international analysis and commentary

Il decennale in un’America divisa: verso le elezioni 2012

277

Il decennale dell’11 settembre ha rappresentato ovviamente un momento politico importante per gli Stati Uniti, che avrebbe dovuto in teoria produrre una tensione unitaria. Non è stato così: la politica americana vi è arrivata con posizioni contrastanti sui temi della sicurezza nazionale e con gran parte dell’attenzione dedicata a temi economici controversi.

Il presidente Obama, già nel suo discorso radiofonico di fine agosto, aveva rivolto un appello all’unità del paese, ricordando lo spirito successivo agli attacchi terroristici di dieci anni fa. Ma la realtà è che Repubblicani e Democratici rimangono sulle barricate su diversi fronti, incluso il tema della sicurezza nazionale. I toni dello scontro restano aspri, confermando il fenomeno di polarizzazione in atto da alcuni anni nella politica americana. A inizio settembre il consigliere per l’Antiterrorismo della Casa Bianca John Brennan, uno dei più alti responsabili dell’amministrazione Obama per l’homeland security e sostanzialmente apartitico, ha criticato il fatto che i politici polemizzino anche su questo tema lanciandosi accuse reciproche per trarne un vantaggio elettorale. Brennan ha anche accusato il congresso di ostacolare la proposta dell’amministrazione di chiudere il carcere di Guantánamo, una delle eredità politiche dell’11 settembre che Obama non è stato capace di liquidare, e che sarà ancora aperto al momento delle elezioni presidenziali del 2012.

Guantánamo, così come il rinnovo da parte del presidente del Patriot Act – con i suoi limiti alle libertà dei cittadini in nome della lotta al terrorismo – sono due delle eredità dell’11 settembre che più irritano l’ala liberal dei Democratici americani. La continuazione delle guerre in Afghanistan e (in certa misura) in Iraq sono altre due spine nel fianco per una parte dell’elettorato democratico; tanto che Obama ha tenuto a ripetere che “stiamo ponendo fine alla guerra in Iraq e stiamo iniziando a riportare a casa le nostre truppe dall’Afghanistan” nello stesso discorso radiofonico in cui si appellava all’unità del paese. La parte moderata dei Democratici è sulla stessa lunghezza d’onda del presidente, e non a caso il senatore di New York Chuck Schumer ha recentemente affermato che la classe politica americana si dimostrò all’epoca più unita di quanto accadrebbe oggi in caso di un altro attacco terrorista.

Posizioni contrastanti sull’11 settembre e le sue conseguenze politiche si ritrovano anche tra i Repubblicani. Nella destra americana sono i libertari a criticare maggiormente la risposta data dal loro stesso partito all’11 settembre, con le critiche del senatore texano Ron Paul, candidato alle primarie repubblicane, ai controlli più invasivi sui passeggeri istituiti dopo gli attentati per aumentare la sicurezza negli aeroporti, nonché all’interventismo americano in Medio Oriente. Interventismo contestato anche da un altro candidato alle primarie, Jon Huntsman, e da buona parte del movimento del Tea Party, che chiedono il disimpegno immediato dall’Afghanistan. Non è questa la posizione della maggioranza moderata dei Repubblicani, ed infatti i due candidati con maggiori chance di ottenere la nomination – Mitt Romney e Rick Perry – hanno tenuto un profilo ben diverso, mentre esponenti del GOP come Santorum e Giuliani hanno apertamente contrastato le posizioni di Paul e Huntsman. In generale comunque per i Repubblicani, così come per i Democratici, i contrasti in merito alla questione non sono al centro dell’agenda politica – occupata piuttosto dall’economia e dalla disoccupazione.

A fronte di queste schermaglie politiche, alcuni sondaggi resi pubblici all’inizio di settembre forniscono elementi interessanti su come l’opinione pubblica viva l’anniversario. Secondo un sondaggio Gallup pubblicato da Usa Today, solo il 38% dei cittadini americani teme un attentato nei prossimi giorni, rispetto al 62% registrato all’indomani dell’uccisione di bin Laden. Allo stesso tempo, il 22% degli intervistati ha “molta” fiducia nella capacità del governo di proteggere i cittadini da futuri attentati, il 53% ha “abbastanza” fiducia e il 18% ne ha poca o niente. La percezione è ovviamente diversa tra i newyorkesi, il 58% dei quali secondo un altro sondaggio ritiene probabile un nuovo attacco terroristico su larga scala; nonostante ciò il 70% dei cittadini della città simbolo dell’11 settembre afferma di mantenere le proprie abitudini quotidiane a dispetto del rischio terrorismo. Un terzo sondaggio commissionato dall’Associated Press afferma che il 58% degli americani ritiene accettabile l’utilizzo dei body scanner negli aeroporti, ma solo il 30% approva il vaglio delle email operato dalle autorità americane senza mandato, percentuale che scende al 23% rispetto alle intercettazioni telefoniche compiute dal governo sempre a fini di antiterrorismo. Coerentemente con questi dati, la maggioranza assoluta degli americani è contrario – secondo il sondaggio – a restrizioni delle libertà civili per ottenere più sicurezza (54%) e crede di avere già perso parte delle proprie libertà a causa delle politiche governative di antiterrorismo (51%). Tale percezione potrebbe ovviamente cambiare in caso di un nuovo attacco terroristico, in concomitanza o in seguito al decennale dell’11 settembre, eventualità non esclusa da funzionari dell’amministrazione che hanno parlato nei giorni scorsi di informazioni “credibili ma non confermate” in merito a piani di attentati sul suolo americano. Al momento, tuttavia, il quadro complessivo che emerge sembra essere quello di un’opinione pubblica meno preoccupata della minaccia terrorista, e più conscia di quanto le misure necessarie per mantenere la sicurezza interna costino – e siano costate – in termini di libertà civili. Anche dal punto di vista del presidente democratico, del resto, la fase “espansiva” seguita all’11 settembre (gli interventi in Afghanistan e in Iraq) deve ormai chiudersi: è davvero il momento – questa la guideline obamiana – di fare nation building negli Stati Uniti.