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La fortuna aiuta: il fattore Mogherini sul nucleare iraniano

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La fortuna aiuta, anche in politica estera. E si potrebbe dire che a Federica Mogherini il fattore F, fortuna, non manca di certo: la sua immagine alla conferenza stampa di Losanna, assieme al Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, resterà negli annali della storia diplomatica. Comunque vada a finire la delicatissima vicenda dei rapporti fra Iran e Stati Uniti – dopo una frattura di decenni, il cui inizio risale al 1979 – l’accordo-quadro di Losanna è una tappa essenziale del dossier nucleare.

La fortuna aiuta ma non basta. Nell’ultima fase dei negoziati, Federica Mogherini ha saputo presiedere la discussione fra le parti: assieme al fattore F conta quindi il fattore M, il metodo di chi si trova a gestire un tavolo negoziale. Le fonti diplomatiche sono su questo punto concordi: dopo alcuni errori iniziali su altri dossier, l’Alto Rappresentante italiana ha condotto molto bene questa fase della partita iraniana. Una partita dominata da Stati Uniti ed Iran ma che aveva bisogno, anche solo per essere giocata, della presenza di altri attori, a cominciare appunto dall’UE. E qui entra in gioco un terzo fattore: il fattore  O, l’occasione che l’accordo-quadro sul dossier nucleare iraniano offre all’Alto Rappresentante.  L’occasione per passare dalla fortuna alla scelta, dal metodo alla strategia, smentendo la secolare impressione (largamente fondata purtroppo) che la politica estera europea semplicemente non esista.

Guardiamo meglio. I prossimi mesi sono essenziali perché l’accordo-quadro sul nucleare iraniano diventi un accordo finale: l’amministrazione Obama, duramente contestata all’interno, si dedicherà solo a questo. È sbagliato pensare che l’accordo nucleare possa di per sé produrre in tempi rapidi anche un riavvicinamento politico complessivo fra Washington e Teheran. La ragione è molto semplice: l’America non è nelle condizioni politiche (e non lo è l’Iran) per andare oltre un accordo nucleare che va peraltro – per non fallire a giugno – consolidato e completato.  Il Presidente americano ha il problema opposto: proprio perché vuole raggiungere un accordo finale con Teheran, deve anzitutto rassicurare e garantire i suoi alleati tradizionali nella regione (da Israele all’Arabia Saudita, alleati di fatto anche fra loro). Per motivi diversi, non ha intenzione di ritagliarsi un ruolo rilevante la Russia, che teme il ritorno dell’Iran nel grande gioco energetico globale. Per Mosca, la trattativa senza accordo con Teheran era e resta la condizione ideale. Manterrà un basso profilo anche la Cina, per cui la politica estera – al di fuori della sfera di influenza rivendicata in Asia – è ancora soprattutto politica economica e commerciale. Guardando al formato negoziale di Losanna, esiste insomma uno spazio potenziale per l’Unione Europea: lo spazio, tacitamente ma necessariamente concordato con Washington, per un dialogo più complessivo sugli equilibri regionali.

Attenzione però: per potere esercitare un ruolo di convening power – di un attore in grado di mettere a confronto parti in conflitto e che direttamente non si parlerebbero – l’Unione Europea non può e non deve sbilanciarsi verso la potenza sciita. Sia perché la fine delle guerre distruttive per procura in Libano, Siria, Iraq, Yemen richiedono piuttosto una sorta di balance of power regionale fra le potenze di riferimento del mondo sciita e sunnita, con un’intesa pragmatica contro i Califfati e le loro propaggini. Sia perché la sicurezza di Israele dovrà restare, per l’Europa e per gli europei, un punto di riferimento essenziale della politica mediorientale. E un conto è pensare che l’accordo sul nucleare iraniano sia la soluzione “meno peggio delle alternative ” anche per la sicurezza di Israele; un conto è pensare che proprio Netanyahu riuscirà alla fine ad accettarlo (per la nota legge secondo cui solo i “falchi” riescono a vendere accordi con i nemici); un conto è guardare a Teheran facendo passare in secondo piano Gerusalemme.

Anche sul fronte del rapporto Israele/Palestinesi – oggi secondario ma a cui Federica Mogherini è intenzionata a guardare – l’approccio negoziale è interamente da ripensare, dopo il fallimento delle mediazioni americane ed europee. La storia ha dimostrato che non funzionano né gli sforzi bilaterali di Washington (da ultimo, la shuttle diplomacy tentata da John Kerry) né le pretese del “quartetto” (USA,UE,ONU,Russia) affidate a un personaggio controverso come Tony Blair.

Un tentativo da compiere –  con il nuovo inviato speciale dell’UE, Fernando Gentilini – è di allargare il quadro agli attori regionali, a cominciare dall’Egitto, dalla Giordania e dall’Arabia Saudita.  Approccio bilanciato all’Iran, da una parte; carta regionale sunnita dall’altra. Difficile dire se possa davvero emergere, dal grande e sanguinoso disordine del Medio Oriente allargato, una sorta di guerra fredda, un qualche tipo di nuovo bilanciamento. Ma mentre la crisi siriana continua e saltano i vecchi confini dell’inizio del secolo scorso; mentre lo scontro fra mondo sciita e sunnita incendia la regione; mentre una parte del Nord Africa e dei Paesi del Golfo è alle prese con drammatiche transizioni, l’Europa non ha certo a disposizione l’opzione forse preferita da Washington: quella di un sostanziale ripiegamento.

La fine definitiva della Pax Americana post-Suez impone all’Europa di considerare il fronte Sud una vera – e quanto mai urgente – priorità comune. Dopo Losanna, Federica Mogherini ha un’occasione: prima di tutto per convincere di questo i principali Paesi europei.