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Il difficile inverno di Hollande

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L’ondata di gelo e neve che ha colpito Parigi e la Francia è una rappresentazione molto efficace dell’umore diffuso nel paese transalpino, sia tra i cittadini che nei palazzi del potere. François Hollande attraversa un momento tutt’altro che facile: l’esercito è impegnato in Mali in un intervento dall’esito imprevedibile; il tessuto produttivo è scosso dalla crisi e dalle agitazioni sociali; il bilancio pubblico continua a necessitare di ossigeno. Inoltre, la Corte costituzionale ha bocciato la tassazione al 75% dei redditi dei milionari, ossia la misura che aveva simbolicamente marcato la campagna elettorale di Hollande; è ora in discussione l’intera strategia economica del presidente, che rischia così di perdere la sua battaglia fiscale.

Il capo di Stato francese è infatti alle prese con un impietoso bagno di realtà. Il promesso aggiustamento dei conti (il debito pubblico francese sfiora il 90% del PIL) mediante una crescita del prelievo nei confronti dei redditi e dei patrimoni più elevati – secondo lo slogan faire payer les riches! – senza tagli “lacrime e sangue”, non sembra possibile nel breve periodo. Ma è proprio a stretto giro che le regole europee e la pressione dei mercati e delle agenzie di rating (dopo Standard and Poor’s anche Moody’s ha tolto la tripla A alla Francia) obbligano il paese a una netta inversione di tendenza.

Non sono solo il perdurare della stagnazione in gran parte del continente e il rallentamento economico tedesco a preoccupare Parigi. La Francia sta crescendo in maniera inferiore a quanto avevano previsto gli schemi elaborati dai socialisti; la forte contrazione dei mercati immobiliare e automobilistico – settori caratterizzati da un grande indotto – peggiora i dati della disoccupazione (si prevedono circa duecentomila posti in meno per il 2013), e conseguentemente incide sulle prestazioni sociali da erogare e sulla conflittualità nei luoghi di lavoro. Recentemente, lo stabilimento Peugeot Citroën di Aulnay, nella banlieue parigina, è stato chiuso dalla direzione dell’azienda per evitare l’occupazione della fabbrica da parte dei lavoratori, che scioperano a singhiozzo da mesi in un clima di minacce e occasionali violenze.

Come se non bastasse, si moltiplicano i dubbi sulla sostenibilità dei conti degli enti e delle società controllate dallo Stato. L’organizzazione che gestisce le indennità di disoccupazione per conto dello Stato e che è controllata congiuntamente dalle parti sociali (Unédic) sarà in perdita netta, per il 2013, di cinque miliardi di euro – cifra da aggiungere all’attuale indebitamento pari a quasi 14 miliardi. Il governo deve affrontare ulteriori spese per garantire la tenuta finanziaria dei suoi “campioni nazionali”: EDF (Électricité de France, gigante della produzione elettrica europea grazie al possesso di gran parte delle centrali nucleari francesi e garantita da capitali pubblici, pur se quotata in borsa) sarà presto rifinanziata per ulteriori cinque miliardi. I suoi debiti, che toccavano i 40 miliardi a giugno del 2012, erano ormai considerati inaccettabili dagli investitori esteri.

La promessa riforma fiscale, fiore all’occhiello della campagna elettorale socialista, si è concretizzata finora in provvedimenti solo molto parziali o d’eccezione, che hanno poco a che fare con il principio dell’equità di cui Hollande parlava come del cardine delle proprie scelte economiche. Da questo punto di vista, è stato introdotto un nuovo scalone Irpef per i redditi superiori a 150.000 euro ed è stata nuovamente aumentata l’imposta sulle grandi fortune, ammorbidita durante gli anni di Nicolas Sarkozy.

Il parere negativo della Corte sul prelievo fiscale del 75% sui redditi oltre il milione – che avrebbe garantito un budget annuale non certo immenso: 210 milioni di euro – è il risultato di un ricorso che l’UMP (il principale partito della droite francese) ha presentato nei confronti dell’insieme dei provvedimenti fiscali approvati. Una delle sue conseguenze politiche è stata però l’emersione delle divisioni presenti nel governo, riflesso della diffidenza ormai palpabile nell’opinione pubblica. Le divergenze tra i ministri fanno pensare che le rigide scadenze stabilite in autunno per una riforma da attuare all’insegna della progressività – in opposizione alla politica dei precedenti quinquennati – non saranno rispettate. Il fatto che la loro nuova e ufficiosa calendarizzazione risenta degli appuntamenti elettorali amministrativi previsti per i prossimi anni è un ulteriore elemento a sostegno di chi accusa i socialisti di “tradire” gli impegni presi con i francesi.

Nel frattempo, infatti, la criticità della situazione ha portato il presidente e il governo ad adottare molte altre misure, di impatto ben più generale sull’insieme della cittadinanza. Il blocco dell’aliquota dell’imposta sui redditi, per il secondo anno consecutivo, comporterà un aumento della tassazione del 2% su moltissimi contribuenti (esclusi circa sette milioni di poveri), che dovranno fare i conti anche con un quoziente familiare meno generoso. Aumentano le tariffe del gas e dell’elettricità e ancor più le accise sugli alcolici e sui veicoli inquinanti. Il rendimento del Livret A, uno degli strumenti di risparmio preferiti dai francesi (è un deposito senza rischio e defiscalizzato, con un tetto di ventimila euro) diminuisce, scendendo al di sotto del tasso di inflazione del 2012 (2%).

Il totale delle misure dovrebbe garantire entrate straordinarie per 30 miliardi; evidentemente, non bastano. Il governo è infatti alla caccia di nuove forme di prelievo, la più consistente delle quali dovrebbe arrivare dalla riforma della tassa sugli immobili per tenere conto anche del reddito delle famiglie. Va ricordato che il mercato immobiliare francese è tra i più cari del mondo. La rimodulazione di questa tassa, che già oggi copre parte dei costi dei servizi forniti dagli enti locali, potrebbe essere destinata a coprire eventuali futuri tagli alla spesa pubblica.

Nonostante ciò, la Francia non riuscirà a centrare l’obiettivo di crescere dello 0,8% quest’anno – si annunciano al contrario altri dodici mesi di stagnazione – né a contenere il proprio deficit al di sotto del 3% del PIL, come promesso a Bruxelles. Hollande ha accettato dai partner europei un percorso di contenimento del debito (fino a un deficit dello 0,3% nel 2017) molto severo, in cambio dello sblocco di consistenti investimenti comunitari destinati alla “crescita”: 120 miliardi in otto anni, di cui però è troppo presto per saggiare gli effetti.

Dunque, anche se la situazione reale non coincide probabilmente con l’”accanimento confiscatorio” denunciato dai partiti di destra, la riforma fiscale di Hollande non ha per il momento i necessari caratteri di incisività e coerenza che le condizioni economiche francesi richiederebbero. L’inchiesta appena aperta nei confronti del ministro del Bilancio Jérôme Cahuzac per evasione fiscale (avrebbe riciclato in Svizzera i proventi di una frode) non aiuta di certo il presidente – che però, insieme al primo ministro Jean-Marc Ayrault, ha espresso pieno sostegno all’accusato.

In ogni caso, nel secondo paese al mondo per prelievi obbligatori, lo spazio per un ulteriore inasprimento della pressione fiscale è davvero limitato – per quanto positivi possano essere i servizi pubblici offerti e per quanto creativi possano essere i tecnici delle finanze statali. In assenza di una vera ripresa dell’economia o di nuove regole a livello europeo, non solo la politica fiscale, ma anche i livelli della spesa pubblica francese finiranno per essere duramente “razionalizzati”. L’equazione economica proposta da François Hollande in campagna elettorale non sembra ancora funzionare.