international analysis and commentary

La Turchia e la democratizzazione del mondo arabo

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Le sollevazioni in corso nei paesi arabi hanno scatenato un intenso dibattito sulle effettive possibilità di democratizzazione della sponda sud del Mediterraneo. Uno dei punti salienti della discussione è rappresentato dalla proponibilità o meno di un modello o un punto di riferimento in questo processo. A questo proposito è naturale guardare all’esperienza della Turchia, caso quasi unico di paese a maggioranza musulmana che abbia conosciuto un’esperienza di democrazia rappresentativa quasi ininterrotta a partire dal secondo dopoguerra: un’idea del resto non nuova, che è stata proposta, con diverse declinazioni, anche da tutte le più recenti amministrazioni americane.

Le posizioni in proposito sono tuttavia molto discordi. Chi sostiene l’applicabilità di questo modello nel mondo arabo punta soprattutto sul fatto che oggi il paese della mezzaluna è riuscito ad acquisire, grazie al governo Erdoğan e al suo uso del soft power, un’autorevolezza finora sconosciuta nel mondo arabo. Si guarda allora alla sua capacità di contemperare laicità dello stato e presenza al potere di un partito islamico, alla sua politica estera filo-europea ma indipendente dall’Occidente, e al suo tasso di sviluppo economico che rappresenta un unicum nell’area mediterranea.

Chi invece non crede nella riproducibilità del modello turco mette in evidenza le molte differenze che intercorrono tra questo paese e il mondo arabo: di tipo etno-linguistico, ma anche storico-istituzionale. In particolare, si sottolinea il fatto che la Turchia è erede di un’esperienza imperiale ed è sempre stata un paese indipendente, laddove la maggior parte dei paesi arabi è emersa solo da pochi decenni da un lungo asservimento (prima allo stesso Impero ottomano, e in seguito alle potenze coloniali), per poi conoscere, quasi invariabilmente, esperienze politiche non democratiche. Alcuni mettono inoltre in discussione l’adeguatezza come modello di un paese che oscillerebbe costantemente, nella loro visione, tra il pericolo dell’islamizzazione e quello del pronunciamento militare.

È comunque utile analizzare quali siano gli elementi costitutivi e i passaggi storici che hanno caratterizzato il percorso di Ankara verso la democrazia e ne hanno configurato l’attuale assetto di poteri. Innanzitutto, la Turchia ha attraversato, a partire dalla proclamazione della Repubblica con Atatürk (ma secondo alcuni già con le riforme portate avanti nel tardo Impero ottomano) un processo di modernizzazione e occidentalizzazione unico in Medio Oriente. Questo processo, pur traumatico in quanto condotto dall’alto e in modo autoritario, ha determinato la nascita di una nazione con un forte senso dello stato e della sua laicità: due aspetti critici in molte aree mediorientali, dove lo stato-nazione è spesso messo in crisi sia da identità particolaristiche, sia da rivendicazioni di carattere religioso.

La costruzione dello stato da parte delle élites kemaliste ha comportato inoltre l’emergere di un altro fattore: una struttura istituzionale efficiente, dotata di tutti i pesi e contrappesi necessari per impedire a una qualsiasi fazione politica di sovvertire lo stato di diritto. Tale fattore appare cruciale se si ragiona sull’inserimento nelle dinamiche democratiche di forze, come i Fratelli musulmani in Egitto, della cui effettiva democraticità molti dubitano. Per quanto alcuni aspetti dell’architettura costituzionale turca possano essere criticabili in termini di trasparenza e di qualità della democrazia, è innegabile che istituzioni come il sindacato della Corte costituzionale, il diritto di veto presidenziale sulle leggi, e il controllo dell’esercito sulla politica tramite il Consiglio di sicurezza nazionale, abbiano limitato per decenni la possibilità che qualunque forza politica potesse sovvertire le istituzioni.

Un altro fattore decisivo per la riuscita della democratizzazione in Turchia è stato l’atteggiamento delle forze armate, che si sono sempre poste nel ruolo che il politologo Eric Nordlinger definisce dei “guardiani”, senza ambire a governare direttamente. Nonostante l’esercito turco si sia sempre percepito come il custode della nazione, a partire dal secondo dopoguerra ha tenuto fermo il principio della supremazia del governo civile. Anche quando ha scelto di operare attraverso colpi di stato o altri tipi di intervento in politica, non ha mai cercato di creare un governo militare (se non in modo transitorio), e ha promosso un ritorno alla democrazia rappresentativa.

Accanto ai fattori storico-istituzionali, un ruolo centrale per la democratizzazione è sempre giocato dallo sviluppo economico, anche in quanto esso produce una maggiore differenziazione sociale, che in genere si concretizza in un maggiore pluralismo politico. In Turchia questo fattore è stato determinante per l’evoluzione del movimento islamista, che dopo la nascita di una nuova borghesia e di un nuovo ceto imprenditoriale islamico a partire dagli anni Ottanta del Novecento, si è evoluto in senso moderato con la nascita dell’attuale partito di governo, l’AKP.

L’esempio turco ci mostra poi l’opportunità di un’evoluzione ideologica che superi attraverso sintesi originali sia l’antioccidentalismo islamista, sia i fallimenti delle tradizioni politiche di tipo nazionalista e socialista importate dall’Occidente nel Novecento. In Turchia questo passaggio è reso possibile dal cosiddetto neo-ottomanismo, che rappresenta una terza via tra il nazionalismo (condiviso dai kemalisti) e l’islamismo, proponendo la Turchia come erede naturale dell’Impero ottomano e come un ponte naturale tra diverse civiltà, con una cultura che può essere al tempo stesso europea e islamica. Un tipo di ideologia proposto oggi dall’AKP, ma già fatto proprio da Turgut Özal e del suo Partito della madrepatria, ascesi al potere dopo il golpe del 1980, che per la prima volta avevano mostrato come si potessero far coesistere la fede religiosa e il libero mercato, il filo-occidentalismo e una politica estera ambiziosa orientata anche verso oriente.

Infine, per lo sviluppo della democrazia turca come la conosciamo oggi, è stato determinante il ruolo della condizionalità democratica posta dall’UE, sotto il cui impulso è stato realizzato dal 2002 un vasto programma di riforme. Del resto, come abbiamo visto, l’influenza dell’Occidente risale alle radici stesse della democrazia turca, quando le élites del paese optarono per la democratizzazione contestualmente alla scelta dell’alleanza con il blocco occidentale, alla fine della seconda guerra mondiale.

In conclusione, la maggior parte degli elementi qui analizzati è rappresentata da processi di lunga durata difficilmente trapiantabili in quanto tali in un altro contesto e per i quali non sempre è possibile trovare scorciatoie. L’esempio turco può tuttavia giocare un ruolo molto importante: da un lato come punto di riferimento ideale, dall’altro come modello concreto per la costruzione di istituzioni politiche efficienti. Solo istituzioni di questo tipo permettono un’inclusione almeno parziale delle forze islamiche nelle dinamiche democratiche, spezzando il circolo vizioso di repressione di stato ed estremismo islamico che ha minato alla base le prospettive democratiche in molti paesi arabi.