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La Santa Sede e Mosca: perché Papa Francesco guarda a Est

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L’udienza concessa il 25 novembre scorso da Papa Francesco al presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, conferma e rende esplicita una delle direttrici di azione del nuovo pontificato che si stanno già delineando in questi primi mesi. Vale a dire un’attenzione significativa a Est, partendo dalla Russia fino all’Estremo Oriente, e una cura particolare nel dialogo con il mondo ortodosso.

L’udienza al presidente Putin registra tre elementi indubbiamente positivi per la  diplomazia della Santa Sede ma, allo stesso tempo, anche tre fattori di criticità. I tre elementi positivi sono: il proporsi della Santa Sede come soggetto protagonista nel contesto multipolare delle relazioni internazionali; l’asse con la Russia nella difesa dei cristiani nel mondo a partire dal Medio Oriente; la costruzione delle premesse per l’atteso incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca, Kirill. I tre fattori di criticità sono: la grave questione del rispetto dei diritti umani in Russia che pesa nel dialogo con la Santa Sede; l’eventuale reazione degli Stati Uniti a questa legittimazione forte della leadership di Putin da parte del Vaticano; l’irritazione delle Chiese ortodosse greche che continuano a veder crescere il ruolo internazionale del Patriarca Kirill anche nei rapporti con la Chiesa cattolica.

Proviamo ad esaminare questi sei punti. Cominciamo dal multipolarismo. Dopo il ruolo centrale giocato dalla diplomazia della Santa Sede fino alla morte di Wojtyla, nel corso del papato di Benedetto XVI si è registrato un significativo appannamento. Sono diverse le ragioni che spiegano questa perdita di incisività della diplomazia vaticana dal 2005. Tra i fattori decisivi ci sono senza dubbio le drammatiche difficoltà incontrate all’inizio del pontificato di Benedetto XVI nei rapporti con l’Islam dopo la crisi seguita al discorso di Ratisbona nel 2006, e il fatto che Ratzinger aveva scelto un Segretario di Stato senza esperienza diplomatica, il cardinale Tarcisio Bertone. Il collegio dei cardinali, nel corso dell’ultimo conclave, ha dato mandato al nuovo pontefice di impegnarsi a ridare smalto e incisività all’azione internazionale vaticana. Per questa ragione Bergoglio ha scelto come nuovo Segretario di Stato monsignor Pietro Parolin, già sottosegretario per i rapporti con gli Stati, che può vantare una solida e apprezzata esperienza diplomatica. Il progetto è quello di ricalcare le orme della più prestigiosa storia delle relazioni internazionali della Santa Sede in una prospettiva multipolare.

Come ha riconosciuto lo stesso Parolin nelle prime interviste, si tratta di un obiettivo più ambizioso e complesso rispetto al passato quando il mondo era diviso in due o tutt’al più tre blocchi contrapposti (Est, Ovest e movimento dei Paesi non allineati). Questa complessità si riflette nella lettera che il Papa ha inviato al presidente Putin già il 4 settembre 2013 in occasione del Vertice del G20 a San Pietroburgo. In quella lettera, volta anzitutto a scongiurare un possibile intervento armato in Siria guidato dagli Stati Uniti, il pontefice elencava l’agenda dei principali temi da affrontare in seno alla comunità internazionale: la riforma della finanza internazionale, uno sviluppo economico equo per tutti, la pace e la difesa dei diritti umani, la giustizia. In tale prospettiva, la Russia risulta essere un partner naturale del Vaticano, proprio peché caratterizza la sua azione diplomatica in prospettiva multipolare (seppure in chiave spesso antiamericana, a differenza del Vaticano).

Il secondo elemento positivo dell’incontro di Bergoglio con Putin risiede nel comune impegno a difendere i cristiani minacciati, soprattutto in Medio Oriente. Due vescovi siriani e un sacerdote cattolico italiano (padre Paolo Dall’Oglio) sono stati rapiti in Siria; la Russia ha messo a disposizione la sua intelligence per ritrovarli e sta seguendo le trattative con i rapitori. E proprio da Mosca sono giunti alcuni tra gli appelli più forti e decisi in seno alla comunità internazionale per la protezione dei cristiani, non solo in Medio Oriente dove la Russia è molto attiva e presente, ma anche in Pakistan e in Nigeria. Due Paesi che vedono Putin meno coinvolto direttamente ma che il presidente ha richiamato più volte come luoghi dove i cristiani sono in pericolo e perciò hanno bisogno di essere più efficacemente protetti.

Il terzo elemento positivo va infine nella direzione di costruire i presupposti per un’incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca Kirill, per cancellare secoli di diffidenze e paure reciproche. L’incontro di Bergoglio prima con il metropolita Hilarion, che segue le “relazioni esterne” del patriarcato di Mosca, e poi con il presidente Putin, va in questa direzione. E’ ancora presto per prevedere i tempi dell’incontro tra Francesco e Kirill, E per la Santa Sede è più semplice compiere questo passo mentre per la Chiesa russa la situazione è più delicata. Il patriarca Kirill si appresterà a farlo quando sarà certo di poter controllare e attutire i contraccolpi all’interno della Chiesa di Mosca da parte di coloro che ancora si oppongono al dialogo con la Chiesa cattolica.

I fattori di criticità che pesano nei rapporti con la Russia riguardano invece anzitutto il problema del rispetto dei diritti umani. Per la Santa Sede questo rappresenta un capitolo irrinunciabile che non attiene solo alla sfera della libertà religiosa ma riguarda altresì il versante della difesa delle minoranze, la libertà di espressione, il divieto di ricorrere a forme di tortura e il dovere di rispettare la dignità dei detenuti. Temi dei quali non si è fatto cenno nel comunicato finale dell’incontro tra Francesco e Putin ma che certamente sono stati toccati dal pontefice nel corso del colloquio. Un secondo problema è che proprio un dialogo così intenso del Papa con Putin rischia di irritare il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che fino ad oggi è stato tenuto ad una certa distanza del nuovo pontefice. Pesano le scelte del presidente democratico sul fronte della riforma sanitaria che il Vaticano e i vescovi americani hanno contrastato. Senza dimenticare la decisione, dal forte valore simbolico, di chiudere la storica sede dell’ambasciata Usa presso il Circo Massimo a Roma per trasferirla accanto all’ambasciata americana presso l’Italia. Insomma il feeling tra Bergoglio e Putin, che si fanno fotografare mentre baciano entrambi l’icona della Madonna di Vladimir donata dal presidente russo al Papa, contrasta con la freddezza nei rapporti tra Stati Uniti e Santa Sede. Così come non è da sottovalutare la preoccupazione di Israele per un avvicinamento troppo stretto tra la prima e la terza Roma (il Vaticano e Mosca).

Un problema analogo si presenta nei confronti del mondo ortodosso greco, in particolare del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo con il quale Francesco dovrebbe incontrarsi nel maggio prossimo, se riuscirà ad andare a Gerusalemme, per ripetere lo storico abbraccio tra Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora mezzo secolo fa, nel 1964. Kirill rappresenta un ricco e temibile concorrente per Bartolomeo in seno all’ortodossia. Il Patriarca di Mosca di fatto contende la leadership del mondo ortodosso al Patriarca ecumenico di Costantinopoli; per Bergoglio questo è un motivo in più per essere prudente nelle aperture verso Mosca.

Si tratta dunque di una partita diplomatica e religiosa estremamente complessa che Papa Francesco giocherà nei prossimi mesi. In palio c’è una ridefinizione dei rapporti di forza nell’universo cristiano.