Il terremoto politico che tutti si aspettavano è arrivato. Il segnale lanciato dai cittadini greci il 6 maggio è forte e chiaro: il voto ha premiato i partiti contrari al memorandum concordato con la troika (UE, BCE, FMI) e penalizzato quelli che lo hanno sostenuto.
Il Pasok si ritrova così ad essere la terza forza del paese, con il 13,2% dei voti e 41 seggi, mentre Nea Dimokratia, data per favorita nei sondaggi, è la prima ma solo con il 18,9% dei voti e 108 seggi (50 dei quali ottenuti grazie al premio di maggioranza). Insieme non raggiungono dunque, anche se per un soffio, i 151 seggi che avrebbero permesso loro di dare vita a un governo bipartisan, in grado di garantire il rispetto degli accordi con la troika sottoscritti dall’esecutivo tecnico di Lucas Papadimos.
Quella che a un primo sguardo potrebbe sembrare una sconfitta di misura è tuttavia un vero e proprio tracollo. I numeri, più di tutto, ci restituiscono la dimensione della fine del bipolarismo greco. Il Pasok (partito socialista) nel 2009 aveva ottenuto oltre 3 milioni di voti, il 6 maggio solo 800 mila. Nea Dimokratia (centrodestra) alle ultime politiche, pur con il peggior risultato della sua storia, aveva raggiunto il 33,5%, pari a 2 milioni e 200 mila voti: oggi i suoi elettori sono diminuiti di oltre un milione. Rispetto al 2009 i due partiti hanno dunque perso complessivamente 3 milioni e 300 mila voti. Una cifra davvero impressionante, ben più eloquente del dato in termini di seggi. Se oggi a Nea Dimokratia e Pasok ne mancano due per formare una maggioranza, tre anni fa sommavano 251 seggi su 300.
Ma dove sono finiti i voti delle due principali (sino a ieri) forze politiche? La maggior parte di quelli in uscita dal Pasok sono stati assorbiti da Syriza, il Raggruppamento della Sinistra Radicale, guidato da Alexis Tsipras. Nel 2009 aveva ottenuto 13 deputati e il 4,6%, mentre oggi Syriza è il secondo partito della Grecia con il 16,8% dei voti e ben 52 deputati. Il leader trentottenne dalla “faccia pulita” ha condotto una campagna elettorale dai toni radicali, ma non estremisti. Contrario al memorandum, Tsipras ha chiesto il voto per dare vita a un governo di sinistra con l’obiettivo di rinegoziare gli accordi con l’UE. Negli ultimi giorni di campagna elettorale non ha escluso una collaborazione con i “Greci Indipendenti”: il partito fondato da Panos Kammenos, ex deputato di Nea Dimokratia, è anch’esso contrario al memorandum, e ha visto ripagata la propria scelta ottenendo il 10,6% dei voti e 33 seggi.
Proprio i “Greci Indipendenti” sono stati la spina nel fianco di Nea Dimokratia, assorbendone la maggior parte dei consensi perduti. Subito dopo di loro, si sono piazzati i comunisti del KKE: fermi sulle loro posizioni anticapitaliste e veteromarxiste, non sono stati in grado di andare oltre il proprio tradizionale elettorato, ottenendo l’8,5% (solo lo 0,9% in più rispetto al 2009) e 26 seggi. La loro chiusura a qualsiasi ipotesi di governo di coalizione non gli ha consentito di uscire dal ruolo di opposizione che da sempre li caratterizza. Deludente, anche se si presentava per la prima volta alle elezioni, il risultato del partito guidato da Fotis Kouvelis, Sinistra Democratica. Nonostante il suo leader fosse tra i più apprezzati nei sondaggi pre-elettorali, SD non è andata oltre il 6,1%, ottenendo 19 deputati. Pur raccogliendo i voti di molti delusi del Pasok, non è evidentemente riuscita a presentarsi come una valida alternativa ai partiti tradizionali, cosa che è stata capace di fare Syriza.
Desta allarme per la tenuta democratica del paese, invece, il successo del movimento neonazista Chrisì Avghì (Alba Dorata), su cui si sono spostati molti elettori di Nea Dimokratia, ma anche del Pasok. Il movimento ha visto crescere i propri consensi dallo 0,3 del 2009 al 7, percentuale che gli garantisce ben 21 deputati. Se Syriza rappresenta la sinistra radicale, antisistema ma non anticostituzionale e antieuropea, Chrisì Avghì è espressione della destra estrema, xenofoba, razzista e fortemente antieuropea. Un movimento che non avrebbe avuto spazio in altri tempi, ma a cui l’attuale crisi economica e sociale offre un ambiente adatto in cui crescere.
Sono dunque sette i partiti entrati nel nuovo parlamento greco, da cui restano fuori varie formazioni che sino alla fine hanno sperato di raggiungere il quorum del 3%, come ad esempio il Laos. Il partito della destra nazionalista e ortodossa ha certamente pagato il suo, pur breve, sostegno al governo Papadimos. Per tale ragione molti elettori gli hanno preferito l’estrema destra di Alba Dorata.
Attraverso il voto, i greci respingono il memorandum con cui si impongono pesanti sacrifici al paese e puniscono severamente i partiti che si sono fatti garanti del rispetto degli accordi con l’UE. È un voto di protesta, come dimostra la percentuale ottenuta da Chrisì Avghì e l’alto astensionismo (circa il 35%), ma anche di rifiuto nei confronti della politica di rigore che sembra rendere impossibile la ripresa economica del paese, giunto al quinto anno consecutivo di recessione.
Ma il risultato elettorale indica soprattutto quanto sia improbabile la formazione di un nuovo esecutivo. Il Presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, come prescritto dalla Costituzione, nella giornata di lunedì ha assegnato ad Antonis Samaras (leader del partito più votato, cioè Nea Dimokratia) un mandato esplorativo per verificare la possibilità di formare un governo. Nonostante i tre giorni concessi, già in serata Samaras aveva rinunciato, dopo aver incontrato prima Tsipras di Syriza, poi Evangelos Venizelos del Pasok e da ultimo Kouvelis di Sinistra Democratica. L’unico disposto a sostenere un governo guidato da Samaras è stato Venizelos, a condizione che fosse un esecutivo di unità nazionale, ovvero sostenuto anche da Syriza e Sinistra Democratica. Sia Tsipras che Kouvelis si sono però detti contrari, ritenendo inconciliabili le proprie posizioni con quelle di Nea Dimokratia in merito agli accordi con Bruxelles.
Fallito il primo tentativo, il mandato esplorativo è passato nelle mani del leader di Syriza, che ha subito rilanciato la sua idea di un governo di sinistra, e Tsipras ha dichiarato di voler usare interamente i tre giorni a propria disposizione. Dopo il previsto rifiuto dei comunisti del KKE a ogni ipotesi di governo di coalizione (la leader Aleka Papariga non ha nemmeno partecipato all’incontro), il leader di Syriza ha visto Kouvelis e i leader di alcuni partiti della sinistra che non sono entrati in parlamento. Questa mossa lascia capire come l’ipotesi di nuove elezioni a giugno sia più che realistica.
Se infatti, come appare probabile, falliranno i tentativi di dare vita a un governo in questa legislatura, Syriza e altre formazioni di sinistra potrebbero decidere di formare una lista unica così da puntare al premio di maggioranza nella prossima consultazione. Nel frattempo Tsipras ha presentato un programma in cinque punti che sarà al centro degli incontri con gli altri leader: immediata cancellazione delle misure che impoveriscono i greci; immediata cancellazione delle misure che minano i diritti dei lavoratori; abolizione dell’immunità parlamentare e revisione della legge elettorale; indagine sulle banche greche; creazione di una commissione internazionale per investigare le cause del debito greco.
Richieste molto nette, che certamente non potranno essere accettate da Nea Dimokratia e Pasok. Partendo dal presupposto che nessuna maggioranza potrà comprendere i neonazisti di Chrisì Avghì e che il KKE non è disposto a entrare in qualsivoglia coalizione di governo, al momento non esiste una maggioranza possibile che non veda coinvolta Nea Dimokratia. L’ipotesi di nuove elezioni costituisce un rischio per il paese, ma è probabilmente inevitabile. Come la sinistra, anche i moderati dovranno trovare il modo di riorganizzarsi se vogliono puntare a governare la Grecia.
In ogni caso occorre che l’Unione Europea, e la Germania in primis, traggano le giuste conclusioni dal voto greco: un nuovo messaggio e un nuovo mix tra politiche di rigore e politiche per la crescita e la giustizia sociale sono cruciali se non si vorranno generare mostri.