international analysis and commentary

La gang dei 50 e la Costituzione egiziana

737

Tra pochi giorni potremo leggere il primo testo della nuova costituzione egiziana. Questa almeno è la previsione di Amr Moussa, il presidente dell’Assemblea Costituente. Per mostrare i progressi della nuova transizione Moussa indica il tachimetro che registra l’andatura di marcia. La velocità è alta, forse perfino troppo per garantire che tutte le forze politiche, quelle che per due anni e mezzo non sono riuscite a trovare una ricetta che le includesse tutte, riescano a partecipare alla maratona costituzionale.

I 50 costituenti stanno lavorando dall’8 settembre sul testo ricevuto dalla commissione dei dieci tecnici – sei giudici e quattro professori di diritto costituzionale. Questa ha avuto un mese di tempo per proporre emendamenti alla Carta del 2012. All’assemblea sono stai concessi due mesi di tempo per terminare i lavori e presentare ai cittadini un testo da approvare attraverso referendum.

Tutti i membri della costituente sono stati scelti dal presidente ad interim Adly Mansour, a sua volta nominato dall’esercito dopo la deposizione del presidente Mohamed Morsi il 3 luglio scorso. L’assemblea è sì uno spaccato trasversale del popolo egiziano, ma la sua composizione non è certo rappresentativa dell’intera società.

Le ultime elezioni parlamentari hanno consegnato due terzi del parlamento alle forze islamiste, ma a partecipare ai lavori della Costituente è solo un rappresentante (su 50 totali, come detto) di questo blocco sociale. Peraltro, proviene dalle fila del partito salafita, su posizioni islamiste più conservatrici dei Fratelli musulmani. Questi ultimi sono invece rimasti fuori dai giochi.

La squadra è composta da rappresentanti di unioni di lavoratori e sindacati, varie figure pubbliche, uomini provenienti dalla sfera politica, membri di consigli nazionali e organizzazioni a sostegno dei diritti umani. Tra questi troviamo tra l’altro cinque donne, quattro cristiani, tre clerici di Al-Ahzar (massima istituzione dell’islam sunnita) un rappresentate dell’esercito e uno della polizia.

Prima ancora di mettersi al lavoro, i 50 costituenti hanno dovuto chiarire la loro missione. Il decreto costituzionale rilasciato da Mansour l’8 luglio sembrava affidare loro il compito di rivedere gli emendamenti proposti dai dieci tecnici. Ma ai costituenti l’idea di avere in mano solo una gomma per cancellare non è piaciuta e nel regolamento di lavoro hanno chiarito che il testo dei dieci tecnici sarebbe servito solo come base di lavoro. Impugnando la penna, l’Assemblea Costituente – divisa in quattro commissioni – ha quindi trasformato il processo di revisione costituzionale nella stesura di una nuova Carta.

Questo passaggio rende premature considerazioni troppo approfondite, ma un’analisi del testo siglato dai dieci tecnici il 20 agosto permette di individuare non solo gli aspetti più ostici sui quali si concentra il dibattito costituzionale, ma anche punti di continuità e di frattura rispetto al testo del 2012.

Come al solito, in testa alla lista degli articoli più discussi c’è l’Art. 2, quello che contiene il richiamo alla shari’a, la legge islamica. Questo dovrebbe rimanere invariato rispetto al testo del 2012 che definisce i “principi della shari’a” fonte principale della legislazione.

A cambiare dovrebbero essere però gli articoli che rendono operativi tali principi. È stato proposto infatti di eliminare il richiamo -presente nell’Art. 4 del testo del 2012- ad Al-Ahzar come istituzione da consultare per individuare questi principi. Rimosso poi l’Art. 219 che confinava la giurisprudenza islamica a quella sunnita.  

I tecnici hanno proposto di reinserire il divieto della creazione di partiti religiosi, aggiungendo che le formazioni politiche non possono “minare l’ordine pubblico”; ed è ben noto che, in passato, la vaghezza di questi termini si è prestata a numerosi abusi. A sparire dal nuovo testo sembra essere anche quell’Art. 232 che aveva previsto il divieto per la leadership del partito nazional democratico di Hosni Mubarak di partecipare alle elezioni per dieci anni.  

In termini di diritti delle donne, l’attuale testo è in linea con quello del 2012 che non era stato particolarmente generoso nei confronti delle egiziane. Oltre a vaghi riferimenti alla morale, ai valori della famiglia tradizionale e agli obblighi delle donne nei confronti di famiglia e società, l’uguaglianza di genere viene affermata, ma nel quadro del rispetto della shari’a.

Per quanto riguarda la libertà di espressione, associazione, sciopero, il quadro sembra invariato: tutto è permesso nel limite delle leggi specifiche. Tra queste vi è quella sulle manifestazioni, la cui bozza di riforma ha però allarmato le organizzazioni a difesa dei diritti umani. La liberà di stampa è garantita, purché non minacci la sicurezza nazionale.

Anche sulle relazioni civili-militari la commissione di tecnici si è allineata sul testo del 2012, già generoso nei confronti dei militari. Una novità – ad essi ancor più favorevole – sembra arrivare dall’Art.171 che prevede che il ministro della Difesa, scelto tra i generali, debba essere approvato dal Consiglio supremo delle Forze armate. Nulla da fare per quanti si battono per l’eliminazione della legge marziale applicata ai civili:  i tribunali militari restano in piedi, anche se si potrà ricorso ad essi solo a seguito di un diretto assalto alle forze armate e non, come prevedeva il testo precedente, in caso di crimini che nuocciono l’esercito.

In vista ci sono poi significativi cambiamenti istituzionali. La Shura, camera alta del parlamento, dovrebbe essere eliminata, i poteri del presidente diminuiti e quelli del parlamento aumentati. L’Egitto potrebbe quindi trasformarsi in una repubblica semi-presidenziale.

Oltre ad essere assente ogni richiamo a una genuina decentralizzazione, la bozza rende vane le speranze di quanti, dopo la rivoluzione del 2011, speravano di vedere un balzo in avanti dell’Egitto soprattutto in termini di libertà civili, ruolo delle donne, e ridimensionamento dei militari.

Perché questo processo costituzionale porti progressi, insomma, non sarà per merito degli attuali costituenti. Bisognerà semmai sperare in un parziale cambiamento di rotta nel dibattito costituzionale (a questo punto improbabile) oppure in un ulteriore passaggio di revisione della Carta fondamentale in tempi certo non immediati.