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Il Portogallo in bilico fra tagli sociali e aiuti internazionali

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L’agenda per il 2011 di José Sócrates è piena di rischiosi imprevisti più che di buoni propositi. Gli ultimi giorni del 2010 hanno reso ancora più complicata la posizione del primo ministro portoghese, alla guida di uno dei paesi maggiormente esposti ai rischi di speculazione. Appena prima di Natale l’agenzia di rating Fitch ha declassato il debito a lungo termine di Lisbona ad A+ dal precedente AA-, per di più con un outlook negativo. La decisione ha seguito di poche ora l’avvertimento di un’altra agenzia, Moody’s, pronta anch’essa ad abbassare le sue valutazioni sul paese in seguito alle deboli prospettive di crescita e ai maggiori costi dell’indebitamento.

Il problema più scottante è proprio l’andamento dell’economia lusitana. La riduzione degli investimenti pubblici, l’aumento dell’IVA, il congelamento delle pensioni e gli altri tagli sociali necessari per risanare le finanze pubbliche colpite dalla crisi, hanno provocato infatti una diminuzione generale del reddito disponibile dei portoghesi. Con effetti ovvi: contrazione dei consumi privati, diminuzione della domanda, recessione.

Le misure di aggiustamento già approvate prevedono una riduzione della spesa pubblica di 2,2 punti di PIL e una diminuzione delle entrate fiscali di 1,2 punti. Tuttavia, se la dinamica negativa della crescita dovesse confermarsi, l’esecutivo di Lisbona dovrebbe ricorrere a interventi aggiuntivi per riportare, come promesso, il deficit dal 7 al 4,6% entro il prossimo anno.

“Basandoci sulle previsioni della Commissione Europea,” spiegava nei giorni scorsi l’economista Miguel St. Aubyn al quotidiano Publico, “nel 2011 arriveremmo a un deficit del 5,2%, ben oltre l’obiettivo fissato del 4,6%.” Uno sforamento che comporterebbe manovre aggiuntive per 0,6 punti di PIL, equivalenti a più di un miliardo di euro, senza contare gli oneri sul debito determinati dall’aumento dello stock di titoli e dal peggioramento del rating.

Di fronte al rischio di dover chiedere ancora sforzi ai cittadini già colpiti duramente dalla congiuntura, il governo ha deciso di ostentare ottimismo: il primo ministro ha recentemente sottolineato che il rientro del deficit sta procedendo più velocemente di quanto previsto e ha sottolineato che in ogni caso il ministero delle Finanze ha effettuato stime molto prudenti sulle entrate fiscali, ipotizzando una diminuzione del PIL del 0,7% nel 2011. Tuttavia le previsioni di Lisbona sul medio periodo sembrano differire da quelle di altri osservatori internazionali. Se per il 2012 il governo di Sócrates ha previsto una crescita economica dello 0,2%, l’OCSE ha ipotizzato una recessione dello 0,2%, la Commissione Europea una contrazione di un punto percentuale, il Fondo Monetario Internazionale addirittura una crescita negativa dell’1,2%.

Una prospettiva di bilancio poco rosea che si accompagna a una situazione sociale altrettanto delicata. Non ci sono solo le difficoltà di molte famiglie ad arrivare alla fine del mese (sono oltre 2.300 i nuclei familiari che vengono aiutati dallo Stato a pagare le rate del mutuo, un numero che cresce di oltre 100 unità ogni mese); nei prossimi mesi si prevede anche una crescita della tensione in piazza per le proteste dei sindacati. Le organizzazioni che rappresentano i lavoratori della funzione pubblica hanno deciso di opporsi duramente al taglio degli stipendi, con l’obiettivo di portare la legge di bilancio davanti al Tribunale Costituzionale.

Intanto molti accusano il primo ministro di non avere il polso del paese. João Salgueiro, economista con un passato da ministro e da vice-governatore della banca centrale, è stato secco ed esplicito in una recente intervista, “Cerca di convincere se stesso che siamo davanti a una buona performance quando questo non è affatto vero.”

Nonostante le pressioni provenienti da diverse capitali europee, le istituzioni portoghesi continuano però a mostrare una certa tranquillità, complici le imminenti elezioni per la Presidenza della Repubblica che si terranno il 23 gennaio. “Non abbiamo nessun problema che giustifichi un intervento del Fondo Monetario Internazionale,” ripete da tempo il primo ministro socialista; lapidario anche il presidente della Repubblica uscente Aníbal Cavaco Silva che in merito a un possibile intervento dell’FMI ha commentato, “Speriamo che non venga.”

La convinzione di Sócrates e di Cavaco Silva è stata in effetti rafforzata dal buon andamento dell’asta di titoli di Stato dello scorso 12 gennaio, considerata un prova chiave per il debito pubblico portoghese. Lisbona ha superato l’esame riuscendo a vendere obbligazioni con una lieve diminuzione dei tassi (che pur rimangono molto alti, intorno al 6,8%).

Si tratta di un segnale incoraggiante che dimostra come il Portogallo abbia ancora la possibilità di finanziarsi sul mercato, ma non può essere considerata la dimostrazione definitiva che il paese non ha bisogno di aiuti.

I timori riguardano, più che l’intervento del nuovo Fondo di Stabilità europeo, l’arrivo del Fondo Monetario Internazionale. I tecnici di Washington non sono nuovi a visite nel paese iberico: già in due occasioni, prima nel 1978 e poi nel 1983, la giovane democrazia lusitana ha chiesto aiuto all’FMI, ma non si può dire che il rigore economico promosso dall’istituzione abbia lasciato buoni ricordi. Inoltre un intervento esterno viene vissuto da molti, a Lisbona, come una sconfitta. Secondo Cavaco Silva l’arrivo dei tecnici del Fondo significherebbe che “il governo ha fallito”. “Se l’FMI dovesse intervenire è probabile che le misure siano meno mirate alla nostra situazione e più dure di quanto non sia necessario,” ha sottolineato Salgueiro.

La paura è soprattutto che le misure del Fondo comportino costi sociali troppo alti. Si tratta di una scommessa aperta per il governo socialista, che non vuole trovarsi nuovamente di fronte ai rigidi aggiustamenti strutturali vissuti dal paese a metà degli anni Ottanta.