L’estrema destra in Francia ha trovato il suo nuovo leader. I delegati del Fronte Nazionale riuniti in congresso a Tours hanno votato a larghissima maggioranza (il 67,7%) per Marine Le Pen, la figlia del presidente e fondatore del partito, l’ottantaduenne Jean-Marie Le Pen.
Quarantenne, due divorzi, due figli e molta determinazione, Marine Le Pen si è battuta come una virago contro il suo rivale, l’europarlamentare Bruno Gollnisch, e ha finito per avere la meglio. Nel suo discorso di intronizzazione ha lanciato subito un appello all’unità, “non ci sono né marinisti, né gollnischiens”, ha detto, ma solo “militanti del Fronte Nazionale”. Si è così proposta come potenziale candidata alle presidenziali, previste nella primavera del 2012. Il presidente in carica, Nicolas Sarkozy, avrà dunque filo da torcere per veder riconfermare il consenso dei francesi nei suoi confronti come capo dello stato.
Marine Le Pen, del resto, non ha mai nascosto le sue ambizioni di potere. Per anni, sin da quando era la semplice delfina naturale del fondatore, ha cercato di smarcarsi dalla figura paterna e dalla legittimazione “dinastica”, che in un paese come la Francia, di forti tradizioni giacobine e rivoluzionarie, non è mai stato un atout – anzi.
Degna figlia del fondatore del FN, dotata di carisma, forte intuito e personalità politica decisa, Marine Le Pen si è accreditata come voce nuova e moderata, espressione di un nazionalismo repubblicano, che ha nella laicità la sua stella polare contro la deriva dell’islamizzazione favorita dal multiculturalismo e dalla cultura della tolleranza. Punto di riferimento dei francesi che “costretti a trovare un compromesso con modi di vita e comportamenti che li urtano, si rassegnano talvolta a un’assimilazione al contrario”, Marine ha teso la mano perfino all’elettorato popolare di sinistra, deluso dai socialisti e dal loro progressismo venato di astrazioni e velleità. Ha cercato, in questo senso, di imitare la strategia dell’apertura a sinistra perseguita da Sarkozy come candidato all’Eliseo nella campagna del 2007. “La patria è l’unico bene dei poveri”, ha dichiarato la Le Pen, citando anche lei, proprio come fece il candidato Sarkozy nel 2007, una famosa frase del socialista Jean Jaurès. E ha insistito sulla dimensione statalista e amministrativa della repubblica francese, in chiave anticrisi e come argine alla mondializzazione, “nuova ideologia totalitaria”, e alle sue conseguenze in termini di dissoluzione sociale. “Lo Stato è diventato la colonna vertebrale della Francia che noi amiamo”, ha spiegato ancora Marine, che guarda con favore a una politica dissuasiva dell’immigrazione, e a un codice di nazionalità per abolire lo ius soli. Sogna anche l’uscita dall’euro e il ritorno al patriottismo economico, con dazi doganali per finanziare le pensioni e contrastare la concorrenza sleale dell’import di prodotti cinesi.
L’estrema destra di oggi è cresciuta negli ultimi trent’anni grazie al cinismo del presidente socialista François Mitterrand, il quale se ne è servito come di uno strumento per rompere il fronte della destra liberale, e poi grazie all’indifferenza degli stessi eredi di Mitterrand, che nel 2002 hanno visto soccombere il loro candidato all’Eliseo di fronte al successo elettorale di Jean-Marie Le Pen (il quale, con il 17% dei voti, finì a sorpresa in ballottaggio contro il candidato della destra Jacques Chirac). Da allora, quello choc ha alimentato le strategie tanto della destra liberale quanto della sinistra riformista. Ma a otto anni di distanza è la forza delle generazioni, più che la forza delle idee, a cambiare i giochi. Marine Le Pen si appresta infatti a rifondare l’estrema destra per farne “un grande partito repubblicano”. “La democrazia non ci fa paura”, ha dichiarato salutando la vittoria di Tours. Ha capito che l’unico modo per affermarsi è di puntare al centro, inseguendo i voti dei moderati delusi dal sarkozysmo e dell’elettorato di sinistra deluso dai socialisti. Il rischio, naturalmente, è quello di perdere l’elettorato più tradizionalista formato di nostalgici e ultraconservatori e sconcertato dalla dédiabolisation messa in atto dalla figlia del fondatore. Non per niente, l’eurodeputato Gollnisch ha declinato la vicepresidenza dopo che il vicepresidente del partito, Roger Holeindre (figura storica del Fronte Nazionale, con un passato nella Francia collaborazionista di Vichy) ha subito rassegnato le dimissioni in coincidenza con la vittoria della Le Pen. È il segno di un cambiamento forte che i francesi sembrano apprezzare: un sondaggio dell’istituto CSA elaborato nel fine settimana registra fino al 18% delle intenzioni di voto in suo favore, al primo turno delle presidenziali, nel caso in cui per i socialisti il candidato fosse Dominique Strauss-Kahn. Il risultato sarebbe così superiore a quello conseguito dal padre di Marine nel 2002: è l’ulteriore conferma del rischio potenziale che il nuovo leader del FN rappresenta per il centro-destra moderato.