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La vittoria iraniana con l’accordo-quadro sul nucleare

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L’intesa di massima raggiunta il 2 aprile a Losanna tra l’Iran e il sestetto della troika europea, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, preconizza ma non garantisce un accordo sul programma nucleare per giugno. Esistono ancora importanti aree di disaccordo, cosa che si evince dall’esistenza di un comunicato congiunto, ma anche di un’interpretazione americana e una iraniana (di cui si conoscono i contenuti), oltre a una versione francese non ancora resa pubblica.

Questa doverosa premessa non impedisce per altro di esprimere un giudizio provvisorio sul testo reso noto dall’amministrazione Obama, più dettagliato di quello iraniano e naturalmente più vicino alle posizioni comuni occidentali. Anche se attuato secondo queste linee di massima, l’accordo rappresenta una vittoria per l’Iran e le sue aspirazioni, poiché in sostanza non soddisfa i criteri minimi affermati negli anni dalla comunità internazionale come condizioni innegoziabili per impedire all’Iran di ottenere una bomba atomica.

Innanzitutto, l’accordo riconosce all’Iran un diritto all’arricchimento dell’uranio – già implicitamente ottenuto nell’accordo interinale del novembre 2013. L’America è sempre stata ufficialmente contraria al riconoscimento di tale pretesa. Secondo gli Stati Uniti, i firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), come appunto l’Iran, hanno solo diritto all’uso pacifico dell’energia nucleare, previo adempimento degli obblighi del trattato, ma non all’arricchimento – componente necessaria per la produzione di armi atomiche ma non per la produzione di elettricità.

La maggioranza dei Paesi dotati di centrali atomiche ottengono il combustibile nucleare da un piccolo gruppo di produttori e non hanno strutture autoctone per l’arricchimento. Il riconoscimento di questo diritto inesistente non è soltanto un cedimento diplomatico che aumenta, invece di diminuire, il pericolo di proliferazione iraniana; rappresenta anche un precedente pericoloso per altri Paesi che aspirano al nucleare e che ora potranno esigere uno standard simile di applicazione del TNP per i loro programmi.

Se il cedimento fosse stato simbolico come inizialmente indicato – se cioè all’Iran si fossero lasciate poche dozzine di centrifughe a scopi di ricerca – forse la cosa non sarebbe stata così grave. Ma l’Occidente ha anche rivisto questa posizione accettando che all’Iran rimarrà un’infrastruttura industriale per la produzione di uranio e potenzialmente plutonio. Prima dell’accordo, i leader occidentali avevano più volte affermato che la centrale ad acqua pesante di Arak – ideale per produrre plutonio – e quella d’arricchimento dell’uranio di Fordow dovevano essere smantellate.

Quando il Presidente americano Barack Obama rivelò al mondo l’esistenza di Fordow nel 2009, disse pubblicamente che “la configurazione di questa struttura contraddice gli scopi di un programma pacifico”. Difendendo pubblicamente l’accordo interinale nel dicembre 2013, Obama disse che “nel dettaglio, sappiamo che [gli iraniani] non hanno bisogno di una struttura sotterranea blindata come Fordow per un programma nucleare pacifico. E certamente non hanno bisogno di un reattore ad acqua pesante ad Arak per avere un programma nucleare pacifico. Non hanno bisogno alcuno di centrifughe avanzate attualmente in loro possesso per avere un programma nucleare pacifico”.

Il Presidente ha evidentemente cambiato idea. L’intesa annunciata a Losanna impone in effetti all’Iran di riprogettare temporaneamente Arak e Fordow. Ma Teheran potrà continuare a sviluppare tecnologia di arricchimento avanzata ad accordo completato. E nel frattempo potrà usare più di 6.000 centrifughe senza dover distruggere le rimanenti 13.000, che potranno essere conservate e potrebbero quindi essere riutilizzate a partire dalla scadenza dell’accordo in un decennio.

Anche in tema di verifica si notano preoccupanti cedimenti che non garantiranno quindi trasparenza nel lungo periodo. Da decenni l’Iran mente alla comunità internazionale sulla natura e i propositi delle sue installazioni nucleari. Ha ostacolato continui tentativi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica di svolgere il suo lavoro di verifica. E ha mancato ai suoi obblighi di trasparenza imposti dal TNP. Visti i precedenti, un accordo avrebbe dovuto imporre misure eccezionali di ispezione e verifica che invece non sembrano esser state ottenute. Tutt’al più, ci si aspetta dall’Iran di attuare il Protocollo Addizionale, uno strumento di verifica già firmato dodici anni fa da Teheran ma mai attuato. L’Iran ora presenta l’accettazione provvisoria, ma né vincolante né permanente, del Protocollo Addizionale come una concessione magnanima; in realtà, essa rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per un regime d’ispezioni degno del nome.

Infine, l’Iran è riuscito a evitare l’obbligo di fare chiarezza sulle possibili dimensioni militari del suo programma fino a firma avvenuta dell’accordo – presumibilmente a giugno. Anche questa è una concessione di sorprendente portata. Tutti i governi occidentali coinvolti nel negoziato insistono di avere prove schiaccianti dell’esistenza di un programma militare nucleare iraniano. Ciononostante, l’Iran non deve più chiarire le sue passate attività clandestine di natura militare prima di avere ottenuto l’abrogazione di parte delle sanzioni. Considerando che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha ribadito a fine marzo come Teheran continui a far orecchie da mercante in tema di verifiche su attività passate, risulta difficile immaginare chiarezza da qui a giugno, quando l’accordo dovrà essere completato e firmato.

Sapere cosa fece l’Iran in passato è indispensabile alla verifica delle sue attività presenti e future. Ora invece si allenteranno pressioni e controlli senza avere prima un quadro completo della storia del programma nucleare iraniano e quindi un’idea più precisa di quanto avanzato fosse il suo aspetto militare.

Date queste premesse, non c’è da stupirsi se ora ogni Paese nel Medio Oriente che considera l’Iran come un rivale, una minaccia o entrambi, valuterà l’opzione nucleare, pretendendo di avere almeno quanto è stato ora accordato all’Iran. Ecco dunque la vera eredità dell’accordo nucleare con Teheran – una cascata di proliferazione nucleare in Medio Oriente che aumenterà, invece che diminuire, il rischio di conflitto nella regione.