Nelle ultime settimane, vari segnali lanciati da Teheran e Riyad hanno alimentato le ipotesi su una potenziale distensione tra i due paesi: l’obiettivo sarebbe contrastare la minaccia presentata dallo Stato Islamico (IS), il gruppo radicale sunnita che dal giugno scorso ha fortemente destabilizzato l’Iraq e la regione circostante.
A seguito della caduta di Mosul all’inizio di giugno e del consolidamento di IS in Iraq ed in Siria, il governo iraniano ha intrapreso una serie di iniziative volte a creare un rapporto strategico bilaterale con l’Arabia Saudita. Il 17 agosto, Teheran ha inviato un nuovo ambasciatore a Riyad, rimpiazzando il diplomatico in carica con Hossein Sadeghi: è un personaggio molto noto ed apprezzato dai sauditi, dato il suo precedente mandato come ambasciatore durante la presidenza (relativamente riformista) di Mohammad Khatami, tra il 1997 ed 2005. Il 26 agosto, l’assistente del ministero degli Esteri Hussein Amir Abdul Lahian ha visitato l’Arabia Saudita, per discutere, tra le altre cose, la posizione delle due parti sulla formazione del nuovo governo iracheno all’indomani dell’uscita di scena del primo ministro Nouri al-Maliki, che era stato precedentemente sostenuto da Teheran. A inizio settembre, il viceministro degli Esteri (con delega per gli affari dell’Africa e dei paesi arabi), Hossein mir Abdollahian, ha fatto visita a Riyad al Principe Saud al Faisal, ministro degli Esteri saudita: si tratta dell’incontro di più alto rango tenutosi tra i due paesi dall’inizio del mandato di Hassan Rouhani nell’agosto 2013. In base a quanto sostenuto da Abdollahian, l’incontro si è tenuto in un clima molto “positivo e costruttivo” ed ha avuto come tematica centrale “questioni di comune interesse”, ovvero la situazione in Iraq e possibili strumenti per combattere l’estremismo ed il terrorismo nella regione.
Il Principe Saud ha esteso l’invito a visitare Riyad alla sua controparte iraniana, Mohammad Javad Zarif, che si è a sua volta detto pronto a ricevere il rappresentante saudita nella capitale iraniana. Il 31 agosto, in una conferenza stampa, Zarif ha affermato che l’“Iran è sempre intenzionato a stabilire buone relazioni con i paesi vicini e l’Arabia Saudita è il più importante di questi stati, data la sua rilevanza per il mondo islamico e la sua influenza”. Zarif ed il Principe Saud si sono incontrati per la prima volta a margine dell’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e hanno dichiarato che l’incontro costituisce la prima pagina di un nuovo capitolo nelle relazioni tra i due paesi, finalizzato a ripristinare la pace e la sicurezza nella regione.
Il presidente Rouhani aveva già tentato di dare una svolta alle relazioni con l’Arabia Saudita nel giugno 2013, durante la sua campagna elettorale: promuovendo un programma di politica estera volto al miglioramento dei rapporti con la comunità internazionale e con i paesi della regione, aveva sottolineato la necessità di dialogare con i sauditi. Nonostante l’ostilità reciproca degli ultimi anni, il Re Abdullah ha recepito in maniera positiva il messaggio di Rouhani, almeno formalmente, estendendo le sue congratulazioni al nuovo presidente iraniano. Tuttavia, di fatto i rapporti tra Iran ed Arabia Saudita non sono cambiati. Mentre Rouhani ed il suo gabinetto sono riusciti ad intensificare le relazioni con gli altri quattro paesi del Golfo, con numerose visite in Oman, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar, lo stesso non si può dire per l’Arabia Saudita (e per il Bahrein, strettamente allineato con Riyad).
L’astio della Repubblica islamica nei confronti della monarchia saudita è endemico sin dai tempi della rivoluzione del 1979, in seguito alla quale Teheran identificò Riyad come un’alleata del Grande Satana, gli Stati Uniti. Il maggiore paese arabo della regione è stato anche visto come il bastione dell’Islam sunnita e di conseguenza come un rivale naturale. Con la morte dell’Ayatollah Khomeini nel 1989, le relazioni diplomatiche sono leggermente migliorate, dando modo alle varie amministrazioni che si sono succedute di avere un limitato margine di manovra nel determinare il loro approccio nei confronti dell’Arabia Saudita. Il periodo tra il 1997 ed il 2003, durante il governo riformista di Khatami, ha costituito l’apice del tentativo di riappacificazione tra i due paesi. Le buone relazioni personali tra il presidente iraniano e l’attuale re saudita, e una graduale convergenza su alcuni elementi degli assetti di sicurezza della regione hanno portato ad uno storico accordo siglato nel 2001 per la cooperazione contro il terrorismo, il contrabbando di droga ed il riciclaggio di denaro. Al contrario, gli otto anni di governo Ahmadinejad hanno rappresentato il periodo più dannoso e caratterizzato da maggiore sfiducia ed ostilità tra Teheran e Riyad. Questo soprattutto dal 2011, quando lo scoppio della crisi siriana ha portando l’Iran a sostenere il presidente Bashar al-Assad, e l’Arabia Saudita a supportare i gruppi ribelli, alimentando la rivalità tra i due paesi e portandoli ad un conflitto indiretto tramite una guerra per procura nella regione.
Nonostante la minaccia presentata da IS abbia parzialmente riavvicinato Teheran e Riyad al momento e pur considerando che tale minaccia sembra costituire la priorità per entrambe, date le dinamiche regionali e la lunga rivalità, sembra pertanto difficile ipotizzare una cooperazione di lungo termine e di ampia natura tra le due capitali. Nonostante il temporaneo attenuamento del conflitto per procura tra Iran ed Arabia Saudita nei paesi della regione, i due si trovano su fronti opposti non solo in Siria, ma anche in Libano, Yemen e Bahrein, dove il conflitto ha natura settaria e si basa su interessi strategici fondamentali per entrambi i paesi ai fini del mantenimento di una posizione di potere nella regione. Inoltre, risulterà difficile per Rouhani creare un consenso interno nella leadership iraniana volta ad implementare una distensione di fatto ed una reale cooperazione con Riyad. La convocazione del viceministro degli Esteri Abdollahian presso la Commissione di Sicurezza Nazionale e Politica Estera del Parlamento iraniano (il Majlis), per rispondere alle critiche mosse nei confronti della visita effettuata dal rappresentante governativo iraniano in Arabia Saudita, sono una chiara dimostrazione di ciò. I rappresentanti della Commissione hanno infatti sostenuto che “la visita non era necessaria data la posizione del paese ed il suo approccio nella regione”, caratterizzato da “un ruolo diretto nella creazione dell’IS e la cooperazione con gli Stati Uniti per raggiungere i suoi obiettivi”. Le stessa accuse sono state reiterate dal rappresentante presso le Guardie rivoluzionarie del Leader supremo Ali Khamenei, che ha pertanto indirettamente escluso qualsiasi possibilità di cooperazione bilaterale. Gli ufficiali sauditi sembrano d’altra parte dubitare dell’effettivo potere di Rouhani e del suo gabinetto nel controllo e nella gestione della politica regionale iraniana, mossi dalla consapevolezza che tali questioni sono soggette per lo più alle decisioni prese dalle Guardie Rivoluzionarie e dalle Forze Quds, comandate dal generale Qassim Suleimani.
È dunque probabile che la distensione tra Teheran e Riyad rimarrà temporanea e limitata esclusivamente al piano della rispettiva retorica, mentre la fine della guerra per procura tra i due paesi nella regione, per quanto auspicabile, sembra per il momento soltanto una chimera.