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Il disgelo tra Cuba e Stati Uniti: quali ripercussioni per la regione?

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Il recente disgelo tra Stati Uniti e Cuba, precursore di un eventuale superamento dell’embargo, è un avvenimento geopolitico ricco di implicazioni: i suoi riverberi non si esauriscono esclusivamente nelle relazioni tra i due Paesi coinvolti e nel futuro politico dell’isola caraibica, ma si insinuano anche nelle pieghe dei rapporti con il resto dell’America Latina.

Nei rapporti bilaterali, la normalizzazione è un cammino ancora irto di ostacoli destinato tuttavia a procedere su un solco già tracciato. Da ambedue le parti esistono motivi inoppugnabili per non deviarvi: sul versante statunitense, pesano le opportunità economiche e il ventennale ritardo accumulato sugli investitori spagnoli e canadesi, le pressioni internazionali per ovviare a ciò che è avvertita come un’anomalia storica, così come la banale quanto tardiva constatazione del fallimento dell’embargo. D’altronde, né gli investimenti statunitensi pregiudicati dalla nazionalizzazione castrista del 1959 sono stati compensati, né le pressioni economiche hanno indotto L’Avana a dotarsi di istituzioni liberal-democratiche. Per quanto riguarda Cuba invece, due sono gli imperativi: uno strategico, l’altro congiunturale. Riguardo alprimo, dalle colonne de El País l’ex presidente cileno Ricardo Lagos ha parlato dell’esistenza di una nuova mentalità radicatasi già da tempo presso il governo cubano e la sua diplomazia, consistente nella necessità di stabilire “una nuova relazione con gli Stati Uniti” basata sul mutuo rispetto.  L’accelerazione della marcia però -per passare al secondo imperativo- è stata resa possibile dal drastico calo dei prezzi del petrolio, che Cuba riceve in cambio di assistenza tecnico-sanitaria dal Venezuela e una cui parte rivende sul mercato internazionale, ora con margini di guadagno sempre più risicati. La rovinosa situazione delle finanze venezuelane lascia presagire peraltro un ridimensionamento di questa concessione, che ebbe la sua genesi nell’affinità ideologica tra i due Paesi e nel movimentismo geopolitico di Hugo Chávez nel decennio scorso.

Entrambe le motivazioni cubane, tuttavia, fanno intuire che il governo di Raúl Castro ragioni strettamente in termini di sopravvivenza politica. In questo senso, l’ampliamento del limite per le rimesse da $500 a $2.000 e l’aumento delle possibilità di viaggio verso Cuba per i cittadini statunitensi costituiscono fonti di ossigeno indispensabili per le casse dello Stato caraibico. Qui entrano però in ballo le prospettive più ampie sul futuro di Cuba: fino a che punto è disposto il regime cubano ad aprire a libertà politiche e di impresa per vedere questi paletti ulteriormente allentati? Pur essendo difficile azzardare qualsiasi previsione, c’è da scommettere che le concessioni del regime saranno commisurate alla sua capacità di controllarle. Certamente, esiste nel medio periodo la possibilità che le aperture prendano il sopravvento e mettano ineluttabilmente alle corde il regime castrista, ma c’è anche l’esempio della Cina che, pur presentando condizioni storiche, economiche e geografiche diversissime da Cuba, dimostra che l’articolazione tra capitalismo e autoritarismo burocratico non è impossibile.

Proprio per questo delicato collegamento, in ogni caso, la svolta interroga anche il rapporto degli Stati Uniti con l’America Latina. In linea generale, el bloqueo ha rappresentato una tara enorme nelle relazioni con tutti i vicini del Sud, ben al di là delle differenze ideologiche. Non a caso, nel 2013 la seconda presidenza pro tempore della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) venne simbolicamente affidata proprio a Cuba, a testimonianza della scarsa simpatia che l’embargo riscuote persino presso i più stretti alleati di Washington. L’avvio del disgelo marca quindi il superamento di una delle impasse geopolitiche maggiori che ha visto i latinoamericani far fronte comune rispetto agli Stati Uniti; un processo che potrebbe vedere il suo compimento nella fatidica presenza di Raúl Castro al prossimo vertice di aprile dell’Organizzazione degli Stati Americani.

Un discorso particolare va fatto per il Venezuela, proprio in virtù del legame speciale con Cuba. Il riallacciamento dei rapporti tra quest’ultima e gli Stati Uniti giunge paradossalmente in un frangente carico di tensione tra Caracas e Washington, reso tale soprattutto dalla recente sanzione che il Congresso americano ha inflitto nei confronti dei funzionari venezuelani che avrebbero commesso violenze contro i manifestanti durante le proteste del 2014. Tutto ciò sembra delineare un panorama in cui il Paese retto dal Presidente Nicolás Maduro rimane l’unico nemico emisferico per gli Stati Uniti, e una strategia volta a isolarlo e a mettere il fiato sul collo all’erede di Chávez. Tuttavia, per quanto economicamente e politicamente malconcio, nonché lontano dal potere d’influenza esercitato sotto la presidenza di Chávez, sarebbe un errore pensare che il Venezuela sia completamente isolato sul piano continentale. Se infatti la mossa statunitense con Cuba va incontro alle storiche rivendicazioni di sovranità espresse da tutta l’America Latina, la continua ingerenza nei confronti del Venezuela rischia di compensarvi ampiamente, facendo così fallire l’obiettivo di inaugurare un nuovo corso della politica estera e di disinnescare l’anti-americanismo che è spesso stato dispiegato dalla sinistra latinoamericana con notevole successo. Non a caso, il recente vertice dei capi di Stato e di governo del Mercosur ha emesso una dura condanna tanto per la sanzione nei confronti del Venezuela, quanto per la questione dei “fondi avvoltoio” riguardanti l’Argentina. Qualsiasi tentativo di destabilizzazione del Venezuela andrebbe poi incontro alla netta reazione Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur), che ha fatto della protezione della sovranità sudamericana una delle sue più illustri bandiere.

È indubbio comunque che la relazione privilegiata tra Cuba e Venezuela risulti quantomeno indebolita. Sebbene la dirigenza cubana si riserverà un vitale spazio di critica nei confronti degli Stati Uniti, il disgelo comporterà un necessario allentamento della vicinanza con Caracas, che per ora ha già trovato il suo prologo nella diminuzione della dipendenza economica. L’indebolimento del rapporto con L’Avana si ripercuoterà anche sull’ALBA, l’Alleanza Bolivariana che ha proprio nell’asse tra i due Paesi la sua ossatura principale. Già da qualche tempo esclusa dalle priorità dei Paesi membri, l’ALBA rischia di vedere rimaneggiato contemporaneamente sia il suo riferimento simbolico più importante che la sua cassaforte, rimpinguata a colpi di copiosi trasferimenti di denaro operati nei confronti dei Paesi membri dal Venezuela, e ora minacciata dalla spending review annunciata da Maduro. Considerata la natura opportunistica dell’adesione di molti piccoli Paesi caraibici all’ALBA, attratti più dalla largesse venezuelana che dai principi politici, non è del tutto improbabile lo sfaldamento del blocco nei prossimi anni e una riconfigurazione della geopolitica del bacino caraibico.