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Il nuovo accordo di coalizione in Germania

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A poco più di due mesi dalle elezioni federali e dopo circa trentaquattro giorni di trattative, cristianodemocratici, cristianosociali e socialdemocratici hanno firmato il nuovo Koalitionsvertrag, il contratto di coalizione per la legislatura 2013-2017. Come di consueto, l’accordo programmatico contiene un vasto elenco di proposte politiche che i tre partiti si impegnano a realizzare nel corso del quadriennio. L’esperienza insegna che, non essendo il contratto giuridicamente vincolante, molte misure non troveranno attuazione, mentre altre saranno applicate solo parzialmente. La sanzione sarà politica e spetterà all’elettorato alla fine dei quattro anni. Il ruolo del contratto di coalizione non è d’altra parte quello di ingessare la legislatura in un iter normativo precostituito. Semmai, il Koalitionsvertrag è un atto di programmazione politica finalizzato a garantire l’insediamento di un nuovo governo.

Nel caso di specie, non è ancora sufficiente che il contratto sia stato perfezionato, visto che il partito socialdemocratico, sin dall’inizio delle consultazioni, ha imposto un’ulteriore clausola sospensiva, ossia un referendum confermativo dei tesserati del partito. Entro il 12 dicembre quasi mezzo milione di iscritti all’SPD si esprimerà sul contenuto del contratto e, nel caso alquanto remoto in cui dovesse respingerlo, il nuovo esecutivo rosso-nero non potrà insediarsi, a meno che CDU/CSU non siano disposte ad un ulteriore compromesso. Sin d’ora, però, la Cancelliera Merkel ha garantito che diverse delle proposte socialdemocratiche rientrassero nell’accordo finale. Un po’ perchè, in questo modo, potrà continuare nell’opera di “sottrazione” di temi di propaganda politica degli avversari, un po’ perchè in questo modo sarà più digeribile per la base votare a favore dell’accordo.

In particolare, è la politica sociale e del mercato del lavoro a contenere il maggior numero di concessioni all’SPD. Dopo anni di lunghe battaglie, dal 1° gennaio 2015 la Germania si doterà infatti di un salario minimo, fissato con legge federale a 8,5 euro l’ora. Saranno ammessi accordi in deroga tra sindacati e datori di lavoro per un massimo di due anni. Dal 2017 il salario minimo sarà in vigore senza eccezioni in tutta la Germania. Alcuni politici democristiani hanno annunciato sin d’ora battaglia in parlamento, per introdurre un maggior numero di deroghe, in particolare per chi ha un contratto di apprendistato o è un disoccupato di lungo periodo.

In cantiere sono anche previste modifiche alla legge Hartz I che aveva liberalizzato il settore del lavoro interinale, che oggi conta circa un milione di lavoratori. In particolare, il contratto tornerà ad essere limitato a diciotto mesi e dopo nove mesi il lavoratore interinale avrà diritto alla stessa retribuzione dei dipendenti dell’impresa.

Una parziale marcia indietro rispetto al rigore inaugurato dall’Agenda 2010 di Gerhard Schröder è prevista anche in materia pensionistica. In particolare, la CDU/CSU ha accettato di stanziare tra i 3 e i 5 miliardi l’anno per garantire la pensione a chi ha compiuto 63 anni (e non più 65 come stabilito nell’ultimo governo di grande coalizione) e ha versato contributi per 45 anni. A ciò va aggiunta la cd. Mütterrente: si tratta di un aumento di 28 euro al mese ad Ovest e di circa 25 euro al mese ad Est ad ogni donna per ogni figlio nato prima del 1992. Le donne che hanno avuto figli dopo il 1992 hanno infatti ottenuto un trattamento pensionistico di favore, che i cristianodemocratici e i cristianosociali considerano ora ingiusto. I costi dell’operazione ammontano a circa 6,5 miliardi di euro l’anno. A questi vanno ancora sommati 10 miliardi per l’aumento delle pensioni minime a 850 euro, come richiesto dai socialdemocratici e infine 500 milioni di euro l’anno per un calcolo contributivo più favorevole delle pensioni dei disabili.

Spesa pubblica in rialzo anche in altri comparti: istruzione e università otterranno maggiori fondi per cinque miliardi di euro, ricerca e sviluppo tre miliardi, mentre le infrastrutture saranno modernizzate con un budget aggiuntivo di circa cinque miliardi. Nonostante le nuove spese, la grande coalizione intende portare il bilancio in pareggio già nel 2015. La speranza è che la crescita economica (i dati parlano di un +1,4% nel 2014) possa continuare a trainare le entrate fiscali, senza che si rendano necessari aumenti di imposte. Secondo Christoph Schmidt, il presidente del consiglio dei cinque saggi economici (Wirtschaftsweisen), il gruppo di economisti indipendenti che assiste l’esecutivo in materia, “le nuove spese sono finanziate forse fino al 2017, ma dal 2015 non certo senza nuove imposte o ricorso al debito”. Commenti altrettanto critici sono arrivati da imprese e banche, che vedono nel programma una minaccia per la competitività del sistema produttivo tedesco.

Se in politica interna la grande coalizione vuole dunque allargare i cordoni della borsa, in politica estera, e segnatamente in quella comunitaria, CDU, CSU ed SPD sembrano voler continuare sulla strada tracciata nei passati quattro anni. Nell’accordo si trovano infatti riaffermati i cardini della ormai classica linea-Merkel: la clausola anti-bailout per gli Stati in crisi; il motto merkeliano “solidarietà solo in cambio di solidità”; il vago proposito di portare a termine l’unione bancaria; il principio inaugurato a Cipro per cui a pagare le ristrutturazioni degli istituti di credito saranno innanzitutto i creditori degli stessi (bail-in). Un minimo spiraglio è lasciato con riguardo alle funzioni dell’ESM, il fondo salva-Stati, che in casi di straordinaria necessità ed urgenza potrebbe persino arrivare a ricapitalizzare direttamente le banche. Nessun cenno, invece, al ruolo della Banca Centrale Europea. Come già in passato, il governo federale ha preferito, almeno formalmente, rispettare l’indipendenza dell’istituto di Francoforte, senza menzionarlo in un documento politico. Questo non significa che la grande coalizione farà mancare il proprio sostegno a Mario Draghi. Al contrario, laddove richiesto, il governo federale continuerà a sostenerne la politica monetaria, in particolare di fronte alla Corte costituzionale di Karlsruhe dove è ancora pendente il ricorso di un parlamentare della CSU contro l’OMT, il programma di acquisto illimitato di titoli di Stato varato un anno fa dalla BCE.