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Il mercato unico dell’energia – che non c’è

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Il tentativo dell’Unione Europea di sviluppare una politica energetica comune si é rivelato come uno dei maggiori fallimenti dell’UE negli ultimi dieci anni. Un approccio eccessivamente ideologico verso lo sviluppo delle rinnovabili, l’assenza di una chiara pianificazione a livello europeo per la realizzazione delle nuove infrastrutture energetiche, e un’insufficiente liberalizzazione del mercato del gas, hanno di fatto ostacolato la creazione di un unico mercato energetico europeo. Un ripensamento del mercato energetico e delle politiche dell’UE appare cruciale anche nell’ottica del completamento del mercato unico.

A partire dalla crisi del gas del 2006 (quando Gazprom decise di interrompere unilateralmente le forniture di gas all’Ucraina a fronte dei notevoli ritardi ucraini nel pagare gli ingenti quantitativi di gas consumati nel secondo semestre del 2005), l’esecutivo di Barroso, sulla spinta dell’opinione pubblica, ha deciso di porre fra le proprie priorità la politica energetica, introducendo l’obbligo per la Commissione di elaborare a cadenza biennale un documento programmatico, la cosidetta “Strategic Energy Review”, contenente le misure necessarie per rafforzare la scurezza energetica europea.

Sebbene tale iniziativa vada sicuramente nel verso di una maggiore integrazione dei diversi mercati e delle diverse politiche energetiche nazionali, i risultati fin qui raggiunti sono stati grami. Ma soprattutto sono discutibili gli obiettivi che la Review si proponeva. Ad esempio, l’approvazione del pacchetto per la liberalizzazione del mercato del gas e dell’elettricità, sebbene introduca formalmente misure per una maggiore concorrenza nel mercato e abbia creato un’Agenzia europea per la cooperazione tra i regolatori dell’energia, non ha introdotto misure sufficienti per diminuire il ruolo dei principali incumbent energetici nei vari mercati nazionali. Di fatto si allontana così la realizzazione del mercato unico energetico, poiché il ruolo dei campioni nazionali, e in alcuni casi addiruttura regionali, resta decisivo, limitando notevolmente le opportunità per i nuovi operatori.

La revisione delle misure per la sicurezza dell’approvvigionamento del gas, attualmente al vaglio del Parlamento europeo, non lascia intravedere nulla di buono. Infatti, sebbene la revisione sia opportuna, la proposta presentata dalla Commissione e gli emendamenti in discussione al Parlamento paiono limitare ulteriormente il ruolo delle imprese nella gestione delle crisi di approvvigionamento. Si punta infatti alla creazione in ogni Stato Membro di un’Autorità per la sicurezza dell’approvvigionamento che dovrà valutare il rischio di interruzione delle forniture e in caso gestire la crisi, con una lunga lista di misure non di mercato che l’autorità potrà imporre agli operatori.

Le difficoltà nel settore del gas non riguardano solo gli aspetti regolamentari, ma anche quelli strategici circa l’approvvigionamento da Paesi terzi. L’eccessiva fiducia riposta da Bruxelles nella realizzazione del gasdotto Nabucco, ha portato la Commissione a destinare fin troppe risorse a questo progetto. In particolare, preoccupa l’incapacità delle imprese del consorzio promotore del Nabucco di siglare accordi per l’acquisto e l’estrazione di gas dal Centro Asia, a tre anni dalla prevista entrata in attività del gasdotto. Ciò pone l’UE dinanzi al paradosso di avere finanziato e sponsorizzato un’infrastruttura che potrebbe non essere in grado di trasportare gas.

Tutta l’attenzione che l’esecutivo di Barroso ha posto nel sostenere Nabucco, ha portato la Commissione a non considerare adeguatamente le possibili alternative in vista di una diversificazione delle rotte di approvvigionamento del gas. In particolare il vecchio continente paga l’assenza di un’opportuna pianificazione delle nuove infrastrutture in via di realizzazione. Se si guarda infatti ai progetti in via di costruzione che collegheranno l’UE all’Asia Centrale, si puo’ notare l’eccessivo numero di gasdotti (ITGI-Poseydon, Nabucco, South Stream, TAP, White Stream) cantierati che porta molti analisti a dubitare della loro sostenibilità. Se si considerano  anche i gasdotti cantierati che collegheranno l’UE al Nord Africa o direttamente alla Russia, oltre ai rigassificatori in fase di realizzazione, si deve concludere che l’UE nel 2020 avrebbe una capacità di importare gas superiore di oltre il 60% rispetto alla domanda prevista. A fronte dell’elevato numero di gasdotti in fase di realizzazione, si registra poi una scarsità di investimenti per l’ammodernamento della rete elettrica europea, nonché per la realizzazione di alcune grandi infrastrutture quali ad esempio il “Mediterranean Ring”, le rete elettrica che dovrebbe collegare tutti i Paesi affacciati sul Mediterraneo.

In contemporanea, la Commissione Europea ha deciso di rilanciare lo sviluppo delle energie rinnovabili in Europa, giustificando tale scelta con la necessità non solo di puntare a un’economia a basso carbonio e ad alto valore aggiunto (quindi meno vulnerabile rispetto alla competizione delle economie emergenti) ma anche di aumentare la sicurezza energetica dell’UE. Tuttavia, gli obiettivi che l’UE si è posta per la promozione delle energie rinnovabili appaiono difficili, se non impossibili, da realizzare. La decisione di coprire entro il 2020 almeno il 20% dei consumi energetici con energia verde, appare un salto nel vuoto in assenza di nuovi sviluppi tecnologici e di un chiaro quadro infrastrutturale. Non considerando l’eolico, i cui tassi di crescita sono stati elevati negli ultimi 5 anni, lo sviluppo delle rinnovabili non ha portato a particolari cambiamenti nel mix energetico dell’UE a causa della bassa efficienza di tali risorse. Inoltre l’assenza di un adeguato network di reti elettriche « intelligenti » in grado di assicurare la connessione delle centrali a rinnovabili, caratterizzate da un’incostante produzione di energia, con la rete riduce ulteriormente la già non elevata competitività di queste fonti. A ciò si aggiunge la volontà della Commissione di continuare a sostenere tutte le energie rinnovabili indistintamente, sacrificando cosi’ l’eolico, unica fonte competitiva già adesso sul mercato, per finanziare anche fonti decisamente inefficienti quali il solare fotovoltaico ad esempio. Una scelta che appare miope, a maggior ragione visto che lo slancio ambientalista di Bruxelles non ha toccato il settore col maggior potenziale per ridurre sia i consumi energetici che le emissioni di CO2, ossia l’efficienza energetica. Nell’approvare il pacchetto clima infatti sia la Commissione europea che il Parlamento non hanno voluto introdurre obiettivi vincolanti circa l’efficienza energetica nei singoli Paesi Membri. Tale decisione pare andare non solo contro la volontà della stessa Commissione di sviluppare in Europa un parco industriale ad elevato valore aggiunto che permetta la transizione verso un’economia a basso carbonio, ma anche contro il trend a livello mondiale che vede un sempre maggiore numero di Paesi cercare di ridurre i propri consumi energetici.

Alla luce di tale osservazioni appare chiaro, come la politica energetica dell’UE presenti più ombre che luci. La Commissione dovrebbe porsi come obiettivo la formulazione di un vero piano armonizzato a livello europeo per la costruzione di infrastrutture energetiche : non soltanto per la realizzazione di gasdotti lungo l’asse UE-Asia centrale, ma anche per la costruzione del “Mediterranean Ring” e di un network europeo di reti intelligenti. Altrettanto cruciale è poi l’elaborazione di un piano d’azione europeo per lo sviluppo dell’efficienza energetica. In assenza di tali misure il mercato energetico europeo resterà una delle tante occasioni perse per il vecchio continente.