primate della Chiesa ortodossa russa.

Molto diverso per carattere e per preparazione culturale da Alessio II, Kirill padroneggia perfettamente le lingue e già aveva viaggiato molto in Europa e nel mondo in ragione del suo ruolo al vertice del dipartimento per gli esteri. In Kirill il Consiglio dei vescovi russi ha visto l’opportunità per aprire l’ortodossia di Mosca al mondo e riconquistare una leadership che si era andata progressivamente appannando. Un’autorevolezza da riaffermare anzitutto rispetto all’altro pretendente in seno all’ortodossia cristiana, cioè il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo.

Kirill peraltro aveva incontrato papa Benedetto XVI nel 2006, a Roma, in occasione della consacrazione della prima chiesa ortodossa russa della capitale. Una volta eletto, il nuovo patriarca ha iniziato una serie di visite alle Chiese ortodosse autocefale che a vario grado ricadono nell’orbita del patriarcato di Mosca: Ucraina, Bielorussia, Lettonia, Estonia, Moldavia. Un modo per rinsaldare rapporti e superare antiche frizioni. Non sono mancati i nodi diplomatici, per esempio con la Chiesa ortodossa in Ucraina, ma queste visite sono servite a Kirill per rafforzarsi sul fronte interno rispetto a un patriarcato di Costantinopoli chiamato a esercitare il primato sulla ortodossia greca, che è peraltro assai più divisa e frammentata. La Chiesa di Russia conta infatti circa 100 milioni di fedeli (la metà circa degli ortodossi nel mondo) e contende il primato alla Chiesa di Costantinopoli, l’unica che si autoproclama in diritto di riconoscere le singole Chiese ortodosse autocefale.

Oltre ad affrontare i problemi interni, Kirill ha cominciato a guardare fuori dai confini del patriarcato di Mosca. Una pietra miliare è stata la visita in Polonia nell’agosto 2012, dopo secoli di divisioni e scontri con la Chiesa cattolica polacca che hanno rappresentato una delle principali ragioni del mancato incontro tra Giovanni Paolo II e Alessio II durante il lungo pontificato wojtyliano. Kirill ha firmato a Varsavia, con il presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Jozef Michalik, un messaggio comune delle due Chiese rivolto ai rispettivi popoli russo e polacco. Il messaggio contiene una riflessione riguardante la storia di entrambi attraverso i secoli, l’appello al reciproco perdono e alla riconciliazione e un richiamo a continuare il dialogo per una testimonianza comune di fronte alle sfide dell’Europa. È stato un gesto straordinario che ha simbolicamente proiettato la leadership del patriarca di Mosca in Europa proprio nel momento di maggiore debolezza del pontificato di Benedetto XVI alle prese con lo scandalo Vatileaks e i veleni della Curia romana.

Nel frattempo Kirill aveva più volte espresso vicinanza e partecipazione agli ortodossi in Kosovo e Macedonia e rafforzato i legami di amicizia con quelli della Serbia. Sulla scorta di questo lungo e articolato percorso diplomatico, il patriarca di Mosca si è sentito pronto, nel maggio scorso, ad un altro storico passo: la visita in Cina accompagnato da una corposa delegazione di ben 80 dignitari. L’apice della visita è stato rappresentato dall’incontro con il presidente cinese Xi Jinping nella “Grande sala del popolo” di Pechino, il 10 maggio. Gli ortodossi russi in Cina sono appena 20 mila ma il significato simbolico del viaggio del patriarca è andato ben oltre il dato numerico. Kirill è stato il primo capo della Chiesa ortodossa russa a visitare la Cina ma anche il primo leader religioso cristiano a essere ricevuto al massimo livello dal governo di Pechino. Un passo che metaforicamente può essere paragonato allo sbarco sulla Luna: nel lungo cammino di avvicinamento della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa verso la Cina, Mosca è arrivata prima di Roma. Il patriarca ha preceduto il papa.

Naturalmente non sono estranei al raggiungimento di tale traguardo gli sviluppi delle relazioni tra i governi russo e cinese. Le Chiesa ortodosse, infatti, in quanto Chiese nazionali e autocefale mantengono uno stretto rapporto con i propri governi. Questo Kirill lo sa bene, ma non significa che si sia messo al servizio di Vladimir Putin; piuttosto approfitta del ruolo della Russia nella comunità internazionale per rafforzare la leadership della sua Chiesa.

Sulla scorta di questo straordinario successo, poche settimane dopo Kirill ha compiuto un altro gesto molto importante: la visita ad Atene, cuore dell’ortodossia di rito greco, con una sosta al monte Athos. È stata la prima visita di un primate della Chiesa ortodossa russa in Grecia da 21 anni a questa parte. Il patriarca di Costantipoli Bartolomeo ha seguito a distanza, con molta attenzione e forse con una certa apprensione, il viaggio di Kirill ad Atene: questa visita ha rappresentato infatti il riconoscimento del ruolo del patriarcato di Mosca in seno all’ortodossia anche dalla parte di lingua greca che, tradizionalmente, ricade nell’orbita di Costantinopoli.

Infine, anche sul fronte della Siria e del Medio Oriente si nota l’attivismo del primate di Mosca. Kirill si è fatto carico della sorte dei due vescovi ortodossi rapiti ad Aleppo mettendosi anche a disposizione, con l’appoggio di Putin, per una eventuale opera di mediazione. Una presenza e un attivismo in Medio Oriente che si contrappongono alle incertezze e ai ritardi della Santa sede sul fronte siriano e, più in generale, nei riguardi delle cosiddette “primavere arabe”. Non c’è dubbio, infatti, che Kirill tragga forza anche dalla debolezza diplomatica del Vaticano. Il pontificato di Benedetto XVI è stato caratterizzato da un pericoloso appannamento sul fronte delle relazioni internazionali e una perdita dell’autorevolezza che in passato aveva caratterizzato la diplomazia vaticana. E non sembra che, fino a questo momento, Bergoglio sia riuscito a prendere in mano anche questo dossier. I suoi discorsi al corpo diplomatico e ai nunzi della Santa sede hanno toccato temi importanti come la crisi economica e il pericolo del carrierismo nella Chiesa, ma non hanno offerto delle linee chiare per l’azione della Santa sede sul fronte internazionale. Probabilmente bisognerà attendere la nomina di un nuovo segretario di Stato al posto del cardinale Tarcisio Bertone per comprendere se papa Francesco riuscirà a imprimere un cambio di passo anche sul fronte diplomatico. Non c’è dubbio che Bergoglio, anche in virtù del crescente seguito popolare, stia acquistando una significativa leadership a livello internazionale. Ma bisognerà capire in quale direzione si dirigerà, quali messaggi il nuovo papa indirizzerà al mondo sui temi caldi del pianeta. Nel frattempo Kirill rafforza il proprio ruolo e si prepara ad un eventuale incontro con il romano pontefice. Un confronto tra i due principali leader del cristianesimo nel mondo che al momento non è facile prevedere quando sarà messo in agenda ma che il patriarca di Mosca sta preparando con cura: l’obiettivo è potersi trovare allo stesso livello del pontefice, in un vero dialogo tra pari.