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Il fattore Europa nella prova elettorale per Angela Merkel

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Se già quattro anni fa la stampa in Germania lamentò il fatto che la campagna elettorale tedesca era stata una delle più noiose di sempre, quest’anno il giudizio dei media pare dover essere di egual tenore. La lotta si farà più serrata nelle ultime due settimane che ci separano dal voto, ma finora non si può dire che la propaganda dei partiti che si presentano alle elezioni per il diciottesimo rinnovo del Bundestag sia stata in grado di modificare più di tanto gli equilibri esistenti tra le forze politiche. Nemmeno il lungo duello televisivo, tenutosi il primo settembre scorso, pare aver riaperto la partita.

La Cancelliera tedesca Angela Merkel gode, ininterrottamente dall’inizio della legislatura, di un forte tasso di consenso presso tutte le classi sociali. In otto anni di governo è riuscita a consolidare il suo potere e a rendersi indispensabile sia agli occhi degli elettori, sia a quelli dei membri del suo partito. Per la prima volta dal 1994, la CDU/CSU, l’unione cristiano-democratica e cristiano-sociale, pare infatti capace di superare la soglia del 40% dei suffragi.

L’effetto-Merkel è innegabile. In televisione la Cancelliera dissimula sicurezza e tranquillità, come se l’appuntamento con le urne fosse ancora distante. L’elettore medio la considera competente e affidabile. Complice anche la congiuntura economica positiva e il record del tasso di occupazione, è difficile trovare qualcuno in Germania che sia profondamente scontento dell’operato della signora Merkel; persino nello schieramento avversario, tra ecologisti e socialdemocratici. In un recente sondaggio Forsa, realizzato in collaborazione con il quotidiano economico Handelsblatt, circa il 45% degli elettori dei Grünen si augura che la Cancelliera resti in carica per altri quattro anni. Ad oggi, stante l’enorme vantaggio accumulato dalla CDU/CSU nei confronti degli sfidanti socialdemocratici – il divario minimo registrato è di quindici punti percentuali – l’unica cosa pressoché certa è che Angela Merkel resterà altri quattro anni al Kanzleramt.

Come quattro anni fa, però, non è ancora chiaro quale sarà il colore della coalizione. Nelle ultime rilevazioni demoscopiche, i liberali della FDP sembrano poter godere di un generoso traino democristiano, come accaduto nelle elezioni del gennaio scorso in Bassa Sassonia. Maggiori sono le chances che una coalizione possa avere i numeri per governare, più è alta la probabilità che gli elettori indecisi la scelgano. Il “voto utile”, insomma, non aiuta attualmente socialdemocratici e Verdi a risalire la china. Se tuttavia i numeri per governare nuovamente con i liberali non dovessero essere sufficienti, la signora Merkel sarà costretta ad intavolare trattative con gli avversari. Fin d’ora la Cancelliera non ha d’altra parte escluso la riedizione di una Große Koalition con i socialdemocratici.

Neppure la ben più esotica alleanza con gli ecologisti sembra doversi escludere a priori. Nell’edizione del 18 novembre 2012, la Welt am Sonntag dedicò un originale reportage a quali potrebbero essere i punti di contatto tra Verdi e democristiani, finora alleatisi (e mai molto a lungo) soltanto a livello regionale. Il reportage, con tanto di totoministri, si concludeva con un’intervista ad Armin Laschet, attuale leader della CDU in Nordreno-Westfalia, animatore negli anni Novanta della CD. Pizza-Connection, una periodica riunione a metà tra il politico e il conviviale in un ristorante italiano di Bonn fra alcuni esponenti democristiani, poi diventati fedelissimi della signora Merkel ed alcuni politici ecologisti. Benché questi ultimi neghino apertamente la loro disponibilità all’accordo con i democristiani, per gran parte dei vertici del partito verde si tratta forse dell’ultima occasione per tornare al governo, vista la non proprio giovane età.

L’SPD sembra, invece, essersi rassegnata alla sconfitta e si prepara già alla resa dei conti post-elettorale. Un terremoto potrebbe decapitare il partito, entro fine settembre, eliminando dalla scena Sigmar Gabriel, attuale presidente, considerato uno tra i principali responsabili della campagna elettorale fallimentare dei socialdemocratici. Prima ancora di Gabriel, però, è Peer Steinbrück a dover riflettere sui propri errori di comunicazione. Il Kanzlerkandidat, apparso fin troppo spavaldo, ha seguito una strategia poco comprensibile agli occhi dell’opinione pubblica, sia in politica interna sia in politica estera. Alla fine, ancora oggi non risulta chiaro se la SPD intenda o meno alzare la pressione fiscale su persone ed imprese o, se, una volta che il giro di vite sull’evasione fiscale abbia dato i suoi frutti, intenda ridurla. Parimenti, non è chiaro se i socialdemocratici vogliano ripristinare l’imposta patrimoniale, e se e in che misura sostengano la politica europea dei salvataggi condizionati all’approvazione di riforme strutturali.

Ai più non è perfino chiaro se Peer Steinbrück appoggi la politica monetaria perseguita dall’attuale presidente della BCE, Mario Draghi. Recentemente, il candidato socialdemocratico si è lasciato andare ad affermazioni alquanto insolite contro l’Eurotower: “Sono molto scettico circa la decisione di Mario Draghi di annunciare una politica di tassi vicini allo zero anche per gli anni a venire.” ha osservato; per l’ex ministro delle Finanze della grande coalizione, le scelte di Francoforte causerebbero un esproprio strisciante dei risparmi tedeschi, rosicchiati da tassi d’interesse più bassi dell’inflazione.

Una considerazione non isolata che emerge anzi in uno studio recente di Postbank Research e che è stata nuovamente rimarcata dal ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble (CDU), nel corso di un comizio nel nord della Germania a metà agosto. La lotta contro lo spauracchio dei tassi bassi e dell’inflazione non è solo la cartina di tornasole della proverbiale paura tedesca (quella che gli anglosassoni chiamano German Angst), ma va interpretato anche come un tentativo – forse un po’ velleitario – di strizzare l’occhio agli elettori euroscettici, nella speranza di bloccare l’avanzata della dichiaratamente euroscettica Alternative für Deutschland.

Per ora questo piccolo drappello di accademici e professionisti che protestano contro l’euro non sembra poter raggiungere la soglia di sbarramento del 5%, anche se nelle ultime settimane, complici gli annunci su un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia nel 2014, la formazione battezzata lo scorso aprile ha toccato la soglia del 4% in un sondaggio federale. Gli attacchi verbali e fisici ricevuti dal portavoce del movimento, Bernd Lucke, da parte di estremisti di sinistra e la necessità che i banchetti elettorali di AfD siano costantemente sorvegliati dalla polizia, mettono in luce il tentativo di una discreta parte del mondo politico e della stampa di dipingere il partito come una formazione di estrema destra, pericolosa per la democrazia e per le sorti dell’Europa.

Non serve esserne sostenitori per capire che così non è. In un sondaggio realizzato dall’Allensbach Institut la scorsa primavera, emerge che l’elettore medio dell’Alternative ha tra i trenta e i sessanta anni, vive nell’Est della Germania e in passato ha sostenuto i Pirati, l’FDP o Die Linke. Quello stesso sondaggio mostra poi che l’euroscetticismo nella Repubblica federale è ormai in calo da diversi anni. Nel 2002 ancora 61 tedeschi su cento auspicava un ritorno al marco, nel 2013 soltanto 37.

La capacità della signora Merkel di unire gli interessi della industria teutonica esportatrice con quelli di tutti i contribuenti, finora miracolosamente risparmiati dalle perdite miliardarie evocate dai più critici della sua politica europea, dovrebbe risultare sufficiente per contenere in proporzioni modeste il germe euroscettico anche il 22 settembre prossimo.