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La via commerciale tra Cina e Turchia – e i suoi limiti

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Un rapporto inedito e strategico sta maturando tra la Cina e la Turchia, che potrebbe innescare profondi cambiamenti nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Il 2012 è stato proclamato “l’anno della Cina in Turchia” e il 2013 “l’anno della Turchia in Cina”.

“La Turchia è diventata uno dei paesi più interessanti nel mondo” ha dichiarato il vice presidente cinese, Xi Jinping, nel corso della sua visita ad Istanbul lo scorso febbraio. Le relazioni tra i due paesi  durano da oltre quarant’anni, ma si è aperta una fase nuova per queste economie accomunate da una forte espansione. Come ha dichiarato con soddisfazione Xi Jinping, “Hanno visitato la Turchia oltre cento delegazioni cinesi pronte ad investire e tra i due paesi sono stati sottoscritti accordi per un valore di oltre 4.3 miliardi di dollari”. Nei colloqui è stato toccato il punto cruciale relativo all’influenza dei due paesi in Asia centrale, ricordando il legame che per secoli li ha uniti lungo la Via della Seta. 

Se tradizionalmente le merci di scambio erano la seta e le spezie, ora l’interesse è focalizzato in buona misura sull’energia nucleare. Sebbene molti paesi stiano ripensando al nucleare, dopo la catastrofe giapponese di Fukushima, in controtendenza la Cina continua ad investire nella realizzazione di centrali e a proporsi come esportatore di tecnologia.

Per il governo turco, che progetta la costruzione di tre impianti nucleari entro il 2023, si presenta dunque un’interessante “opzione cinese”, I lavori del primo impianto, che inizieranno il prossimo anno nella provincia meridionale di Marsin, sono basati su un accordo sottoscritto con il governo russo, e prevede che i costi pari a 20 miliardi di dollari siano completamente a carico della Russia. “Se il secondo o terzo impianto” – fa sapere il vice primo ministro, Ali Babacan – “sarà commissionato ai cinesi, dipenderà dall’andamento dei negoziati in corso con i giapponesi e i coreani”. Pechino ha già dato la sua disponibilità a investire 20 miliardi di dollari, ma la sottoscrizione finale dell’accordo dovrebbe avvenire nel corso della visita in Cina del primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, prevista per il prossimo aprile. Un motivo di qualche preoccupazione regionale deriva dal fatto che la centrale nucleare sarà realizzata ad Igneada, nella parte settentrionale del paese nei pressi del confine turco-bulgaro: dunque, con possibili riflessi sul turismo lungo la costa del Mar Nero

La realizzazione delle infrastrutture è un altro punto che sta particolarmente a cuore alla Cina, che sembra disposta a finanziare il progetto del terzo ponte sul Bosforo. Considerati i costi di realizzazione quasi insostenibili (stimati in oltre 5 miliardi di dollari) è stato finora impossibile trovare investitori disposti ad affrontare la sfida. Il ponte, lungo 1,3 chilometri e utilizzato per decongestionare le principali strade di Istanbul dal traffico automobilistico e ferroviario, è parte integrante di un piano più ampio per la realizzazione di un’autostrada di 414 chilometri (la Kuzey Marmara Otoyol). In questo momento di crisi, gli investitori americani e giapponesi si sono tirati indietro mentre i cinesi sono interessati a offrire il sostegno economico necessario. Pechino non è nuovo a stanziare fondi per queste opere pubbliche in quanto si è già impegnata (pur restando da definire vari dettagli) a sostenere la costruzione e la modernizzazione di 4.500 chilometri di ferrovie, a realizzare un treno ad alta velocità che possa collegare Istanbul e Shanghai, a fornire treni urbani leggeri, fino ad inaugurare una linea metropolitana per i pellegrini islamici che visitano la Mecca. La Cina punta al settore dei trasporti anche per aumentare lo scambio commerciale a medio e lungo termine, guardando all’Europa e non soltanto alla Turchia e al Medio Oriente. Dal canto suo, la Turchia vuole rendere più efficiente il paese per perseguire l’obiettivo di essere nella top ten delle economie mondiali entro il 2023. 

Questo ambizioso percorso passa sia attraverso l’export, sia attraverso settori come l’edilizia e il turismo, entrambi in grande crescita. La Cina è attualmente il terzo partner commerciale della Turchia, con un volume di scambio bilaterale in costante crescita e l’obiettivo di raggiungere nel 2020 il traguardo dei 100 miliardi di dollari.

È chiaro che oltre alle considerazioni strettamente economiche vi sono obiettivi e implicazioni politiche nello sviluppo di rapporti bilaterali intensi e ad ampio raggio. Ankara e Pechino, entrambi

membri del G20, hanno alcuni interessi convergenti in materia di governance internazionale, di energia e di misure sui cambiamenti climatici. Nel guardare verso Est, la Turchia sta producendo effetti sugli assetti regionali in un’area fluida come l’Asia centrale, dove gli interessi cinesi incontrano soprattutto la presenza russa.

Lungo la strada intrapresa, sono due gli ostacoli principali che potrebbero danneggiare la cooperazione tra Pechino e Istanbul: lo Xinjiang e la Siria. La regione cinese orientale dello Xinjiang è abitata  dal popolo uiguro. Turcofoni e di origine islamica, gli uiguri vivono in una zona a cavallo tra l’Asia centrale e la Repubblica popolare cinese ma la loro identità culturale e religiosa male si integra con quella cinese. Oltre a vari episodi minori, nel 2009 una manifestazione, in cui gli uiguri chiedevano maggiore autonomia e il riconoscimento delle libertà fondamentali, sfociò in gravi scontri: il bilancio finale fu di ottocento morti e tremila feriti. In quel caso si registrò una dura reazione del premier turco Erdogan, che definì la repressione un vero e proprio genocidio.

Negli ultimi mesi, critiche del premier turco nei confronti della Cina sono arrivate in occasione del veto in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla risoluzione di condanna contro la Siria. È evidente che nell’esito della crisi siriana Ankara ha interessi diretti e primari, mentre Pechino è un attore esterno che può comunque determinare la tenuta del fronte delle sanzioni e influire sulle prospettive del regime di Assad.

In estrema sintesi, è ancora presto per dire se le parziali divergenze su alcune questioni diplomatiche e di sicurezza finiranno per intralciare l’intensificazione degli scambi economici: intanto si stanno ponendo le basi per un rapporto potenzialmente strategico.