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Il quadro politico egiziano: un momento della verità per l’Islam politico

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Dopo la Tunisia, anche in Egitto sembra essere arrivato il momento dell’ascesa dell’Islam politico. Per sapere l’esatta composizione del Maglis al-Shaab, la camera bassa del primo parlamento dell’era post Mubarak, mancano solo i risultati dell’ultimo ballottaggio tenutosi il 10 e 11 gennaio. A questi dovranno inoltre sommarsi quelli di alcuni seggi che, in seguito alla decisione della Commissione Elettorale, ripeteranno le operazioni di voto per garantirne la legalità. 

Anche senza questi dati, comunque, il verdetto elettorale è già nitido. Le urne hanno infatti  consegnato la vittoria a Libertà e Giustizia, il partito islamista della Fratellanza Musulmana che, dopo decenni di forzata clandestinità, si appresta ora a governare il paese.

A Libertà e Giustizia andranno circa il 45% dei seggi. Al secondo posto, con il 25% delle preferenze, si posizioneranno i salafiti del partito Al-Nour (la Luce), un movimento islamista di emanazione wahabita su posizioni più radicali. Anche se a prima vista l’alleanza tra questi due partiti sembra scontata, i rapporti fra queste due formazioni dell’Islam politico sono sempre stati altalenanti. Avendo radici comuni, momenti di vicinanza si sono alternati ad altri di litigiosità e addirittura inimicizia. A confermarlo è stato quanto accaduto lo scorso autunno, quando nel corso delle alleanze pre-elettorali queste divisioni sono tornate a galla costringendo il blocco islamista a correre in due coalizioni separate. Da una parte Al-Tahaluf al-Dimuqrati (l’Alleanza Democratica) dominata dalla Fratellanza Musulmana), e dall’altra  Al-Tahaluf al-Islam, (l’Alleanza Islamista) guidata dal Nour.

La Fratellanza, che si è detta pronta ad includere nel suo governo tutte le istanze politiche che vorranno cooperare, potrebbe infatti decidere di allearsi con lo storico partito nazionalista Wafd (Delegazione), che ha ottenuto circa il 9 % dei voti. In alternativa gli Ikhwan – i Fratelli –   potrebbero optare per il Blocco Egiziano, l’alleanza su posizioni più liberali, guidata dal tycoon copto Naguid Sawiris che ha ottenuto poco più del 7%.

Oltre alla questione delle alleanze, la dirigenza del partito e quella del movimento islamista stanno ora discutendo sulla nomina dello speaker nel primo parlamento dell’era post Mubarak. Tra i nomi dei candidati, i più probabili sono quello di Saad El-Katatni, segretario generale di Libertà e Giustizia e già in passato capo del blocco parlamentare della Fratellanza, e quello di Essam El-Erian, vice presidente del partito.

Intanto Mohamed Morsi, presidente di Libertà e Giustizia, ha annunciato quali saranno le sfide alle quali il suo partito intende dare una risposta immediata – lo ha fatto dalle colonne di Al-Sharq al-Wasat, un  quotidiano panarabo di proprietà saudita. Il partito della Fratellanza si propone in primis di garantire a tutti i cittadini il principio di libertà e uguaglianza e al contempo di ripristinare la sicurezza nazionale per rimettere in moto il paese. Da un punta di vista economico, oltre allo sviluppo del turismo, Libertà e Giustizia intende concentrarsi sul problema della disoccupazione e sostenere i giovani nella creazione di piccole imprese. Per garantire maggiore giustizia sociale e migliorare la qualità della vita dei cittadini, la Fratellanza punta a una redistribuzione della ricchezza attraverso gli stipendi, a una più efficiente assistenza medica, a combattere l’analfabetismo e destinare più risorse alla ricerca scientifica.  Si promettono anche interventi sul sistema dei trasporti e sull’inquinamento ambientale.

Meno chiara invece la politica estera che il movimento intende perseguire. Secondo le dichiarazioni programmatiche di Morsi, Libertà e Giustizia cercherà di incrementare l’integrazione con gli altri paesi arabi, ribadendo intanto il diritto del popolo palestinese di liberare la sua terra e quello dei profughi di ritornare in patria.

Secondo quanto riportato dal quotidiano panarabo Al-Hayat il 1° gennaio, affrontando anche la questione relativa alla relazione con lo stato ebraico, Rashad Bayoumi, un membro della Fratellanza, sostiene che il suo movimento non ha alcun obbligo a riconoscere il trattato di pace di Camp David firmato tra Egitto e Israele nel 1979. Una posizione ribadita anche Ibrahim Mounir, membro dell’esecutivo del movimento.

A contraddirli è stata il 4 gennaio Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato americano, seconda la quale l’amministrazione americana avrebbero ricevuto garanzie circa il rispetto di questo trattato direttamente da membri della Fratellanza.

Oltre a evidenziare l’indecisione degli islamisti sul futuro del trattato di pace con Israele, questo dibattito suggerisce anche che può esistere un certo scarto tra la dirigenza del movimento e quella del partito di Libertà e Giustizia, che sono entrati in contraddizione anche su altre questioni.

Pochi dubbi sembrano invece esserci sull’atteggiamento assunto dalla Casa Bianca, che ha ufficialmente confermato di voler riconoscere i risultati delle elezioni, tendendo la mano alla Fratellanza per istaurare rapporti diplomatici fattivi. L’11 gennaio si è tenuto un incontro tra i leader di Libertà e Giustizia e William Burns, numero due del Dipartimento di Stato; un passo ufficiale la cui importanza è stata chiaramente percepita in Egitto. Questa è comunque una novità solo parziale: per anni  alcuni esponenti della Fratellanza hanno avuto contatti con rappresentati del governo americano, ma questo sono stati riservati o sono avvenuti tramite quei membri del movimento presenti in parlamento che venivano ufficialemnte trattati come rappresentanti di questa istituzione. Ora è il momento di un test più impegnativo per tutti.