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La Banca asiatica a guida cinese e i rapporti transatlantici

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La Gran Bretagna ha annunciato, il 12 marzo, la propria partecipazione all’Asian Infrastructure Investment Bank, promossa e guidata dalla Cina. Il 17 marzo anche Francia, Italia e Germania hanno annunciato la loro volontà di partecipare come soci fondatori della AIIB. Più recentemente anche Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Finlandia e Spagna hanno dichiarato la loro intenzione di aderire.

Il successo dell’iniziativa cinese e la partecipazione delle quattro maggiori economie europee sono segnali importanti  per comprendere  l’attuale evoluzione dell’ordine economico globale, per una serie di motivi.

In primo luogo, il successo della AIIB dimostra come l’ordine economico e finanziario internazionale, basato sulla centralità americana e sulle istituzioni di Bretton Woods, sia sempre più percepito come inadeguato e inefficiente – soprattutto, ma non solo, tra le economie emergenti in Asia. La necessità di riformare FMI e Banca Mondiale è stata sottolineata anche dai vertici stessi delle due istituzioni. La Direttrice del Fondo, Christine Lagarde, ha più volte evidenziato la necessità di una riforma delle istituzioni economiche internazionali, e del Fondo Monetario in particolare, che riconosca i nuovi equilibri economici globali. Ad oggi tutti i tentativi di riforma sono però rimasti lettera morta, soprattutto a causa dell’opposizione del Congresso degli Stati Uniti. Lagarde ha accolto con favore la creazione delle AIIB, considerata proprio una conseguenza della mancata riforma del Fondo Monetario e della Banca Mondiale. In modo del tutto simile, il Presidente della Banca Mondiale Kim Yong Kim ha accolto la creazione e il successo della AIIB, sostenendo che la nuova istituzione sarà complementare alla World Bank nella lotta alla povertà e al sottosviluppo.

La seconda novità fondamentale è la volontà dei maggiori Stati europei di entrare a far parte di un’istituzione internazionale esplicitamente a guida cinese. Questo punto rappresenta un cambiamento epocale. Per la prima volta i maggiori partner europei hanno riconosciuto e legittimato il ruolo di Pechino nella promozione di un’istituzione economica internazionale.

Il terzo aspetto rilevante, connesso al precedente, è il fallimento del veto americano (non proprio esplicito, ma certamente ben soppesato dai governi europei). Londra, Parigi, Berlino e Roma hanno ignorato le richieste provenienti da Washington di astenersi dal partecipare all’iniziativa cinese. In particolare l’adesione britannica ha dato vita ad una serie di dichiarazioni particolarmente polemiche: il Cancelliere dello scacchiere George Osborne ha parlato di consultazione con gli Stati Uniti mentre, secondo quanto riportato dal Financial Times, un rappresentante dell’amministrazione Obama avrebbe negato che ci siano state consultazioni formali in proposito. Fonti americane (riportate ad esempio dal Financial Times) hanno addirittura definito l’approccio britannico “un costante accomodamento verso la Cina”, sottolineando come questo non sia il modo giusto di affrontare una potenza in ascesa.  Al di là delle schermaglie diplomatiche, è importante capire perché per i quattro maggiori Stati europei considerino nel loro interesse partecipare alla AIIB anche a costo di creare qualche problema ai loro rapporti con gli Stati Uniti.

La vocazione finanziaria ha da sempre avuto un ruolo fondamentale per la Gran Bretagna. Per Londra l’adesione alla AIIB significa proseguire con il progetto di fare della city la piattaforma principale per il processo di internazionalizzazione del renminbi. La moneta cinese, nelle intenzioni del governo di Pechino, dovrebbe diventare valuta di scambio e di riserva a livello internazionale, affiancando il dollaro. La city sta progressivamente diventando lo snodo dove vengono scambiati gli asset denominati in renminbi fuori dal territorio cinese. La Gran Bretagna, inoltre, è il Paese europeo che riceve più investimenti dalla Cina. In quest’ottica, la partecipazione alla AIIB è considerata un’opportunità di rafforzare la cooperazione bilaterale e aprire ancora di più le porte ai capitali cinesi.

La Germania, da parte sua, considera la partecipazione alla AIIB fondamentale per ribadire il proprio ruolo di guida a livello europeo nei rapporti con la Cina, incentrato sulle manifatture.  Berlino intende consolidare la propria posizione di primo partner commerciale europeo: più della metà dell’export europeo in Cina è, infatti, prodotto in Germania.

Anche la Francia mira a costruire una relazione speciale con Pechino. Oltre all’interesse immediato legato alle possibili commesse associate alla partecipazione alla AIIB, il governo francese vuole consolidare e ampliare le aree di cooperazione bilaterale con la Cina. Tra queste spiccano il dialogo bilaterale sulla sicurezza e lo sviluppo in Africa, l’ingresso della Francia tra i RQFII (Renminbi Qualified Foreign Institutional Investors, cioè i Paesi che possono ospitare un mercato off-shore di prodotti finanziari denominati nella moneta cinese), e la cooperazione in settori strategicamente sensibili quali nucleare civile e aviazione civile.[1]

Anche l’adesione italiana appare decisamente orientata a perseguire importanti interessi commerciali. Secondo il Sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova, la AIIB è per l’Italia prima di tutto “mirata a favorire il processo di internazionalizzazione delle nostre imprese nell’Asia Pacifico”.[2]

La volontà di perseguire questi interessi e partecipare alla AIIB nonostante la contrarietà americana è stata percepita come una sconfitta diplomatica per l’amministrazione Obama. Larry Summers, ex consigliere economico di Obama e Segretario al Tesoro di Clinton, ha addirittura definito la partecipazione degli Stati europei alla AIIB come la fine dell’egemonia economica americana. Le conclusioni di Summers appaiono eccessivamente allarmistiche. In primo luogo perché la AIIB non sostituirà né le istituzioni di Bretton Woods né la Asian Development Bank (guidata dal Giappone, cioè il maggiore alleato asiatico degli Stati Uniti). Rappresenterà piuttosto uno strumento complementare per offrire all’Asia capitali per colmare l’attuale gap infrastrutturale.

Al contrario, la partecipazione di Stati europei potrebbe rappresentare una buona notizia in chiave di equilibri globali. La presenza dei principali Paesi europei potrebbe infatti contribuire a diluire l’egemonia cinese nella nuova banca e favorire l’adozione di standard più elevanti in tema di trasparenza, governance e gestione di progetti e fondi.

Le conseguenze di questa vicenda per i rapporti transatlantici non sono tuttavia da sottovalutare. L’adesione alla AIIB ha messo in evidenza come i principali alleati europei non siano pronti a sacrificare i propri interessi economici in nome della fedeltà atlantica.

L’altra conseguenza di medio e lungo periodo che emerge da questa vicenda è l’assetto dei rapporti UE-Cina. La crisi ha dato vita ad una corsa al miglioramento dei rapporti bilaterali con Pechino, nella quale i singoli Stati hanno cercato sia di aumentare la quota di investimenti cinesi in entrata sia la presenza di imprese nazionali nel mercato cinese. La mancanza di coordinamento a livello europeo ha reso la posizione dei singoli Stati più debole nei confronti di Pechino, creando ulteriori fattori di irritazione nei rapporti trans-atlantici. È un problema ben noto, sul quale sarà necessario ora riflettere anche alla luce del graduale spostamento degli equilibri economici mondiali.

[1] Plan de coopération à moyen et long terme des relations franco-chinoises
http://www.ambafrance-cn.org/Plan-de-cooperation-a-moyen-et-long-terme-des-relations-franco-chinoises

[2] Agi China, 9 aprile 2015, “Della Vedova, Italia In Aiib: Asean Mercato Strategico”. http://www.agichina24.it/in-primo-piano/politica-internazionale/notizie/della-vedova-italia-in-aiib-asean-mercato-strategico